giovedì 17 dicembre 2020

DALLA CANTINA: O'Hanlons Thomas Hardy's Ale 2008

Per oltre un secolo l’imponente birrificio Eldridge Pope è stato l’edificio più importante di Dorchester e la ruota motrice dell’economia della città inglese. Nel 1837 Charles Eldridge, già proprietario dell’hotel Antelope aveva acquistato anche il piccolo birrificio Green Dragon, espandendone la produzione; la moglie Sarah guidò l’azienda alla morte del marito (1846) assieme al partner commerciale Samuel Mason, un altro produttore di birra.  Sarah Eldridge morì nel 1856 cedendo le sue quote al figliastro John Tizard e Mason si ritirò nel 1870 (si dice a seguito della morte del figlio in un incidente di lavoro nel birrificio) vendendo a Edwin Pope e al cugino Alfred. L’anno successivo, alla morte di Tizard,  la figliastra ed ereditiera Sarah Eldridge decise di vendere la sua quota alla famiglia Pope. Edwin Pope mise subito in atto un grande piano di espansione acquistando terreni adiacenti alla linea ferroviaria e commissionando all’architetto W.R. Crickmay un nuovo edificio, in stile vittoriano, che fu inaugurato nel 1881. La Eldridge Pope & Co. Limited divenne il più grande birrificio nonché datore di lavoro di tutta Dorchester;  lo stabile fu poi seriamente danneggiato da un incendio nel 1922 e la produzione interrotta sino al 1925.  
Le due guerre mondiali fecero scomparire dal mercato le birre dall’alta gradazione alcolica e anche quando il governo tolse le restrizioni, agli inizi degli anni ’50, furono davvero pochi i birrifici che ricominciarono a produrle. Tra questi vi fu proprio Eldridge Pope.   Michael Jackson riporta nella sua World Guide to Beer che nel 1967 alla Eldridge  trovarono per caso duemila bottiglie vuote di epoca vittoriana e si chiesero con che cosa avrebbe potuto riempirle. Proprio in quel periodo a Dorchester si stava organizzando un festival letterario che celebrava il quarantesimo anniversario della morte di Thomas Hardy, poeta e scrittore nato e vissuto a poche miglia di distanza il quale, nel suo racconto The Trumpet Major, aveva dedicato qualche riga alla birra locale: “era del colore più bello che l’occhio di un artista potesse desiderare per una birra: robusta e forte come un vulcano; piccante, senza essere pungente; luminosa come un tramonto d’autunno; dal sapore uniforme, ma, alla fine, piuttosto inebriante. Il popolo l’adorava, la gente per bene l’amava più del vino”. Cecil Pope, nipote di Alfred, chiese al birraio Denis Edwin Holliday di produrre una birra speciale per l’evento e Holliday rielaborò la ricetta del barley wine della casa chiamato Goldie  e lo mise ad invecchiare per sei mesi in botti ex-sherry che venivano ruotate quotidianamente. Il risultato finì poi in bottiglie chiuse da sughero, ceralacca  e chiamato Hardy Ale, birra celebrativa che venduta ad un prezzo che equivaleva a quello di dieci pinte di bitter. Nonostante il costo elevatissimo, quella che doveva essere una birra occasionale ottenne riscontri favorevolissimi convincendo il birrificio a replicarla nel 1974 e da allora una volta all’anno, diventando oggetto di culto degli appassionati che attendevano con ansia l’uscita del nuovo millesimo.
Gli anni ’90 furono caratterizzati da una serie di errate decisioni da parte del management di Eldridge Pope nel tentativo di risollevarsi da una difficile situazione finanziaria: la peggiore  fu probabilmente quella di separare gli assetti produttivi da quelli di vendita, ovvero la catena dei pub di proprietà, le cui spine finirono rapidamente in mano ad altri distributori. Alcune fonti riportano che nel 1996 il birrificio smise di produrre le proprie birre lavorando solamente per conto terzi. Nel 1997 il management del birrificio acquistò dai Pope il marchio, mentre impianti e sito produttivo rimasero in mano alla famiglia che lo aveva fondato: la nuova società fu rinominata Thomas Hardy Brewery & Packaging e l’anno successivo rilevò un altro birrificio a Burtonwood formando la Thomas Hardy Burtonwood. La produzione riprese ma, nonostante il nome scelto, tra le prime decisioni del management ci fu quella (1999)  di sospendere la Thomas Hardy’s Ale, ritenuta una birra troppo costosa da produrre. 
Nel 2003 la Thomas Hardy Brewery fece un offerta ai Pope di 8 milioni di sterline per acquistare il birrificio di Dorchester: la famiglia la rifiutò e preferì invece cedere il complesso alla Landworth Properties che aumentò immediatamente il contratto d’affitto costringendo di fatto la Thomas Hardy Brewery alla chiusura definitiva ed al licenziamento di 57 dipendenti, nel luglio dello stesso anno. L’anno successivo la famiglia Pope cedette per 40 milioni di sterline e 42 milioni di debiti tutti i pub ancora di proprietà all’imprenditore Michael Cannon, abilissimo a trasformarli nella catena Que Pasa Bar, poi rivenduta nel 2007 al gruppo Marston’s per 155 milioni di sterline.  Il vecchio birrificio Eldridge Pope rimase abbandonato sino alla trasformazione, completata nel 2013,  nel complesso chiamato Brewery Square che oggi accoglie negozi, ristoranti, cinema, appartamenti e un hotel. 
La scomparsa della Thomas Hardy’s Ale gettò subito nello sconforto gli appassionati, molti dei quali si trovavano negli Stati Uniti. E fu proprio grazie ad uno di loro che la birra riuscì a rinascere: una storia l’avete già sentita? E’ più o meno quello che accadde con la Extra Double Stout.  Questa volta il merito va attribuito a George Saxon, proprietario della la Phoenix Imports, Maryland, che dal 1986 importava in esclusiva sul suolo americano la preziosa birra, solitamente in bottiglie da 33 centilitri (in Inghilterra era più frequente il formato 18 o 25). Saxon rilevò la proprietà  del marchio e si mise a cercare un birrificio in Inghilterra che potesse ricominciare a produrla: la scelta cadde su O’Hanlon, un piccolo produttore nel Devon. Il 2003 fu la prima annata della nuova Thomas Hardy’s, ricreata in ogni dettaglio: etichetta, numero lotto e prefisso lettera identificativo, tappo e collo della bottiglia ricoperti da un lamina  dorata, piccolo medaglione ornamentale. La maggior parte degli appassionati fu soddisfatta ma non mancarono i sostenitori del “non è più la birra di una volta”: affermazione perlomeno prematura, visto che si tratta di una birra da bere dopo almeno tre anni di cantina, come suggerivano sin dall’inizio alla Eldridge Pope. 
La nuova avventura O’Hanlon non durò però molto, giusto il tempo di raccogliere qualche medaglia nei concorsi e di rimpolpare le cantine degli appassionati. Nel 2009 Liz O'Hanlon, direttore commerciale del birrificio, annunciava di aver gettato la spugna: “non è una decisione facile, ma non ne vale più la pena. Le vendite sono buone ma non giustificano gli sforzi che ci vogliono per produrla. A fare le nostre birre ci mettiamo due settimane; iniziamo invece a produrre la Thomas Hardy a gennaio e possiamo imbottigliarla solo in settembre. Dobbiamo poi incartare le bottiglie, numerarle ed appendere a mano i medaglioni al collo. Auguro ogni fortuna a Saxon, ma non credo sarà facile”. 
La stampa inglese di settore provò a sondare il terreno con due birrifici che già producevano riedizioni di birre storiche. Alla Marston’s dissero di poter prendere in considerazione l’ipotesi solo in caso di volumi superiori a 10.000 ettolitri all’anno. John Keeling di Fuller’s, che si era già preso a cuore le sorti della Gaze Pride Old Ale,  disse di sì, ma solo se gli fosse stato venduto anche il marchio: “non possiamo fare tutti quegli sforzi produttivi per una birra che non è neppure nostra”.
Per qualche anno non si venne a sapere nulla sul futuro della mitica Thomas Hardy’s Ale: fu necessario attendere l’agosto del 2012 quando a sorpresa,  i fratelli Vecchiato del colosso distributivo nazionale Interbrau, annunciavano di aver acquistato il marchio da Saxon. La notizia riempì d’orgoglio tutti gli appassionati italiani, ma per i Vecchiato la parte più difficile doveva ancora venire: trovare qualcuno affidabile in grado di produrla rispettando minuziosamente la ricetta originale. Riesumare un marchio dal pegidree così importante senza rispettarne la tradizione sarebbe stato un imperdonabile errore.  I Vecchiato si recarono  subito alla O'Hanlon alla ricerca di preziose informazioni ma i proprietari, che stavano vendendo il birrificio, non furono molto amichevoli e i birrai che avevano lavorato alla ricetta se n’erano già andati. Neppure le chiacchierate con alcuni vecchi dipendenti di Elrdige Pope furono molto utili. Decisero allora di sondare il terreno con uno dei loro partner commerciali, il birrificio Meantime, del quale Interbrau è importatore per l’Italia. Il birrario Alastair Hook era una garanzia ed era grande amico di Micheal Jackson: a lui il beerhunter lasciò in eredità la sua collezione personale di bottiglie, con ovviamente numerose annate di Thomas Hardy.
La nuova Thomas Hardy debuttò nel 2014 con una “Preview Edition” non destinata al commercio: verrà recapitata solo ad alcuni addetti ai lavori, giornalisti del settore e fatta assaggiare nelle fiere.  L’anno ufficiale del ritorno fu il 2015, proprio l’anno in cui Meantime veniva venduto all’industria (prima SAB Miller, poi Asahi). Alastair Hook fa ancora parte di Meantime e la Thomas Hardy, per quanto ne so, continua ad essere prodotta su quegli impianti.

La birra.

Nel 2008 ero già appassionato di birra, ma in modo diverso: ero solo curioso di bere qualsiasi cosa non avessi ancora provato, non sapevo esistesse la birra artigianale. Mi trovavo a Londra, ricordo ancora gli scaffali del supermercato Waitrose al piano interrato del centro commerciale Westfield: cercavo qualcuna di quelle bottiglie che avevo visto sulle guide e sugli atlanti generali della birra che si trovavano in libreria. La Bombardier di Wells, la Pedigree di Marstons, la Bass Pale Ale: non sapevo cosa fosse la Thomas Hardy’s Ale ma evidentemente quella curiosa bottiglia con il medaglione appeso al collo attirò la mia attenzione e la misi in valigia. Fu solo per caso che non la stappai appena tornato a casa: forse cercai qualche informazione e venni a sapere che era una birra mitologica, da mettere in cantina e da bere dopo molti anni. Meglio così. Noto ora che l’etichetta ha anche una piccola cornice in lingua italiana con ingredienti e data di scadenza.
In questi dodici anni ho resistito più volte alla tentazione di aprirla; avevo sempre la paura che fosse presto e che la birra potesse ulteriormente migliorare. Sono in parte stato facilitato dal peso della storia; raccontarla sul blog in modo appropriato significava sobbarcarsi un lavoro di ricerca lungo, impegnativo e quindi ho sempre rimandato. Non potevo tuttavia concludere la più che decennale avventura di Unabirralgiorno (iniziata proprio in quegli anni!) senza  la Thomas Hardy’s Ale.  
Il suo colore non è esattamente quel “tramonto d’autunno”  delle Strong Ales del Wessex decantate da Thomas Hardy: è ambrato molto carico e piuttosto torbido, la schiuma è comprensibilmente evanescente. L’aroma regala subito spiccate sensazioni di Porto e di Sherry: annoto anche mela al forno, ciliegia, frutti di bosco, uvetta, prugna, datteri e fichi disidratati. L’intensità è piuttosto buona, l’ossidazione è del tutto positiva: non si dovrebbe mai usare l’aggettivo “dolce” nel caso dell’aroma ma la sensazione che avverto è zuccherina, sciropposa, quasi una marmellata. Il corpo è ancora degno di nota, non ci sono grossi cedimenti dovuti all’età e le bollicine sono ancora ben percepibili.  La bevuta ripropone in maniera molto più educata e armonica l’aroma, senza quegli sbuffi sciropposi che vanno un po’ oltre le righe: s’avverte ancora una flebile componente maltata che richiama il caramello, la frutta sotto spirito è molto meno in evidenza e la sensazione è davvero di avere nel bicchiere un vino fortificato. E’ dolce ma ben attenuata, il tanto temuto cartone bagnato si avverte a fatica solo andandolo a cercare. L’alcool  (11.7%) dà il suo contributo senza mai andare oltre le righe: scalda il palato e scalda il cuore. Una birra invecchiata benissimo la cui bevuta è accompagnata da inevitabili emozioni derivanti da un viaggio indietro nel tempo, poco importa se questa non è una delle bottiglie di Eldridge Pope. 
Il bicchiere ormai vuoto è inevitabile sorgente di malinconia. Barley Wine? Old Ale? Semplicemente Thomas Hardy’s Ale.  Devo però essere sincero: nei miei ricordi e nel mio cuore non riesce però a scalfire la Harvest Ale di J.W. Leesvetta per me irraggiungibile. La producono ancora ogni anno e per comprarla non bisogna svenarsi su Ebay: in pochi la cercano… meglio così. Ne rimane di più per me.

Formato 27,5 cl., alc. 11.7%, , lotto 2008, scad. (italiana) 31/12/2016

2 commenti:

  1. Sono queste storie, questi racconti e questi assaggi che più ci mancheranno.
    Grazie Davide per questi picccoli ma importanti post che ci hai regalato nel corso degli anni.

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