mercoledì 9 dicembre 2020

DALLA CANTINA: Schneider Weisse Aventinus 2020 vs 2014

Quando si parla di birre da invecchiamento lo stile Weizenbock non è sicuramente il primo a cui pensare; a mettere in discussione quelle che erano anche le mie convinzioni ci ha pensato Patrick Dawson, autore del libro Vintage Beer, un manuale davvero utile d’informazioni e consigli soprattutto per chi vuole provare a mettere qualche birra in cantina. Tra le numerose birre che Dawson consiglia c’è per l’appunto anche una Weizenbock, quella prodotta dalla Weissbierbrauerei G. Schneider & Sohn:  Aventinus.  
Del resto alla Schneider reclamano la paternità dell’intero stile: sarebbero stati loro nel 1907 a produrre la prima Doppelbock di frumento. In quel periodo il birrificio era guidato da Mathilde Schneider che nel 1905 aveva preso il comando a seguito della morte improvvisa del trentacinquenne marito Georg III: agli inizi del ventesimo secolo non erano molte le donne a capo di un birrificio, in Baviera. Sotto la sua guida Schneider divenne il più grande produttore di birra di frumento della Germania meridionale negli anni che precedettero la prima guerra mondiale.  In quel periodo il birrificio aveva gli uffici a Monaco in Aventinstraße e forse oggi sarebbe ancora lì se i bombardamenti del secondo conflitto mondiale non avessero costretto a trasferire tutto a Kelheim, sulle rive del Danubio, nei pressi di Ratisbona, utilizzando gli edifici di uno dei tanti birrifici che Schneider aveva inglobato nei primi vent’anni del secolo scorso. La strada era dedicata a Johannes Aventinusstorico della corte bavarese vissuto tra il 1477 e il 1534 nonché autore della prima mappa geografica della Baviera (1523).  Ma la tradizione voleva che una birra dal contenuto alcolico importante come quella di Schneider prendesse il proprio nome da un santo, l’associazione bavarese dei birrai rifiutò quel nome e fu necessario l’intervento del parroco della famiglia Schneider per trovare la soluzione: le sue ricerche mostrarono che esisteva infatti un santo con lo stesso nome, ovvero Sant'Aventino di Troyes.
Della Tap 6 Aventinus vi avevo parlato in questa occasione: era il 2010 e il mio post di dieci anni fa non rende oggettivamente giustizia a quella che considero essere la mia Weizenbock preferita, anche se un po’ atipica rispetto alle altre sorelle tedesche. La sua ricetta, basata sulla Schneider Weisse Original, prevede una percentuale di malti tostati che contribuisce a donarle quello splendido color ambrato scuro accesso da intensi riflessi rubini; il luppolo è Hallertauer Herkules.  La leggenda vuole poi che da un inconveniente invernale – birra ghiacciata  durante il trasporto – nacque poi la sua altrettanto splendida versione Eisbock.

La birra.

Nell’aprile del 2019 la Schneider ha sottoposto tutta la propria gamma ad un restyling stilistico; la bianca etichetta della Tap 6 Unser Aventinus si è colorata dello stesso color viola della Aventinus Eisbock. La classificazione “Tap”, che identificava tutte le birre di Schneider è stata rilegata in un angolo a favore del nome della birra: oggi l’etichetta parla solo di Aventinus. 
Partiamo da una bottiglia recente del 2020, stranamente quasi limpida, di colore ambrato carico ravvivato da riflessi ramati e rosso rubino. Il naso è ricco di banana matura, chiodi di garofano, caramello, uvetta e prugna; in sottofondo la componente fenolica esprime anche un flebile filo di fumo. L’aroma è pulito e intenso, il mouthfeel è perfetto: bollicine vivaci ma non troppo, sensazione palatale morbida, lievemente cremosa, che non pregiudica la scorrevolezza. A voi scegliere se gustarvela lentamente o se lasciarvi ingannare dal suo tenore alcolico, molto ben nascosto, che si rivela solo nel retrogusto. La bevuta replica l’aroma con la stessa intensità  e precisione: uvetta e prugna, caramello, banana matura, un finale leggermente amaricante di  frutta secca a guscio. In questa bottiglia non avverto quei lievi accenni di cioccolato delle migliori Aventinus che mi sia capitato di bere, ma è un dettaglio che non mette in discussione una bevuta di alto livello. 
Passiamo ora ad una bottiglia del 2014, il cui colore è ovviamente molto più scuro e meno brillante: la schiuma è ancora sorprendentemente fine, cremosa e molto compatta. Rispetto alla bottiglia 2020 la banana scivola (molto) nelle retrovie lasciando il palcoscenico a uvetta e prugna disidratata; emergono accenni di frutti di bosco, ciliegia. Fenoli (chiodi di garofano) completamente assenti. L’aroma è meno intenso ma risulta più caldo, se mi passate la forzatura semantica. E’ il mouthfeel a pagare il prezzo più alto dell’invecchiamento: la birra risulta un po’ scarica, qualche deriva acquosa di troppo si porta via la morbidezza dell’Aventinus fresca. Inevitabilmente anche il gusto presenta cali di tensione rispetto ad un esemplare giovane ma – prenda nota chi odia le Weizen – la banana è scomparsa. Rilevo caramello, uvetta e prugna, frutti di bosco,  qualche nota ossidativa che richiama i vini marsalati: c’è quasi tutto quello che si desidera dall’invecchiamento di una birra, ma in tono minore. Anche l’alcool è fin troppo nascosto, negando di fatto quel conforto etilico tipico di una bottiglia giovane. 
Il verdetto?  Sebbene apprezzi la drastica riduzione di banana e chiodi di garofano nell’Aventinus 2015, ci sono troppi cali di tensione per farmela preferire alla bottiglia 2020. Il mio voto va quindi per l’Aventinus fresca, potente e intensa, che negli esemplari migliori regala una complessità davvero degna di nota.  

Nel dettaglio:
Aventinus 2014, 50 cl., alc.8,2%, IBU 16, lotto 18/11/2014, scad. 18/11/2015, pagata 1,17 Euro (supermercato Germania)
Aventinus 2020 , 50 cl., alc.8,2%, IBU 16, scad. 19/06/2021, pagata 3,40 Euro (supermercato Italia)

Nessun commento:

Posta un commento