I Gale erano una rinomata famiglia di Horndean vicino a Portsmouth, Hampshire: fornai, droghieri, mercanti di mais e di carbone. Nel 1847 la famiglia acquistò il pub Ship and Bell: a quel tempo era abbastanza comune che i pub producessero anche la birra che vendevano e George Gale, che lo gestiva, iniziò a farlo nel 1853. Nel 1896 un incendio distrusse completamente il pub ma l’edificio fu prontamente ricostruito: la sua torre ancora oggi svetta sui tetti di Horndean. La ditta Gale and Co. nacque nel 1888, iniziò a distribuire birra anche ad altri pub nei dintorni e riuscì a superare le difficoltà derivanti dalle due guerre mondiali: negli anni 60 la produzione iniziò a crescere grazie al successo della HSB – Horndean Special Bitter – che raggiunse il picco di vendite nel 1984. Da quel periodo i marchi del portafoglio Gale’s iniziarono un lento ma inesorabile declino e il birrificio aumentò anno dopo anno la produzione per conto terzi, iniziata nel 1997. Ma dopo una decina d’anni di sforzi, alcuni soci chiesero di rientrare in possesso del proprio capitale e l’unica soluzione per i Gales fu vendere: si fece avanti Fuller’s, che nel 2005 rilevò il birrificio di Horndean per 92 milioni di sterline. Preoccupato, il CAMRA lanciò subito una campagna di sensibilizzazione nei confronti di Fuller’s: gli 80.000 ettolitri annuali prodotti a Horndean potevano facilmente essere trasferiti a Londra o, nella peggiore delle ipotesi, le birre sostituite dalle concorrenti prodotte da Fullers. Ed infatti alla fine di marzo 2006 gli impianti di Gale’s, la maggior parte dei quali risaliva agli anni ’80, furono definitivamente spenti. Pochi anni dopo tutto il birrificio ad eccezione della torre venne demolito e i terreni furono riconvertiti in zona residenziale. Ma per gli appassionati c’era ancora qualche speranza: poco prima di chiudere i cancelli alla Gales fu prodotto un ultimo lotto di una birra iconica, la Prize Old Ale, e venne poi portato a Londra con delle autocisterne.
La Prize Old Ale di Gale’s è un pezzo di storia che vale la pena raccontare, è un viaggio a ritroso al tempo di quelle Stock Ales maturate in tini di legno per mesi, a volte anche per anni, dove sviluppavano acidità lattica, inevitabile conseguenza della contaminazione batterica: era il gusto tipico delle birre del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, che i bevitori apprezzavano. Queste Old/Stock Ales (non è mia intenzione entrare nel dettaglio di eventuali differenze) potevano essere bevute anche da sole ma erano solitamente utilizzare per creare un blend con birre piè giovani: erano la base delle birre più popolari di quel periodo, le Porter e le Stout.
Ci sono notizie contrastanti sulla storia della Prize Old Ale ma tutti gli storici sembrano concordare sul fatto che sia nata intorno al 1920 quando alla Gale’s arrivò un birraio dallo Yorkshire che intendeva replicare i fasti di quelle Strong Ales, in gergo “Stingo”, che venivano prodotte da quelle parti, come per esempio alla Hammond Brewery. La Prize Old Ale maturava in vasche di legno per un periodo variabile tra i sei ed i dodici mesi; John Keeling, lo storico birraio di Fuller’s, ricorda: “non è lambic, ma ci assomiglia. Alla Gales fermentava in legno, era impossibile pulire perfettamente quelle vasche; si venne a creare un ambiente selvaggio e quei microrganismi diedero alla birra il suo carattere unico. Anche se veniva poi trasferita e messa ad invecchiare in tini di acciaio non perdeva quella flora batterica”. La ricetta originale pare indicasse malto Maris Otter, un tocco di Black, luppoli Fuggles e East Kent Goldings. Al momento della messa in bottiglia veniva aggiunto poi il lievito per la rifermentazione. Nel 1971 quando fu fondato il CAMRA, la Gale Prize Old Ale era una delle ultime cinque birre rifermentate in bottiglie che ancora venivano prodotte nel Regno Unito.
Ci sono notizie contrastanti sulla storia della Prize Old Ale ma tutti gli storici sembrano concordare sul fatto che sia nata intorno al 1920 quando alla Gale’s arrivò un birraio dallo Yorkshire che intendeva replicare i fasti di quelle Strong Ales, in gergo “Stingo”, che venivano prodotte da quelle parti, come per esempio alla Hammond Brewery. La Prize Old Ale maturava in vasche di legno per un periodo variabile tra i sei ed i dodici mesi; John Keeling, lo storico birraio di Fuller’s, ricorda: “non è lambic, ma ci assomiglia. Alla Gales fermentava in legno, era impossibile pulire perfettamente quelle vasche; si venne a creare un ambiente selvaggio e quei microrganismi diedero alla birra il suo carattere unico. Anche se veniva poi trasferita e messa ad invecchiare in tini di acciaio non perdeva quella flora batterica”. La ricetta originale pare indicasse malto Maris Otter, un tocco di Black, luppoli Fuggles e East Kent Goldings. Al momento della messa in bottiglia veniva aggiunto poi il lievito per la rifermentazione. Nel 1971 quando fu fondato il CAMRA, la Gale Prize Old Ale era una delle ultime cinque birre rifermentate in bottiglie che ancora venivano prodotte nel Regno Unito.
Negli anni che precedettero la vendita a Fullers la Prize Old Ale non fu certo un esempio di costanza produttiva. Scrive lo storico Martyn Connell: “a partire dall’inizio del ventunesimo secolo le cose iniziarono a peggiorare. Le bottiglie erano completamente piatte, la rifermentazione non era mai partita ed erano stucchevolmente dolci. Sembra che alla Gale’s imbottigliassero senza aggiungere zucchero o lievito, facendo affidamento solo sulle cellule di lievito che erano presenti della birra e sugli zuccheri rimasti dopo la fermentazione primaria. Evidentemente non funzionava, ma per anni nessuno alla Gales sembrò interessarsi al problema e continuarono in quel modo”. Come detto, nel 2006 la produzione passò alla Fuller’s che però esitò prima di mettere in circolazione il primo lotto, pronto nel 2007. Ancora Keeling: “amavo quella birra, ma replicarla sui nostri impianti fu una bella sfida. Non avevamo abbastanza posto per trasferire i fermentatori di legno della Gale’s, così facemmo un ultimo lotto a Horndean e lo portammo a Londra nei nostri fermentatori d’acciaio. Realizzammo poi due cotte sul nostro impianto nel 2007 e nel 2008, blendandole con quella di Gale’s e utilizzando il loro lievito che avevamo propagato alla Fuller’s. Il problema era che il nostro ufficio vendita la odiava, dicevano che era impossibile da vendere. Un prodotto in via d’estinzione, troppo acido per la maggior parte dei bevitori”. I buoni intenti di Fuller’s non trovarono tuttavia quel riscontro commerciale necessario per continuarne la produzione e la Prize Old Ale uscì definitivamente di scena.
Facciamo un altro salto in avanti nel tempo al 2016, a Manchester: il girovago birraio James Kemp (oggi da BrewDog) del birrificio Marble aveva lavorato per un anno alla Fuller’s facendo amicizia con e con John Keeling. James amava le Flanders Red e le Oud Bruin belghe e sognava di poter un giorno replicare il loro “equivalente” anglosassone. Alla Fuller’s Keeling aveva ancora da smaltire parecchie bottiglie di Old Ale invendute e ne mandò un po’ a Kemp: i due si scambiarono idee sulla ricette e poi si diedero appuntamento a Manchester, adattando una ricetta originale del 1926. Malti Pale, Crystal e Chocolate, sciroppo di glucosio, luppoli Challenger e Goldings per amaro, Fuggles e Goldings per aroma. La Marble non disponeva di tini in legno e quindi la prima fermentazione “pulita” avvenne in acciaio, con inoculazione del lievito della Gale’s al momento del trasferimento in botti di legno. Per rendere forse più interessante la birra sul mercato attuale non furono usate botti neutre ma che avevano contenuti in precedenza Bourbon, Madeira, Barbera e Pinot Nero: l’idea originale era di creare un unico blend finale, ma il risultato ottenuto dalle singole botti fu ritenuto soddisfacente e ne furono quindi commercializzate quattro diverse edizioni.
Facciamo un altro salto in avanti nel tempo al 2016, a Manchester: il girovago birraio James Kemp (oggi da BrewDog) del birrificio Marble aveva lavorato per un anno alla Fuller’s facendo amicizia con e con John Keeling. James amava le Flanders Red e le Oud Bruin belghe e sognava di poter un giorno replicare il loro “equivalente” anglosassone. Alla Fuller’s Keeling aveva ancora da smaltire parecchie bottiglie di Old Ale invendute e ne mandò un po’ a Kemp: i due si scambiarono idee sulla ricette e poi si diedero appuntamento a Manchester, adattando una ricetta originale del 1926. Malti Pale, Crystal e Chocolate, sciroppo di glucosio, luppoli Challenger e Goldings per amaro, Fuggles e Goldings per aroma. La Marble non disponeva di tini in legno e quindi la prima fermentazione “pulita” avvenne in acciaio, con inoculazione del lievito della Gale’s al momento del trasferimento in botti di legno. Per rendere forse più interessante la birra sul mercato attuale non furono usate botti neutre ma che avevano contenuti in precedenza Bourbon, Madeira, Barbera e Pinot Nero: l’idea originale era di creare un unico blend finale, ma il risultato ottenuto dalle singole botti fu ritenuto soddisfacente e ne furono quindi commercializzate quattro diverse edizioni.
La birra.
Il destino non è mai stato gentile con le grandi birre storiche inglesi: dimenticate in patria, hanno spesso trovato una seconda vita negli Stati Uniti grazie (anche) all’opera divulgativa del defunto beer-hunter Michael Jackson e dell’importatore B-United. E’ il caso della meravigliosa Harvest Ale di JW Lees, oggi ancora prodotta ma più facile da reperire in un Whole Foods americano che in un beershop inglese; o degli ultimi lotti di Thomas Hardy's Ale e Prize Old Ale prodotti prima delle rispettive chiusure, la maggior parte dei quali è finita dall’altra parte dell’oceano prima che esplodesse davvero la Craft Beer Revolution. Sulle etichette trovate infatti il contenuto espresso in once fluide, anziché millilitri. Ed è quello che è capitato a me: nel 2014 in un beershop di San Francisco mi sono imbattuto in una cesta piena di Prize Old Ale anno 2000 a prezzi di saldo: 3 dollari l’una. Non ho potuto resistere, consapevole del rischio che poteva trattarsi di un imbevibile fondo di magazzino: ma del resto è lo stesso rischio che corre l’appassionato che tenta la fortuna acquistando qualche vintage su Ebay a prezzi moltiplicati almeno per dieci. E per stapparla ho voluto attendere altri sei anni per rispettare le opinabili indicazioni fornite dall’importatore B-United: “si dice che la Prize Old Ale dia il meglio di sé dopo 20 anni”. Non ho ovviamente la certezza assoluta sul millesimo: l’anno 2000 è scritto con il pennarello sulla capsula di plastica che protegge il tappo di sughero. L'apertura è abbastanza difficoltosa e nonostante la cautela il sughero si rompe a metà nel collo; con molta pazienza riesco ad estrarre quel che rimane ma non ad evitare che qualche frammento finisca dentro la bottiglia. Devo versarla nel bicchiere aiutandomi con un infusore da te per filtrarla ed evitare di bere le "briciole" di sughero. La schiuma è assente, il colore è ambrato, piuttosto spento e torbido: nessuna sorpresa. Al naso l'ossidazione è evidente, nel bene e nel male: fortunatamente predominano i richiami al passito, ai vini marsalati e fortificati. Uvetta, datteri, caramello, mela al forno, albicocca disidratata: l'intensità è davvero degna di nota. In secondo piano avverto odori ematici, ferruginosi, un po' di cartone bagnato: mi sorprende la completa assenza della componente wild/selvaggia, fatta eccezione per qualche richiamo di plastica bruciata che potrei associare ai brettanomiceti. Al palato è ovviamente piatta e slegata ma c'è ancora un discreto corpo a regalare un mouthfeel ancora accettabile.
Il destino non è mai stato gentile con le grandi birre storiche inglesi: dimenticate in patria, hanno spesso trovato una seconda vita negli Stati Uniti grazie (anche) all’opera divulgativa del defunto beer-hunter Michael Jackson e dell’importatore B-United. E’ il caso della meravigliosa Harvest Ale di JW Lees, oggi ancora prodotta ma più facile da reperire in un Whole Foods americano che in un beershop inglese; o degli ultimi lotti di Thomas Hardy's Ale e Prize Old Ale prodotti prima delle rispettive chiusure, la maggior parte dei quali è finita dall’altra parte dell’oceano prima che esplodesse davvero la Craft Beer Revolution. Sulle etichette trovate infatti il contenuto espresso in once fluide, anziché millilitri. Ed è quello che è capitato a me: nel 2014 in un beershop di San Francisco mi sono imbattuto in una cesta piena di Prize Old Ale anno 2000 a prezzi di saldo: 3 dollari l’una. Non ho potuto resistere, consapevole del rischio che poteva trattarsi di un imbevibile fondo di magazzino: ma del resto è lo stesso rischio che corre l’appassionato che tenta la fortuna acquistando qualche vintage su Ebay a prezzi moltiplicati almeno per dieci. E per stapparla ho voluto attendere altri sei anni per rispettare le opinabili indicazioni fornite dall’importatore B-United: “si dice che la Prize Old Ale dia il meglio di sé dopo 20 anni”. Non ho ovviamente la certezza assoluta sul millesimo: l’anno 2000 è scritto con il pennarello sulla capsula di plastica che protegge il tappo di sughero. L'apertura è abbastanza difficoltosa e nonostante la cautela il sughero si rompe a metà nel collo; con molta pazienza riesco ad estrarre quel che rimane ma non ad evitare che qualche frammento finisca dentro la bottiglia. Devo versarla nel bicchiere aiutandomi con un infusore da te per filtrarla ed evitare di bere le "briciole" di sughero. La schiuma è assente, il colore è ambrato, piuttosto spento e torbido: nessuna sorpresa. Al naso l'ossidazione è evidente, nel bene e nel male: fortunatamente predominano i richiami al passito, ai vini marsalati e fortificati. Uvetta, datteri, caramello, mela al forno, albicocca disidratata: l'intensità è davvero degna di nota. In secondo piano avverto odori ematici, ferruginosi, un po' di cartone bagnato: mi sorprende la completa assenza della componente wild/selvaggia, fatta eccezione per qualche richiamo di plastica bruciata che potrei associare ai brettanomiceti. Al palato è ovviamente piatta e slegata ma c'è ancora un discreto corpo a regalare un mouthfeel ancora accettabile.
La bevuta segue l'aroma ma con meno intensità: colpisce sopratutto il modo in cui l'alcool (9% al momento della messa in bottiglia, ora sicuramente maggiore) è inavvertibile. E' una birra che assume le sembianze di un vino passito un po' annacquato nel finale, se mi passate il paragone: datteri, uvetta, caramello, marsala e sherry, potrei spingermi oltre e chiamare in causa lo sciroppo d'acero. Anche in bocca spunta ogni tanto qualche lieve accenno di plastica e gomma bruciata: non è però questo a lasciarmi sorpreso, perplesso (eviterei l'aggettivo "deluso", visto l'anzianità della bottiglia). Piuttosto è la completa mancanza di acidità lattica che avrebbe dovuto rendere questa Old Ale unica nella sua continuità storica (confrontate ad esempio le impressioni di Angelo Ruggiero e Stefano Ricci, versione Fuller's). Chiude comunque piuttosto secca, ammiccando al legno e forse all'amaro dei tannini.
Stappare una bottiglia che ha vent'anni sulle spalle significa privilegiare la curiosità e l'emozione, la parte conoscitiva e didattica alla piacevolezza della bevuta, benché questa bottiglia di Prize Old Ale sia ancora perfettamente bevibile. Posso comunque confermare che la Prize Old Ale è (era) un'ottima birra da invecchiamento, quasi indistruttibile, per come era prodotta alla Gale's. Ritornerà? I tentativi di riesumarla fatti negli ultimi anni non hanno avuto un grande successo al di fuori di una piccola nicchia fatta di appassionati, di vecchi nostalgici e forse di qualche occasionale curioso. Se anche voi siete tra questi e volete aggiungerla al vostro curriculum di bevute, qualche bottiglia è ancora reperibile su Ebay o nelle cantine di qualche locale: mettetevi alla ricerca, anche gli sforzi per trovarla fanno parte dell'esperienza Gale's Prize Old Ale
Formato 27,5 cl., alc. 9%, IBU 53, anno 2000 (?), pagato 2,99 dollari (beershop) Stappare una bottiglia che ha vent'anni sulle spalle significa privilegiare la curiosità e l'emozione, la parte conoscitiva e didattica alla piacevolezza della bevuta, benché questa bottiglia di Prize Old Ale sia ancora perfettamente bevibile. Posso comunque confermare che la Prize Old Ale è (era) un'ottima birra da invecchiamento, quasi indistruttibile, per come era prodotta alla Gale's. Ritornerà? I tentativi di riesumarla fatti negli ultimi anni non hanno avuto un grande successo al di fuori di una piccola nicchia fatta di appassionati, di vecchi nostalgici e forse di qualche occasionale curioso. Se anche voi siete tra questi e volete aggiungerla al vostro curriculum di bevute, qualche bottiglia è ancora reperibile su Ebay o nelle cantine di qualche locale: mettetevi alla ricerca, anche gli sforzi per trovarla fanno parte dell'esperienza Gale's Prize Old Ale
Nessun commento:
Posta un commento