Dopo le Menaresta "moderne", realizzate negli ultimi anni dal birraio Marco Valeriani (Due di Picche, GiB, e 22 La Verguenza) è tempo di fare qualche passo indietro e di scoprire anche le "classiche". E' ad esempio il caso della San Dalmazzo, in produzione sin dall'anno di nascita di Menaresta (2007) e che trovo definita su molti siti come "un incrocio tra una IPA ed una bionda d'abbazia"; meglio attenersi a quanto dichiara invece il birrificio, ovvero una ricetta che prevede un ceppo di lievito belga ed un mix di luppoli tedeschi, cechi ed americani. Come quasi tutte le altre birre, anche la San Dalmazzo è legata alla storia del birrificio; racconta Marco Rubelli che "San Dalmazzo è il nome di una chiesetta ligure dove facevamo scampagnate da piccoli e dove cresceva il luppolo spontaneo". La ricetta ha sicuramente subito la sua evoluzione nel corso del tempo; purtroppo non ho avuto l'occasione di assaggiarla negli anni scorsi, ma quella attuale è una birra assolutamente "contemporanea", che trova comodamente posto accanto alle più recenti creazioni di Valeriani.
Nel bicchiere arriva di colore oro pallido, leggermente velato; la generosa schiuma bianca che si forma ha una buona ritenzione ed è compatta e cremosa. L'aroma, leggermente fenolico, non nasconde la matrice belga del lievito, con qualche spezia (chiodi di garofano), banana ma soprattutto sentori floreali (geranio) e di agrumi (limone).
Vivace ed abbastanza carbonata in bocca, è leggera e "scattante", scomparendo dal bicchiere con la velocità di una session beer, anche se la gradazione alcolica è leggermente superiore alla soglia del 4.5%; c'è un veloce imbocco maltato di crosta di pane, qualche suggestione di miele e di frutta gialla, prima che la bevuta viri verso la generosa luppolatura che porta in dote scorza di pompelmo e limone, note erbacee ed una leggera pepatura, che proseguono anche nel retrogusto, amaro, pulito ed elegante. E' una birra semplice e ben congeniata, profumata e pulita, rinfrescante e che chiede di essere bevuta a grandi sorsi senza grosse riflessioni: è perfetta per i mesi più caldi dell'anno, dove la sua secchezza è lì apposta per dissetare e ri-assetare. Si colloca nella (ormai molto frequentata) categoria di Blond belghe un po' ruffiane ed abbondantemente luppolate, senza mostrare assolutamente il segno dei sette anni passati dal suo debutto.
La bottiglia in questione era aveva già dodici mesi sulle spalle ma si è rivelata ancora profumata di fresco e fragrante in bocca. Segnatevi anche questa sulla lista degli acquisti da fare per la prossima estate.
Formato: 33 cl., alc. 5.2%, IBU 33, lotto 47, imbott. 04/2013, scad. 04/2014, pagata 3.10 Euro (beershop, Italia).
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