Dogfish Head, attivo dal 1995, è uno dei pionieri della Craft Beer americana e lo abbiamo incontrato sul blog in più di un’occasione, nonostante le sue birre siano sempre arrivate in Europa col contagocce. Anche Sam Calagione, fondatore ed uno dei personaggi più carismatici del movimento statunitense, ha dovuto fare i conti con un mercato che in vent’anni è profondamente cambiato: lo scorso maggio Dogfish ha annunciato la fusione con un altro pezzo di storia della birra artigianale a stelle e strisce, ovvero la Boston Beer Company proprietaria di marchi come Samuel Adams, Angry Orchard Hard Cider, Twisted Tea, and Truly Spiked & Sparkling. La fusione - o la vendita a Boston, se preferite - ha creato un nuovo gruppo del valore stimato di 300 milioni di dollari guidato da Dave Burwick (CEO di Boston). Sam Calagione avrà un posto nel consiglio d’amministrazione: lui e sua moglie hanno ricevuto in cambio 406.000 azioni (circa 130 milioni di dollari) che lo rendono il maggior azionista assieme a Jim Cock, fondatore di Boston Beer Company. Il 2019 si è chiuso per Dogfish con una produzione di circa 350.000 ettolitri di birra.
In 25 anni di carriera Calagione ha trasformato un piccolo brewpub in uno dei microbirrifici artigianali più famosi della scena americana: oggi per Dogfish lavorano circa 400 persone nel birrificio, nei ristoranti Tasting Room & Kitchen (6 Cannery Village Center, Milton, DE), Brewings & Eats (320 Rehoboth Ave., Rehoboth Beach, DE), Chesapeake & Maine (316 Rehoboth Ave., Rehoboth Beach, DE) e nell’albergo Dogfish Inn che si trova nel centro di Lewes. Birraio e innovatore (il “Continual Hopping”, il Randall, il primo e controverso bicchiere da IPA), imprenditore (socio nella Birreria di Eataly a New York), attore (la serie Brew Masters trasmessa nel 2010 da Discovery Channel) e scrittore (Extreme Brewing: An Enthusiast's Guide to Brewing Craft Beer at Home): tra queste birre “estreme” rientra anche il primato per la birra più alcolica al mondo che Dogfish Head ha detenuto per qualche anno.
La birra.
Era l’inverno del 1999 quando la World Wide Stout di Dogfish conquistava quel primato contendendoselo a colpi di ABV proprio con una birra della Boston Beer Company, la Utopia di Sam Adams. La sfida andò avanti per qualche anno e si concluse con una versione di World Wide Stout al 23.5% superata definitivamente nel 2007 dalla Utopia al 25.6%: Calagione abbandonò poi la competizione abbassando l’ABV tra il 16 ed il 18% lasciando che l’assurda gara alla birra più alcolica al mondo si spostasse nel continente europeo. “Anche le nostre birre più estreme, come la 120 Minutes IPA e la World Wide Stout, sono comunque riconducibili in qualche modo a categorie di birre: non credo che la gente possa dire lo stesso nel bere la Utopia di Sam Adams. La prima parola che ti viene in mente bevendola è liquore, non birra: è buonissima ma alla cieca non diresti mai di avere nel bicchiere una birra”.
Calagione, che solitamente ama divulgare al pubblico le proprie tecniche produttive, non è mai voluto scendere troppo nei dettagli sulla World Wide Stout: “non voglio rivelare nulla su come vengono prodotte le nostre birre con ABV superiore al 12%, ci abbiamo messo troppi anni per affinare la tecnica”. Sembra tuttavia che il primo lotto del 1999 sia stato prodotto utilizzando sette diversi ceppi di lievito poi ridotti a quattro: belga, champagne, ale e un lievito particolarmente adatto a gestire l’elevato contenuto alcolico.
Inizialmente la World Wide Stout era venduta in bottiglie da 75 centilitri (18 dollari) e negli anni ne sono state ovviamente prodotte numerose varianti: assaggiamone una delle ultime, quella invecchiata in botti di rovere con aggiunta di baccelli di vaniglia del Madagascar che ha debuttato nel luglio del 2017. Il suo colore è un ebano scuro tendente al nero, la schiuma è più che dignitosa se si considera l’elevata gradazione alcolica (16%). Il naso è intenso e caldo, marcatamente etilico: frutta sotto spirito, prugna disidratata e uvetta. Il bello è rilegato un po’ in secondo piano: accenni di legno e vaniglia, carne, torrefatto, vino fortificato. Al palato è quasi piena, leggermente oleosa, non ingombrante ma caratterizzata da una presenza etilica davvero predominante che sembra addirittura superiore a quanto dichiarato in etichetta. E’ birra ma bisogna sorseggiarla come un liquore e, soprattutto, lasciarla nel bicchiere per un po’ e attendere che raggiunga la temperatura ambiente. Solo a questo punto l’alcool s’ammorbidisce lasciando emergere frutta disidratata e vaniglia a comporre una bevuta dolce che viene immediatamente asciugata dall’alcool: il climax si fa attendere ed arriva giusto a fine corsa, con un bellissimo finale caldo e avvolgente nel quale l’alcool abbraccia torrefatto e cioccolato, con un tocco d’affumicato.
Birra imponente e da piccole dosi, molto impegnativa, che richiede tempo ma regala buone soddisfazioni: meglio condividere con qualcuno anche la bottiglia da 35 centilitri. Il birrificio la consiglia in abbinamento con cervo arrosto, coscia d’agnello, cheesecake o mousse al cioccolato.
Formato 35,5 cl., alc. 16%, IBU 70, imbott. 16/06/2017, pagata 8,25 dollari NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
Mamma mia ogni volta dici sempre e troppo alcolica anche se stavolta lo e però avvolte anche per meno di10abv e poi lamentarsi di una bottiglia che e troppo grande
RispondiEliminafosse per me dovrebbero essere da50 cl a salire fino alla75cl
e poi birre come queste non si dividono