Del birrificio di Portland Gigantic vi avevo
già parlato qualche anno fa: lo inaugurarono il 9 maggio 2012 nel distretto Reed di Portland, nelle vicinanze del Reed College, due birrai abbastanza noti in quella città dell’Oregon soprannominata Beervana per la sua alta concentrazione di birrifici e brewpub. Ben Love aveva iniziato la sua carriera come birraio nel 2003 all’Adler Brewpub di Appleton (Winsconsin) per poi ritornare l’anno successivo in Oregon presso
il birrificio Pelican; nel 2007 diventò infine headbrewer alla Hopworks Urban Brewery (HUB) di Portland. Van Having,
fiero Alfista (!), aveva cominciato nel 1995 presso la Minnesota Brewing Company per trascorrere sedici anni come headbrewer nei brewpub della Rock Bottom, prima a Minneapolis e poi a Portland. Nel 2010 un diverbio con la proprietà spinse Having a lasciare la Rock Bottom per mettersi in proprio; inizialmente la sua idea era di allontanarsi da Portland ma l’incontro con Ben Love gli fece cambiare idea dando vita al progetto Gigantic, con il supporto finanziario di alcuni amici.
Nonostante il nome scelto, Love e Having non avevano particolari ambizioni e partirono con un impianto da 15 barili costruito su misura dalla Metalcraft: “vogliamo essere un birrificio di quartiere con una tasting room dall’atmosfera rilassata dove poter passare qualche ora, piena di clienti abituali e qualche occasionale visitatore. Non saremo mai un birrificio ‘gigante’, anche se ci sentiamo ‘giganti’.” I birrai organizzano la propria produzione (circa 5500 ettolitri l’anno) su due birre fisse, Gigantic IPA e Ginormous Imperial IPA, affiancate da una grande quantità di birre stagionali, collaborazioni e one-shot; si focalizzarono soprattutto sulle bottiglie, in quanto offrono maggior margine di guadagno rispetto ai fusti.
Da subito Gigantic si è fatto notare per le belle etichette: “quando vedi le nostre birre riesci ad identificarle immediatamente - dice Love – Abbiamo uno schema fisso, che ricorda la copertina di un fumetto: non importa quale sia poi il soggetto raffigurato, appena la vedi riesci a capire subito che è una birra di Gigantic. Non abbiamo budget per la pubblicità, preferiamo piuttosto dare quei soldi agli artisti che disegnano per noi”. La prima etichetta, quella della Gigantic IPA, fu ad esempio realizzata da Rob Reger, art director e creatore del personaggio Emiliy The Strange. Il successo è immediato, le birre vengono vendute ancora prima di uscire dai fermentatori e a due mesi dall’apertura Love e Having ottengono 400.000 dollari di finanziamento per espandere la taproom e dare il via al programma di invecchiamenti in botte. Nell’agosto del 2019 Gigantic annunciava il progetto di una seconda taproom (Gigantic Satellite) nel distretto Montavilla di Portland, ad una decina di chilometri dal birrificio. I lavori di ristrutturazione del Rocket Empire Machine, una ex autofficina che ospiterà anche quattro venditori di cibo rendendo così la taproom accessibile anche alle famiglie con bambini, hanno subito forti rallentamenti a causa dell’emergenza Covid-19 e sono attualmente ancora in corso. La birra.
Per l’etichetta della Gigantic Most Premium Russian Imperial Stout fu reclutato Frank Kozik, grafico noto per i poster realizzati negli anni ’90 per i concerti di gruppi musicali come Nirvana, White Stripes, Green Day, Beastie Boys, Pearl Jam, Red Hot Chili Peppers; Kozik possedeva anche la piccola etichetta musicale indipendente Man’s Ruin Records. La ricetta prevede malti Pale, Vienna, Crystal 40, Crystal 80, Crystal 120, Chocolate, Black, zucchero Demerara, orzo tostato, luppoli Magnum e Cascade. Le sue svariate edizioni Barrel Aged, disponibili ogni anno nei mesi invernali, diventano Most Most Premium Russian Imperial Stout: vediamo la prima della serie, ovvero quella invecchiata in botti ex Bourbon.
Nera, quasi impenetrabile alla vista, schiuma cremosa e compatta dalla discreta persistenza: il suo aspetto è sontuoso e l’aroma non è da meno, pulito e intenso, complesso. In ordine sparso emergono profumi di vaniglia e cocco, legno, fruit cake, tabacco e caffè, prugna disidratata e uvetta: il distillato è ben presente ed amalgama il tutto, all’orizzonte si scorge anche un filo di fumo. Non è un’imperial stout particolarmente densa e oleosa: bollicine sottili ma vivaci ne compromettono inizialmente la morbidezza, ma il mouthfeel migliora dopo aver lasciato stazionare la birra nel bicchiere. La bevuta segue l’aroma riproponendolo in buona parte: frutta sotto spirito, fruit cake, vaniglia, caramello, mentre il distillato è ben in evidenza e riscalda con vigore senza mai bruciare. Al palato latita un po’ la componente caffè/torrefatto, appena percepibile, la chiusura è calda e lunga, ricca di bourbon e un tocco di legno. Gran bel naso, emozionante e coinvolgente, mentre la bevuta è maggiormente segnata dal passaggio in botte e non ha lo stesso livello di complessità e di definizione: è comunque un’imperial stout di livello che si sorseggia senza difficoltà e con grande soddisfazione. Formato 50 cl., alc. 12%, IBU 60, lotto 2020, prezzo indicativo 18 euro (beershop)
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