mercoledì 8 febbraio 2017

Stiegl: Columbus 1492 & Max Glaner's IPA

Anche in Austria sta lentamente sviluppandosi una piccola craft beer revolution e con essa sono arrivate anche le birre “crafty” prodotte da alcuni birrifici commerciali: Stiegl è uno di questi. Fondato a Salisburgo nel 1492 come Bräuhaus an der Gstätten, finì in seguito per assumere il nome con il quale lo chiamava abitualmente la gente: Das Haus Bey der Stiegen, ovvero “la casa vicino agli scalini”, con riferimento ad una piccola serie di scalini che si trovavano adiacenti all’edificio. Nel 1863, a quattrocento anni dalla nascita, Stiegl ha bisogno di espandersi e trasloca nel quartiere periferico di Maxglan, sotto la guida del nuovo proprietario Josef Schreiner. Pochi anni dopo (1875) viene però distrutto da un grosso incendio e subito ricostruito dopo pochi mesi: chi non si riprese dalla tragedia fu Schreiner, deceduto nel 1880. L’attuale proprietaria di Stiegl, la famiglia Huemer-Kiener, è scesa in campo nel 1887 ed ha sapientemente guidato il birrificio attraverso i momenti difficili delle due guerre mondiali. Le prime “crafty” di Stiegl arrivano nel 2012; si inizia con una Double IPA realizzata per i festeggiamenti di capodanno che affianca la Stiegl-Hausbier, una serie di birre stagionali in formato 75 cl. che “violano” l’editto di Purezza: una chocolate stout, una witbier con scorza d’arancia, una birra allo zenzero e  una decina di altre produzioni che vanno oltre i classici stili della tradizione tedesca e che vengono proposte a prezzi da cosiddetta birra-gourmet. E’ solo nel 2015 che Stiegl inizia ad introdurre alcune “crafty” a prezzi più popolari nel formato 33 centilitri: arrivano due Pale Ale “single Hop” e arriva la linea Max Glaner con una IPA ed una Witbier.

Le birre.
Novità di giugno 2016 in casa Stiegl è la Pale Ale Columbus 1492: il nome è volutamente ambiguo e fa riferimento sia alla data di fondazione del birrificio che alla scoperta dell’America. Non ho trovato notizie specifiche ma immagino che il birraio Christian Pöpperl abbia utilizzato luppoli statunitensi. Dorata e leggermente velata, forma un cremoso e compatto cappello di schiuma biancastra che collassa abbastanza rapidamente. La data di scadenza (giugno 2017) mi fa pensare che si tratti ancora di una delle prime bottiglie prodotte nell’estate 2016: l’aroma infatti non brilla certo di freschezza e mostra i segni dell’ossidazione dei luppoli che affiancano le note di cereali e una lieve patina d’agrumi in sottofondo.  Va un po’ meglio al palato, ma non si fanno salti di gioia: pane e cereali, accenno di miele, un leggerissimo fruttato (agrumi) che anticipa un tocco amaricante erbaceo finale, davvero leggerissimo. Davvero poca roba in una bottiglia sicuramente penalizzata dall’età che mostra pochi profumi, nessuna fragranza e un’intensità ben poco memorabile. Si beve e disseta, nulla di più. 

Maxglan è il quartiere di Salisburgo in cui dal 1863 si trova Steigl e la linea Max Glaner lo omaggia: al momento ci sono una IPA ed una Witbier. Entrambe nate, secondo quanto dichiara il birrificio, su di un piccolo impianto pilota che si trova nei meandri delle cantine: è qui dove Stiegl sperimenta nuove ricette che vengono poi eventualmente prodotte su larga scala. 
E’ dorata e leggermente velata: bianca e cremosa, la schiuma forma una bella testa che rivela un’ottima persistenza nel bicchiere. L’aroma affianca profumi floreali a quelli della scorza d’arancia e di erbe officinali. Rispetto alla Columbus l’intensità è indubbiamente maggiore, mentre la piacevolezza lascia ugualmente a desiderare. Anche qui non c’è fragranza e la birra scorre su una base maltata di pane e miele, qualche accenno biscottato: il dolce dell’arancia e qualche ricordo di frutta tropicale precedono un finale amaro abbastanza corto che ricorda alla lontana un mix non ben decifrato di erbe officinali. Non chiamerei in causa il disastroso rosmarino della Ceres IPA, ma il risultato è comunque poco gradevole. Nel complesso un po’ meglio della sua sorella Columbus e – probabilmente –  anche di qualche vera “artigianale” austriaca. Il movimento craft è giovane, i risultati sono ancora incerti e altalenanti e la crafty non fanno molto per emergere con poca personalità ed un prezzo che alla fine non è molto più basso delle birre dei microbirrifici. Nel frattempo, convivono tutti assieme nella sezione “craft beer” degli scaffali di alcuni supermercati.
Nel dettaglio:
Columbus 1492, 33 cl., alc. 4.7%, lotto 15 L270A2K, scad. 26/06/2017, 1.99 Euro (supermercato)
Max Glaner's IPA, 33 cl., alc. 5.8%, lotto 12 L308A2, scad. 03/05/2017, 1.99 Euro (supermercato)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 7 febbraio 2017

Lost Abbey Box Set: Track #10 (Bat out of Hell)

A fine 2011 il birrificio californiano The Lost Abbey annuncia l’arrivo di un’ambiziosa serie di birre ispirate da canzoni rock che parlano di paradiso ed inferno. Ogni mese del 2012 vedrà l’uscita di una nuova birra (o “traccia”, visto il parallelismo con un LP / CD) in edizione limitata a 350 esemplari; per evitare la speculazioni e le rivendite a prezzi maggiorati in internet, le bottiglie saranno disponibili solo per il consumo all’interno della tasting room del birrificio, al costo di 15 dollari l’una, formato da 375 ml. I collezionisti potranno portarsi a casa le bottiglie vuote ma – annuncia Arthur –  saranno prese misure per evitare che possano essere riempite e poi vendute come falsi! 
A fine 2012, terminata la serie, sarà anche disponibile un lussuoso Ultimate Box Set contenente tutte e 12 le birre, una “tredicesima bonus track”, e un depliant informativo a forma di vinile. Potete vedere il contenuto in questa pagina. Nonostante l’esorbitante costo del box (450 dollari!)  le prenotazioni superano di gran lunga la capacità produttiva del birrificio che si vede costretto a rinunciare alla messa in vendita del cofanetto presso la tasting room prevista per fine anno. I 45 cofanetti disponibili saranno sorteggiati solamente tra quelli che li avevano prenotati; da notare che per prenotare il cofanetto era obbligatorio anche acquistare tutti i mesi almeno una bottiglia singola. 
Ma passiamo alla sostanza: le dodici birre sono suddivise in tre “sezioni”, anch’esse ispirate alla musica. La prima, chiamata “Re-masters”, include nuove versioni barricate di alcuni classici di Lost Abbey; la sezione “Re-mixes” riguarda invece dei blend creati con altre birre Lost Abbery, mentre  le nuove birre create appositamente per questo progetto fanno invece parte della “Fresh Tracks”. Questo l’ordine delle birre uscite, a partire dal 21 gennaio 2012: 
Track #01 – Runnin' With The Devil: parte della Frash Tracks e ispirata all’omonimo brani dei Van Halen) è una brown ale invecchiata tre mesi in botti di vino rosso con aggiunta di uve Cabernet Sauvignon e brettanomiceti. 
Track #02 – Stairway to Heaven: ovviamente l’accompagnamento musicale sono i Led Zeppelin; la birra (Remixed Tracks) è un blend di Angel’s Share (60%), Cuvée de Tomme (20%) con aggiunta di pesche; per bilanciarne la dolcezza il blend si completa con  la Project X (20%), una birra a fermentazione selvaggia. 
Track #03 – Hell's Bells: entrano in scena gli AC/DC per un blend acido (Remixed Tracks) di Mellow Yellow e Phunky Duck. 
Track #04 – Sympathy for the Devil: Rolling Stones e blend (Remixed Tracks) di due botti di  Veritas 009 (sour ale) e due di Hot Rocks (stein/dunkel) invecchiata in botti di vino rosso con i brettanomiceti naturalmente presenti in esse. 
Track #05 – Shout at the Devil: arrivano i Motley Crüe ad accompagnare la bevuta di un altro blend acido (Remixed Tracks) di Poppy e Framboise de Amorosa con ulteriore aggiunta di frutta e successiva maturazione in botti di quercia. 
Track #06 – Highway to Hell: ritornano gli AC/DC per una birra nuova (Fresh Tracks) che consiste però in un blend di Serpent's Stout invecchiata in botti di brandy e di Angel’s Share (vintage 2009, botti di bourbon). 
Track #07 – The Devil Inside: dal rock si passa a qualcosa di più leggero (INXS) per una versione (Remixed Track) di Veritas 006 prodotta con aggiunta di lamponi, ciliegie e scorza di mandarino 
Track #08 – Number of the Beast: alla festa potevano mancare gli Iron Maiden?  Tra le Fresh Tracks, ecco la Judgment Day che viene invecchiata in botti di bourbon con aggiunta di cannella e pepperoncino. 
Track #09 – Knockin' on Heaven's Door: in teoria si dovrebbe chiamare in causa Bob Dylan, ma Tomme Arthur afferma di amare la cover dei Guns N'Roses. La Remixed Track è una versione “potenziata” della Cuvée de Tomme con aggiunta di ribes e brettanomiceti. 
Track #10 – Bat out of Hell: arrivano i Meatloaf  ed una (Fresh Track) Serpent's Stout invecchiata in botti di bourbon con aggiunta di caffè e cacao poco prima della messa in bottiglia. 
Track #11 – The Devil Went Down to Georgia: la (a me sconosciuta) Charlie Daniels Band suona una Remixed Track che consiste nella Angel’s Share invecchiata nove mesi in botti di Heaven Hill whiskey con aggiunta di pesche fresche e brettanomiceti. 
Track #12 – Heaven and Hell: la chiusura è affidata ai Black Sabbath e ad una birra acida realizzata con un blend della Avant Garde, di una nuova Sour Brown Ale e della Gift ofthe Magi invecchiata in botti di rovere. 
La bonus Track #13 (Message in a Bottle), che chiude la serie a dicembre 2012, vede scendere in campo i Police: si tratta di un barley wine inedito invecchiato in botti di cognac con aggiunta di amarene e scorza d’arancia. 
Se qualcuno di voi fosse interessato all’acquisto di un Box Set, divertitevi a spulciare il sito Mybeercellar: i prezzi oscillano tra i 500 e gli 850 dollari, spese di spedizione escluse.

La birra.
Nel gennaio 2015 Lost Abbey decide di tornare a produrre alcune delle “canzoni” che avevano composto il famoso box set del 2012. La Track 10 -  Bat out of Hell è una di queste; l’idea originale fu del birraio Mike Rodriguez, desideroso di realizzare una versione della Serpent’s Stout con aggiunta di caffè e cacao per il San Diego Strong Ale Festival del 2011. Per il box set la birra venne invecchiata in quattro botti di bourbon con aggiunta, poco prima della messa in bottiglia, di quasi otto chili di caffè Ryan Brothers e due di granella di cacao TCHO. 
Per l’edizione 2015 il birrificio dichiara che le birre base sono la Serpent’s Stout e la Older Viscosity, un’american strong ale invecchiata sei mesi in botti di bourbon Heaven Hill. Non ho quindi ben chiaro se dentro alla bottiglia ci sia un blend di Serpent’s Stout (barricata per l’occasione) e di Older Viscosity (già barricata di suo) o se si tratti di un “semplice” blend di una normale Serpent’s Stout e Older Viscosity. 
L’edizione 2015 si presenta nel bicchiere minacciosa e densa quasi come olio motore, alla vista: nera, forma una buona testa di schiuma  cremosa, abbastanza compatta e dalla discreta persistenza, se si considera il passaggio in botte ed il tenore alcolico (13.5%). L’aroma è potente ma a due anni dalla messa in bottiglia caffè e cacao sono ovviamente molto meno in evidenza: c’è molto bourbon, affiancato da profumi di legno e di vaniglia, cocco tostato, prugna disidratata e, in secondo piano, caffè e cacao. L’intensità aromatica è notevole mentre le birra, al palato, si rivela essere meno densa del previsto: il corpo è tra il medio ed il pieno, con poche bollicine ed una consistenza oleosa che rimane ben lontana dalla soglia di masticabilità. Il bourbon domina anche al palato assieme al dolce dell’uvetta, con legno e vaniglia in sottofondo ad impreziosire una bevuta molto potente che s’instrada verso l’amaro del caffè (e della liquirizia) solo nel finale. L’alcool è indubbiamente presente ma non brucia: la birra si sorseggia lentamente ma senza troppi sforzi; legno e vaniglia fanno capolino anche al palato prima del lunghissimo finale, caldo ed avvolgente, morbido e marcatamente etilico. 
Imperial stout molto potente ma non particolarmente complessa nella quale, a due anni dalla messa in bottiglia, la componente caffè/cacao è decisamente sopraffatta dal bourbon. La birra è piuttosto cara, in Europa siamo in media oltre i 50 euro al litro e, onestamente non credo che il viaggio valga il costo del biglietto, per lo meno adesso: forse lo valeva due anni fa. Il livello è indubbiamente alto, ma non altissimo.
Formato: 37.5 cl., alc. 13.5%,  lotto 2015, prezzo indicativo 18.00/22.00 Euro

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 6 febbraio 2017

Yblon Hoppa

Debutta (o rinasce, dovrei dire) alla fine del 2015 il Birrificio Yblon di Ragusa; la “rinascita” per chi segue la cronaca birraria italiana è una vicenda abbastanza nota, che riassumo per chi l'avesse perduta.
Yblon, progetto dell’homebrewer Marco Gianino con i soci Antonio Frasca e Giusto Occhipinti, già operativo da poco come beerfirm, doveva infatti aprire le porte nel 2011, ma il 10 giugno di quell’anno gli impianti non ancora messi in funzione vennero sequestrati con l’accusa di “fabbricazione clandestina di birra”. All’interno di quello che a quel tempo era ancora un cantiere i soci avevano posizionato un piccolo impianto da 20 litri col quale effettuare le cotte di prova per le birre che sarebbero state prodotte in futuro.  L’agenzia di dogana di Siracusa effettuò un’ispezione trovando l’impianto principale ancora scollegato ma, insospettita dalla presenza dell’impiantino pilota, dei piccoli fermentatori in plastica e di alcune bottiglie (prodotte presso un altro birrificio), ne dispose il sequestro. 
Il legale di Yblon riuscì dopo qualche mese ad ottenere il dissequestro dei locali, ma le attrezzature rimasero confiscate per quasi due anni ad impedire il proseguimento di quella che veniva considerata un’attività illecita; ovviamente anche i lavori di costruzione furono bloccati e nel frattempo le birre prodotte come beerfirm erano scadute e quindi invendibili. 
A maggio 2015 il dal Tribunale di Ragusa assolve finalmente i titolari del birrificio Yblon in quanto “il fatto non sussiste”. Il sapore della vittoria legale fu tuttavia piuttosto amaro, come dichiarato a quel tempo da Gianino: “ci chiediamo come mai ci sono voluti due anni per arrivare a una conclusione che era già chiara il giorno del sequestro (visto che il funzionario stesso delle dogane ha confermato che non era in atto alcuna attività illecita, ma che si stavano “facendo delle prove”). E come mai il pm non ha mai acconsentito all’archiviazione del caso, salvo poi chiedere l’assoluzione al processo? Durante questi due anni il birrificio ha avuto delle perdite piuttosto rilevanti che hanno minato il futuro dell’attività. Con buone probabilità la nostra avventura non andrà avanti.” 
Fortunatamente Marco Gianino e Antonio Frasca hanno trovato la forza (e altri soci) per poter finalmente inaugurare il birrificio alla fine del 2015: quasi 300 gli ettolitri prodotti nell’anno appena concluso, con l’obiettivo di arrivare almeno a 500 nel corso del 2017.  Sono attualmente cinque le birre prodotte e caratterizzate da una parte grafica molto ben curata: la Y Blond, una robust porter chiamata Juta, la strong ale Culovra, la IPA Hoppa e la saison Timpa.

La birra.
Cono di luppolo stilizzato a diamante in etichetta ed una ricetta tutta basata su luppoli europei, nello specifico  EK Goldings, Cascade sloveno, Mandarina ed  Huell Melon: ecco la Hoppa,  IPA di Yblon. 
Il suo colore dorato è leggermente pallido e velato, sormontato da una bianchissima testa di schiuma, fine e compatta, dall’ottima persistenza.  Al naso i profumi floreali introducono quelli degli agrumi (soprattutto mandarino e limone candito) con qualche accenno erbaceo in sottofondo;  bene per quel che riguarda pulizia  ed eleganza, mentre l’intensità non è particolarmente elevata.  L’interpretazione dello stile è quello che tocca le mie corde: niente caramello, base maltata leggera con crackers e qualche accenno di miele, giusto quanto basta per supportare adeguatamente gli agrumi, in particolare quelli pasta gialla. La bevuta è secca e agile, scorre con ottima facilità grazie anche ad un finale nel quale il pedale sull’acceleratore dell’amaro viene spinto con giudizio:  scorza d’agrumi e note erbacee ripuliscono bene il palato senza mai saturarlo e lasciandolo subito pronto per un altro sorso. La birra è ben bilanciata, con una luppolatura delicata ma ben valorizzata dalla freschezza della bottiglia (dicembre 2016). 
Una IPA godibile ma nel complesso un po' carente di personalità e timida, soprattutto se confrontata con le migliori rappresentanti italiche: la pulizia e le basi ci sono, e questo è senz'altro un buon punto di partenza, ma un po' più di carattere sarebbe secondo me davvero necessario per farsi notare nel panorama nazionale che inizia ad essere piuttosto affollato. Ringrazio il birrificio per avermi inviato la bottiglia da assaggiare.
Formato: 33 cl., alc. 5.8%, IBU 55, lotto1611030, scad. 08/2017.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

sabato 4 febbraio 2017

Valcavallina Diavolo

Fondato nel 2009 da Renato Carro con la moglie Pon Khithdeejing, il Birrificio Valcavallina non compare quasi mai sotto i riflettori ma ha silenziosamente svolto un percorso di crescita che lo ha portato a dei livelli davvero elevati: valga come esempio la splendida Golden Ale Sun Flower. 
Renato scopre dapprima le birre belghe e poi quelle dei primi microbirrifici come Lambrate e Birrificio Italiano: siamo alla fine degli anni '90, quando il movimento italiano è ancora in fasce e sta muovendo i primi timidi passi. Al Birrificio Italiano partecipa ad un corso di degustazione che si conclude con una dimostrazione di come sia "facile" fare la birre in casa tenuta da Davide Bertinotti. E' il punto d'inizio di un percorso che inizia con l'homebrewing e, dopo nove anni, termina con l'inaugurazione del Birrificio Valcavallina, così chiamato dalla omonima valle in cui si trova. Carro si sposta da Bollate, dove risiedeva lavorando nell'azienda di famiglia, a Endine Gaiano, una trentina di chilometri da Bergamo sulla riva del lago di Endine. 
Otto le birre, tutte d'ispirazione anglosassone, prodotte con un impianto da 10hl; dai 180 ettolitri prodotti nell'anno del debutto si è passati ai 700 del 2013. Molti i riconoscimenti ottenuti nei concorsi nazionali.

La birra.

Produzione stagionale invernale, il barley wine chiamato Diavolo debutta nel gennaio 2012; non sono  purtroppo riuscito a trovare informazioni sugli ingredienti usati nella ricetta, quindi passiamo subito a stappare la bottiglia.  Si presenta di color ambrato opaco, con riflessi oro antico ed un buon cappello di schiuma biancastra, cremosa e abbastanza compatta, dalla buona persistenza. L'aroma accoglie con caldi e dolci profumi di mela al forno, arancia candita, datteri, caramello, marmellata d'agrumi e frutta secca. Un'introduzione pulita e di buona intensità ad un gusto che prosegue il percorso in linea retta riproponendo gli stessi elementi supportati da una base maltata biscottata. La frutta sotto spirito e la marmellata sono ben in evidenza in una bevuta calda e morbida, per nulla difficile; nel finale un'inattesa nota luppolata, tra l'erbaceo ed il resinoso, fa una breve apparizione a bilanciare un barley wine  pulito e ben fatto. Dolce me ben bilanciato, si sorseggia con piacere grazie ad una consistenza leggermente oleosa e alle poche bollicine. Il retrogusto è ricco di frutta sotto spirito e marmellata, un caldo abbraccio col quale si può concludere soddisfatti la serata.
Formato: 33 cl., alc. 9%, lotto 40, scad. 31/08/2017, prezzo indicativo 4.50/5.00 Euro (beershop)


NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

venerdì 3 febbraio 2017

Omnipollo / Buxton Original Texas Pecan Ice Cream

2014: è questo l’anno in cui, a seconda dei punti di vista, inizia l’inferno o il paradiso delle cosiddette “birre dessert” di Omnipollo, beerfirm svedese della quale abbiamo già parlato più volte. E’ in quell’anno che Henok Fentie realizza assieme al birraio Colin Stronge di Buxton Brewery (UK) l’imperial stout Yellow Belly prodotta con arachidi e biscotti che, in versione barricata, diviene Yellow Belly  Sundae.  Dal sundae al gelato il passo è breve e l’idea viene inizialmente realizzata con birre “chiare”: sempre sugli impianti di Buxton nasce la Ice Cream Pale ovvero un’American Pale Ale realizzata con avena, lattosio e vaniglia, seguita ad inizio 2016 dalla Cloudberry Ice Cream IPA, nella quale il “gelato” (vaniglia e lattosio) viene arricchito con il camemoro, una sorta di lampone artico. 
Lo scorso novembre Buxton e Omnipollo hanno annunciato l’arrivo di quattro nuove edizioni di quella che è stata chiamata la serie delle “Original Ice Cream”;  la Original Lemon Meringue Ice Cream Pie, versione liquida dell’omonima torta,  la Chocolate Ice Cream Brown Ale e  due imperial stout: Original Texas Pecan Ice Cream e   Original Rocky Road Ice Cream, quest’ultima ispirata all’omonimo gelato
Le etichette sono realizzate da Karl Grandin, abituale collaboratore di Omnipollo; a voi decidere se quell’oggetto che cammina sia un gelato o un escremento; le quattro birre debuttano alla metà di novembre 2016 con un’anteprima alla Buxton Tap House.

La birra.
Original Texas Pecan Ice Cream significa in concreto una imperial porter prodotta con avena, vaniglia, lattosio e salsa al caramello. Completamente nera, forma una cremosa testa di schiuma beige abbastanza compatta e dalla buona persistenza. 
L’aroma apre le danze di una birra dessert con dolci profumi di cioccolato al latte, noce pecan, caramello, fudge, vaniglia: più che ad una torta di pasticceria mi viene da pensare ad una barretta snack, ma nel complesso l’aroma non è così artificioso e, in un contesto “giocoso” dove non si cerca una birra, risulta credibile e pulito, con una buona intensità. Di birra ne trovo molta di più al palato: siamo sempre all’estremo, ma si percepisce che la base di fondo è una robusta imperial stout/porter che porta in dote un leggero carattere torrefatto; le caratteristiche principali sono tuttavia caramello, vaniglia, nocciola, cioccolato al latte e frutta secca, il cui dolce viene parzialmente contrastato da un finale nel quale oltre alle tostature emergono note di caffè e  - sorpresa – anche di resina/luppolo.  La sensazione palatale è ovviamente morbida e cremosa: poche bollicine, la birra scorre senza grosse difficoltà e l’alcool (10%) è molto ben dosato, riscaldando quanto basta senza mai esagerare. 
In un contesto di “birra dessert” (o di dessert con dentro una birra) la Original Texas Pecan Ice Cream convince:  ben fatta, pulita e senza eccessi artificiosi, si sorseggia con piacere e riesce a non stancare il palato dopo i primi due sorsi come spesso accade – almeno nel mio caso – con questa tipologia di birre. Dovete ovviamente calarvi nella situazione giusta quando ve la versate nel bicchiere: se desiderate un’imperial stout “leggermente” aromatizzata è meglio che lasciate perdere. Il "gioco" è  piuttosto caro, ma se avete voglia di giocare e di concedervi qualche divertente sfizio il marchio Omnipollo è ormai una certezza.
Formato: 33 cl., alc. 10%, scad. 25/10/2021, prezzo indicativo 10.00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

giovedì 2 febbraio 2017

Kaiserdom Dark Lager

Del più grande birrificio di Bamberga, Kaiserdom Privatbrauerei, avevamo già parlato qualche mese fa;  200.000 circa gli ettolitri prodotti ogni anno, geograficamente nel sobborgo di Gaustadt, fondato nel 1718 negli edifici un tempo di proprietà del monastero benedettino di St. Michelsberg, che concesse a Georg Morg il permesso di produrre e vendere birra.  Agli inizi del 1900 il birrificio prese il nome di Müller’sche Brauerei zu Gaustadt in quanto di proprietà di Anton Müller, una delle cui quattro figlie sposò nel 1910 Georg Wörner, che così diventò co-proprietario del birrificio che più tardi cambiò il proprio nome in Brauerei Wörner e, in seguito, in BürgerBräu Gaustadt; nel 1953 il passaggio del testimone ai figli Theodor and Ludwig che negli anni ’60 iniziarono i lavori di costruzione della nuova sede di un birrificio ormai impossibilitato ad aumentare la propria capacità produttiva nei locali in cui si trovava. L’inaugurazione avvenne nel 1969. In seguito all’annessione di Gaustadt in Bamberga (1972) il birrificio iniziò ad utilizzare i simboli della città per le proprie birre, lanciando nel 1976 la Kaiserdom Pilsener, dedicata al duomo ovvero al Bamberger Kaiserdom Sankt Peter und Sankt. Nel 1978 l’improvvisa morte di Ludwig Wörner costrinse il figlio Georg ad abbandonare i propri studi all’università di Weihenstephan per raccoglierne il testimone; il successo delle birre "dedicate" al duomo di Bamberga convince la proprietà a modificare il nome del birrificio, nel 1983, da BuergerBrau a Kaiserdom, con il fatturato dell'export (Europa ed anche Asia) che inizia ad avere una rilevanza sempre più importante. Kaiserdom, Domfürsten, Alt-Bamberg e Bürgerbräu Bamberg sono i principali marchi prodotti da un birrificio rispettoso della tradizione tedesca che, se non erro, non produce nessuna rauchbier, la tipica "birra affumicata" di Bamberga.

La birra. 
Due le generose lattine da un litro che ogni tanto appaiono in qualche discount italiano ad un prezzo di circa 2 euro. Dopo la  Kellerbier assaggiata in questa occasione, è il momento di stappare la Kaiserdom Dark Lager. 
Esteticamente inappuntabile, colora il bicchiere di ebano scurissimo con una solida testa di schiuma color cappuccino, fine e cremosa, dall’ottima persistenza. Pane nero, pumpernickel e caramello formano un aroma che non  brilla di fragranza ma che mostra una buona intensità, per i dettami dello stile. In questo senso il gusto fa forse un mezzo passo indietro, evidenziando qualche passaggio un po’ troppo acquoso che tutta via non pregiudica la gradevolezza di una bevuta basata su caramello, pane nero appena tostato e, nel finale, persino un accenno di caffè. La scorrevolezza è tipicamente tedesca, ovvero elevata, con poche bollicine ed un corpo leggero.  C’è giusto una leggerissima nota metallica in bocca, mentre il retrogusto, abbastanza corto, ripropone le delicate tostature del pane.  La fragranza non è la sua caratteristica principale, il livello non è all’altezza di altri piccoli produttori della Franconia ma il rapporto qualità prezzo, in Italia, direi che è assolutamente positivo. Una birra che ti accompagna senza richiedere attenzione e alla quale le si perdonano senza rancore le imprecisioni; due euro per un litro di birra nettamente superiore a quanto offrono le industriali sugli scaffali dei supermercati.
Formato: 100 cl., alc. 4.7%, lotto 125G0318, scad. 04/11/2017, prezzo indicativo 2.19 Euro (supermercato).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

mercoledì 1 febbraio 2017

Gouden Carolus Cuvee Van De Keizer Blauw/Blue 2013

Risalgono al 1369 le prime notizie di un birrificio a Mechelen per il quale tale Jan in den Anker versava i tributi richiesti; in quel periodo le beghine avevano una presenza importante in città e si occupavano di curare i malati, produrre pane e birra, coltivare verdure. 
Il sito dove si trova ancora oggi il birrificio Het Anker comprende alcuni edifici utilizzati nel 1400 e 1500 come ospedali e che erano un tempo parte dell’antica abbazia di Hemiksem. Il birrificio venne acquistato nel 1872 da Louis Van Breedam e dal 1990, alla quinta generazione di successori, è guidato da Charles Leclef; a lui il compito di portarlo fuori da una preoccupante crisi che aveva progressivamente ridotto la produzione ai minimi storici. Gli investimenti di Leclef hanno riguardato non solo l’ammodernamento degli impianti produttivi ma anche la costruzione di un hotel con una ventina di camere, inaugurato nel 1999. Il birrificio offre anche visite guidate e, nel 2010, è stata completamente ridisegnata la “Brasserie”, il  luogo dove poter mangiare assaggiando (quasi) tutta la gamma Het Anker. 
Il marchio Gouden Carolus, che prende il nome da una moneta d’oro usata all’epoca dell’imperatore Carlo Quinto, rimane quello più conosciuto del birrificio di Mechelen.  L’ammiraglia della gamma è senza dubbio la Cuvée van de Keizer Blauw, da non confondere con la sorella “rossa”. La Blauw viene prodotta dal 1999 una sola volta l’anno, esattamente il 24 febbraio, per festeggiare la nascita dell’imperatore Carlo V d’Asburgo (1500-1558): malti Pilsner e Caramello, luppoli belgi (Challenger) e una gradazione alcolica che è andata progressivamente aumentando per migliorare la capacità d’invecchiamento di questa Belgian Strong Dark Ale. Sino al 2002 l’ABV è rimasto fermo all’8.5%, per poi passare al 10% nel 2003 e all’11% nel 2004, restandoci sino ad oggi; da quanto leggo in rete anche il bouquet segreto di spezie utilizzato potrebbe variare di anno in anno. Dieci anni la shelf-life dichiarata di una birra che ben si presta ad essere dimenticata in cantina, anche per molto tempo. 
Il negozio Iperdrink.it mi ha inviato un edizione 2016 da assaggiare, ma io ho preferito recuperare dalla mia cantina l’annata 2013: per il mio gusto personale mi piace sempre attendere qualche anno prima di stappare una robusta Belgian Strong Dark Ale.  Se avete anche voi voglia di mettere una bottiglia in cantina, o di provare un millesimo recente, la potete acquistare direttamente qui: si trova peraltro attualmente in offerta.

La birra
Il suo color tonaca di frate è impreziosito da intense venature rosso rubino; la testa di schiuma che si forma è cremosa e compatta, dall’ottima persistenza. Dolce, caldo e accomodante è l’aroma: una sorta di amico che ti accoglie all’ingresso di una stanza e t’invita a metterti a tuo agio in poltrona, consegnandoti il bicchiere tra le mani.  Frutti disidratati (prugna, uvetta, fichi), zucchero candito, caramello e frutti di bosco iniziano a delineare un percorso che si sporge di tanto in tanto nel territorio dei vini fortificati. La sensazione palatale non è affatto ingombrante per una birra dal contenuto alcolico così importante (11%) e questa Cuvée van de Keizer riuscirebbe a scorrere a ritmi anche pericolosi. Ma è ovviamente obbligo sorseggiarla in tutta tranquillità e lasciarsi coccolare dal suo morbido calore etilico che accompagna la prugna, l’uvetta e il caramello, il biscotto ancora leggermente speziato, lo zucchero candito.  La bevuta è molto dolce e l’alcool, che accelera delicatamente nel finale, aiuta a portare equilibrio: nel finale c’è giusto un frammento amaro di pane tostato ma il retrogusto – forse il momento migliore di questa birra - è di nuovo un abbandonarsi al dolce della frutta sotto spirito, con echi di vino liquoroso /fortificato. 
Nel complesso è una bevuta relativamente semplice, con pochi elementi in gioco che non stancano mai il palato: l’alcool è gestito in maniera impeccabile, senza mai essere troppo o troppo poco.  La soddisfazione è notevole, soprattutto se ci abbinate del cioccolato fondente; bevetela senza fretta e tiratela fuori dalla cantina senza fretta. La sua evoluzione nel tempo è un percorso che va seguito con interesse ed attenzione.
Formato: 75 cl., alc. 11%, IBU 15, lotto 13028, scad. 02/04/2023, prezzo indicativo  6,50/9.00 Euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

martedì 31 gennaio 2017

CraftCountry Brewery: Smasher & Miyamato

Anche in Tirolo, regione sud-orientale delll'Austria, la craft beer revolution ha iniziato a muovere i primi passi, sebbene in maniera molto più compassata e lenta rispetto non solo al resto del paese ma anche alla vicina Germania. La "capitale" Innsbrück ha ora un interessante bar dedicato alla birra "artigianale" e ad Hall in Tirol, a dieci chilometri di distanza, è operativo dal 2014 il microbirrificio CraftCountry.
Lo fondano Jürgen Ladstätter e Simon Wabnig, il primo dei due folgorato nel 2012 durante un lungo soggiorno negli Stati Uniti dai profumi e dai sapori dei luppoli americani. Rientrato in Tirolo, dove  non c'era nessuna possibilità di accedere a quel tipo di birre, Ladstätter decide di iniziare a farsele in casa assieme ad alcuni amici. La passione si trasforma in un business plan che parte nel 2014 con i lavoro di costruzione della CraftCountry Brewery, inaugurata nel 2015 e già ampliata nell'anno appena concluso: oggi il birrificio produce su di un impianto da 20HL con 120HL di capacità nei fermentatori, e dispone di una linea d'imbottigliamento automatica. Sono al momento cinque le birre prodotte regolarmente: una hoppy lager, una pils, una amber ale, un'american pale ale ed una stout.

Le birre.
Smasher è una Amber Ale che dichiara un generoso dry-hopping di vari luppoli (americani?) non specificati. Nel bicchiere è giustamente ambrata e forma un generoso cappello di schiuma ocra, cremosa e compatta, molto persistente. Difficile risalire all'età della bottiglia in mio possesso: la scadenza è aprile 2017 ma non sono sicuro che il birrificio dia una shelf life di un anno. Fragranze e freschezza non sono le caratteristiche principali dell'aroma ma il risultato non è tuttavia disastroso: c'è una piccola macedonia di frutta, con elementi tropicali (mango, papaia, maracuja), melone e agrumi, soprattutto pompelmo. La frutta molto dolce, quasi zuccherata, ritorna anche in bocca ed è ben amalgamata con il caramello e il biscotto; si chiude con un amaro di discreta intensità ma di breve durata, tra resina e pompelmo. Nel retrogusto affiora un po' di cereale, mentre la sensazione palatale, leggera e con qualche sconfinamento di troppo nell'acquoso, è tutt'altro che memorabile. Scorre bene ma con poca personalità questa Amber Ale: al di là di un aroma fruttato dolce e un po' ruffiano non c'è davvero nulla che la possa far ricordare, se chi beve ha già un po' di esperienza con i luppoli americani. Meglio pensare a lei come ad una delle poche alternative alle blande basse fermentazioni industriali che hanno il monopolio nei locali di questa regione dell'Austria: il gusto sicuramente ci guadagna, ma non ci sono da fare i salti di gioia.

Passiamo alla Miyamato, una Pale Ale prodotta con luppoli giapponesi non specificati e, se leggo correttamente l'etichetta in tedesco, acqua trattata con calcio di corallo fossile Sango. Anche lei è ambrata, leggermente più chiara della sorella Smasher e forma un altrettanto impeccabile cappello di schiuma biancastra, cremosa e molto compatta. Mango e papaya, caramello e bubble gum sono i protagonisti di un aroma dolce che tende a suggerire la frutta candita e la marmellata; del cocco dichiarato tra le note gustative in etichetta, nessuna traccia. Il gusto mostra buona corrispondenza con l'aroma con biscotto e caramello a sostenere il dolce del bubble gum e della frutta tropicale. Ma mentre la Smasher chiudeva con un timido crescendo amaro, questa Miyamato  va nella direzione opposta, di fatto spegnendosi e scivolando nell'acquoso, eccezione fatta per una velocissima nota amara (resina, terra). L'intensità complessiva è abbastanza modesta e anche qui c'è molta poca personalità, con il risultato di una birra bevibile che  - devo ripetermi - lascia molto poco a chi ha un palato già lontano dalle birre industriali.
Due birre "artigianali/craft" piuttosto timide, o in versione 1.0, che ricordano un po' la scena italiana di sette-otto anni fa: lavori in corso e tanta strada da fare, almeno per CraftCountry. All'estremo opposto occidentale dell'Austria c'è invece chi riesce a produrre birre di ottima fattura e personalità.
Nel dettaglio:
Smasher, formato 33 cl., alc. 5%, IBU 42, scad. 07/04/2017, prezzo indicativo 1.99 Euro (supermercato, Austria).
Miyamato, formato 33 cl., alc. 5.5%, IBU 47, scad. 07/04/2017, prezzo indicativo 1.99 Euro (supermercato, Austria).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

lunedì 30 gennaio 2017

The Bruery Share This: Coffee

A maggio 2016 il birrificio californiano The Bruery annuncia la nascita della "Share This", ovvero una serie di imperial stout che saranno realizzate utilizzando ogni volta alcuni ingredienti diversi selezionati da Patrick Rue. 
Il fondatore del birrificio spiega che "quando abbiamo iniziato a pensare agli ingredienti che volevamo utilizzare, ci siamo resi conto che di solito provenivano dalle regioni più povere del mondo. Realizziamo le nostre birre (nel formato da 75 cl., nda) affinché siano condivise tra più persone e, andando un po' oltre in questo caso, siano condivise anche con quelli che beneficiano del nostro aiuto". The Bruery ha infatti deciso di donare in beneficienza un dollaro per ogni birra prodotta. 
La serie viene inaugurata a giugno 2016 con una massiccia imperial stout chiamata Share This Coffee per la quale viene utilizzato caffè della varietà  Bourbon & Catimor proveniente dalla fattoria della famiglia Cagat che si trova sull'isola di Mindanao, nelle Filippine; il caffè è stato poi tostato dalla torrefazione Mostra Coffee di San Diego.  
Il ricavato di un dollaro a bottiglia è stato donato alla Free Wheelchair Mission (FWM), un'organizzazione no profit  nelle Filippine che fornisce sedie a rotelle a persone che vivono nei paesi in via di sviluppo. "Grazie alla partnership con The Bruery - racconta un rappresentante della FWM - saremo in grado di restituire la mobilità a 550 persone nelle Filippine che potranno così tornare ad avere una vita sociale. Con la sedia a rotelle restituiremo a chi la riceve anche dignità, indipendenza e speranza".

La birra.
Non è nera ma poco ci manca e genera una bella testa di schiuma color cappuccino cremosa e compatta, dalla buona persistenza. L'aroma è ovviamente dedicato al caffè, sia in chicchi che espresso, ma non solo: ci sono indizi di cacao, liquirizia e qualche nota terrosa, etilica, di pelle/cuoio. Bene la pulizia, discreta l'intensità che tuttavia si prende subito la rivincita al palato: è un'imperial stout imponente ma non ostica, che scorre senza intoppi. Poche bollicine, consistenza oleosa, corpo tra il medio ed il pieno ed un bel carico di caffè ed intense tostature che sono bilanciate dal dolce di caramello, liquirizia e un discreto residuo zuccherino.  Si chiude con caffè e tostature, una lieve nota terrosa e anche una leggerissima astringenza, il tutto imbevuto nell'alcool per un retrogusto caldo, potente e morbido al tempo stesso; il formato da 75 cl. è ovviamente da condivisione ma è una birra che si può comunque sorseggiare senza grossi sforzi. 
Imperil stout pulita, intensa, bilanciata e ben fatta, di livello molto buono ma non eccelso; quando si beve Bruery si parla purtroppo quasi sempre di cifre considerevoli: lecito quindi pretendere un'adeguata ricompensa/soddisfazione, ma in questo caso a mio parere il viaggio  - seppure gradevole - non vale  del tutto il prezzo del biglietto. 
Formato: 75 cl., alc. 11.9%, IBU 35, lotto 315, imbott. 03/05/2016, prezzo indicativo in Europa 18/20,00 Euro (beershop).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

domenica 29 gennaio 2017

Pyraser Kellerbier

Pyras, paese nel quale vivono circa duecento anime e che si trova una quarantina di chilometri a sud di Norimberga, nella Baviera: qui dal 1870 la famiglia Bernreuther conduce la Pyraser Brauerei.
Ma la tradizione si può addirittura far risalire al 1649, anno in cui l'immigrato austriaco Hanns Bernreuther arriva in Franconia ed acquista una fattoria che, come era solito a quel tempo, produce anche birra. Dei suoi dieci figli almeno otto si dedicano alla birra, sia gestendo fattorie che ristoranti. A Pyras si stabilisce per primo Johann Adam Bernreuther: è il 1749 quando ventenne acquista la fattoria Zum Angerwirt, dedicandosi soprattutto al legname. Il birrificio arriva solamente nel secolo successivo, quando le attività della fattoria sono messe in crisi dalla limantria, una  farfalla parassita capace di defogliare qualsiasi albero; dovendosi reinventare una professione, Adam Bernreuther sceglie la produzione di birra. 
Friedrich Bernreuther ha il compito di far rinascere il birrificio dalle sventure della seconda guerra mondiale, ma è sopratutto il figlio Georg, subentrato nel 1969 alla prematura morte del padre, a compiere importanti lavori di ammodernamento e di espansione. Dal 2010 il birrificio Pyraser è guidato da Marlies Bernreuthe, figlia di Georg, a quel tempo la più giovane donna bavarese proprietaria di un birrificio: aveva trentun anni. E' lei ad introdurre le prime novità all'interno di una gamma di birre sino ad allora rispettose della tradizione e dell'editto di purezza: nasce la Pyraser Herzblut, marchio col quale vengono prodotte alcune Bierspezialitäten. Arrivano una Imperial Pale Ale, una Doppelbock invecchiata in botti di whisky (Oaked Whiskey Ultra) e la Belgian Strong Ale chiamata Achims Grand Cru. Ad affiancare Marlies c'è il giovane birraio Achim Sauerhammer che ha raccolto il testimone dal padre Helmut, birraio per Pyraser dal 2001.

La birra.
Restiamo sul classico con una bottiglia di Pyraser Kellerbier: viene prodotta con malti Monaco e Pilsner, luppoli Perle, Hersbrucker, Select. Il suo colore è ambrato, con riflessi ramati e un cremoso cappello di schiuma biancastra, fine e compatta, dalla buona persistenza. Al naso profumi di miele millefiori e camomilla, cereali ma anche qualche puzzetta (skunk) dovuta ad un'eccessiva esposizione alla luce. Che la tradizione tedesca imponga la facilità di bevuta è un dato di fatto ovvio, ma in questa bottiglia di Kellerbier di Pyraser la caratteristica viene portata all'estremo. La birra scivola subito nell'acquoso con poche bollicine ed un corpo abbastanza esile: l'intensità del gusto non l'aiuta a risollevarsi, con pane, miele e cereali che cercano di non annegare nell'acqua. In bocca anche un leggero diacetile, ma a rovinare quel poco che c'è arriva una poco gradevole nota di cartone; chiude con un passaggio amaro velocissimo che riesce ugualmente a dare qualche impressione di gomma bruciata. 
Una bevuta piuttosto deludente, con tutte le giustificazioni del caso di una bottiglia che mi sembra essere stata un po' maltrattata: ma al di là di qualche difetto, quello che colpisce maggiormente è l'intensità davvero bassa. 
Formato: 50 cl., alc. 4.8%, IBU 18, scad. 07/06/2017

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.