lunedì 18 gennaio 2016

Amager / Arizona Wilderness: Arizona Beast

Nuovo capitolo della saga “collaborazioni con colleghi statunitensi” realizzata dal birrificio danese Amager; le puntata precedenti  le potete trovare qui, un po’ sparse. Quella di oggi è una delle più recenti, presentata lo scorso 4 luglio 2015 in occasione dell’evento American Day che si svolge presso il birrificio; i protagonisti sono stati Crooked Stave (Chad King of the Wild Yeasts), Against The Grain Brewery (Pocketful of Dollars), Cellarmaker Brewing Co. (The Dank Dane), 18th Street Brewery (Lawrence of Arabica), Arizona Wilderness (Arizona Beast) e  proprio quest’ultima è la protagonista di oggi.
Arizona Wilderness è un piccolo brewpub aperto a Gilbert (Phoenix, Arizona) a settembre 2013 da Jonathan Buford, Brett Dettler  (business manager) e Patrick Ware (birraio): i tre sono soci in parti uguali ma è Budford ad aver lanciato l’idea, ispirato dalla visione in TV della serie Brew Masters con protagonista Sam Calagione.  Impara a fare la birra in casa seguendo i consigli di un amico homebrewer e utilizza il 401K della moglie per acquistare un impiantino Tippy Dump  della MoreBeer!  Un paio d’anni di prove in garage e, incoraggiato dai pareri entusiasti degli amici, chiude la propria impresa di lavavetri e racimola 43.000 dollari in crowfunding per aprire l’Arizona Wilderness Brewpub. Le cose non vanno però molto bene, complice anche la burocrazia che ne ritarda l’apertura di quasi dodici mesi mettendo a dura prova le finanze dei tre fondatori che nel frattempo avevano lasciato le proprie occupazioni precedenti. 
Il futuro non sembra molto roseo ma il 29 gennaio 2014 il sito Ratebeer pubblica la consueta classifica annuale dei migliori birrifici al mondo, secondo i beer-raters;  tra i 2600 produttori che hanno aperto la propria attività nel corso del 2013,  “miglior nuovo birrificio al mondo” viene eletto proprio Arizona Wilderness. Come abbia fatto un brewpub che ha ufficialmente aperto le porte solo a settembre a diventare in soli quattro mesi il  “miglior nuovo birrificio al mondo” è per me un mistero abbastanza interessante considerando anche il fatto che il brewpub non fa bottiglie e quindi l’unico modo di assaggiare le birre è di recarsi sul posto e scegliere tre le otto spine che ruotano. L’unica certezza è che indiscutibilmente le birre vengono sempre bevute fresche e non sono sottoposte ai traumi da viaggio. 
Ad ogni modo, l’incoronazione di Ratebeer è una manna dal cielo per il brewpub; a quanto pare il primo a chiedere di voler assaggiare le birre di questo birrificio sconosciuto è Mikkeller, che manda una mail il giorno stesso cogliendo Buford di sorpresa: ancora non sapeva della vittoria. I turni di lavoro raddoppiano, il personale che lavora al brewpub passa da 17 a 39 persone in sole sei settimane con la gente che il venerdì sera attende fuori dal locale anche per quattro ore prima di riuscire ad entrare; si manifestano importanti finanziatori che offrono il denaro necessario per aumentare la capacità produttiva. Un breve tour europeo porta poi alla realizzazione di birre collaborative con Beavertown, Buxton e Siren (UK), Mikkeller, To ØL e Amager (Danimarca); ma probabilmente ne avrò dimenticato qualcuno. 
Tante, qualcuno dirà troppe sono le India Pale Ale realizzate da Amager ma è questo lo stile che viene seguito anche nella collaborazione con Arizona Wilderness: quella che viene prodotta è una "Oatmeal IPA" che utilizza avena maltata e in fiocchi, malti Pilsner e Carapils ed una generosa luppolatura di Herkules, Polaris, Citra ed Amarillo.
Perfettamente dorata e velata, genera un altrettanto impeccabile cappello di schiuma biancastra, fine e cremosa, dalla buona persistenza. L'aroma, per quel che riguarda la fragranza e l'intensità, risente un po' dei quattro mesi di vita di questa bottiglia, ma si mantiene comunque pulito ed elegante: il bouquet dei profumi ha una leggera predominanza di agrumi (pompelmo e mandarino) ma non dimentica di passare in rassegna i tipici elementi di una American IPA come la frutta tropicale (mango, ananas) e gli aghi di pino. S'avverte anche una lieve presenza di cereali. L'utilizzo dell'avena si riflette soprattutto nella sensazione palatale, rendendo questa IPA morbida e gradevole ma forse un pelino più spessa ed ingombrante di quello che potrebbe essere; il corpo è medio. Niente da dire invece sul percorso al palato: un leggero ingresso maltato (pane, miele), il dolce della frutta tropicale (mango e ananas) ed una bella progressione amara (resina, pompelmo, vegetale) che sfocia in un finale piuttosto intenso ma mai privo di una certa eleganza. L'alcool è ben nascosto in una birra piuttosto ben costruita nella quale la frutta succosa, dolce, fornisce il necessario supporto al lungo retrogusto muscoloso ed amaro, delicatamente etilico; la freschezza non è sicuramente al top ma è  ancora accettabile in una IPA godibile e molto pulita, intensa e facile da bere.  
Difficile dire quanto si differenzi dalle molte altre IPA proposte da Amager ma questo non ha dopo tutto una grossa importanza: quello che conta è che quando hai voglia di bere una IPA ci sia nel bicchiere qualcosa di gustoso e di fatto molto bene, cosa che in questo caso avviene.
Formato: 50 cl., alc. 7%, lotto 1132. scad. 09/2016.

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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