Raramente mi è capitato di trovare così poche notizie/interviste in internet su di un birrificio che è invece piuttosto attivo sui propri social network. Parliamo di Yonder Brewing & Blending, operativo dal 2018 nella campagna del Somerset inglese e nelle vicinanze di Mendip Hills, area di eccezionale bellezza naturale nonché di interesse archeologico. Ad una ventina di chilometri di distanza c’è la Cheddar Gorge e la misteriosa Glastonbury Tor. I fondatori Stuart Winstone e Jasper Tupman si sono conosciuti mentre lavoravano per un altro birrificio che si trova in zona, Wild Beer Co.: qui hanno imparato ad amare le birre acide prodotte con diversi ceppi di lievito, selvaggi e non, con ingredienti (anche troppo, aggiungo io) inusuali.
Negli ultimi anni Wild Beer ha però ridotto la produzione di birre acide e sperimentali per concentrarsi maggiormente su quelle “normali” che assicurano un maggior successo commerciale. Winstone e Tupman, insoddisfatti, decisero di lasciare il birrificio per fondare quella che definiscono una “Modern Farmhouse Brewery ispirata dal paesaggio circostante, dalla sua storia e dalle persone che ci vivono”.
Senza nessun investitore esterno e senza ricorrere al crowfunding Winstone e Tupman fanno tutto con le risorse economiche che hanno a disposizione: le conoscenze fatte nel corso degli anni passati a lavorare alla Wild si rivelano fondamentali nel reperire sul mercato vari componenti di seconda mano che vengono poi da loro stessi assemblati in un impianto da sette ettolitri. Il conto della spesa? 75.000 sterline. Disegnano le grafiche e imbottigliano a mano da soli: alla fine del 2019 sono già cinquanta le etichette prodotte. E’ solo nel 2020 che arrivano ad aiutarli il birraio Dave Williams, proveniente dalla Dawkins Ales di Bristol e ed il commerciale Lee Calnan.
La produzione Yonder si concentra su quello che Winstone e Tupman non potevano più fare alla Wild Beer: Farmhouse Ales prodotte a fermentazione mista, anche maturate in botte, con utilizzo di lieviti selvaggi, batteri e ingredienti che – per quanto possibile - vengono raccolti nella campagna circostante. Le birre del debutto sono la Bees & Things & Flowers (Wild Witbier con miele e fiori di campo) e la Dunstans Exile (Belgian Pale Ale con erbe di campo) affiancate dalla Yonder Pils, una birra “defaticante” con aggiunta di fieno di prato. In rapida successione arrivano la Fermhouse, una Table Beer prodotta con lievito proprietario della casa e lievito kveik, la Vat Beets (imperial stout con cioccolato, vaniglia e brownies alla barbabietola). Dallo scorso gennaio Yonder ha anche iniziato ad inlattinare: a debuttare sono state le Raspberry Gose e la Rosehip, una saison alla rosa canina.
Per chi non ama “bere strano” Yonder ha in serbo la Subculture (Pale Ale a fermentazione mista), la Gander (Kveik IPA), la Coolbox (Session Helles, sic!), la Boogie (una bitter dalla luppolatura moderna) e la Acapella, una “heavyweight Pilsner” (5,5%) prodotta con luppoli inglesi che credo abbia sostituito la pilsner dell’esordio.
Negli ultimi anni Wild Beer ha però ridotto la produzione di birre acide e sperimentali per concentrarsi maggiormente su quelle “normali” che assicurano un maggior successo commerciale. Winstone e Tupman, insoddisfatti, decisero di lasciare il birrificio per fondare quella che definiscono una “Modern Farmhouse Brewery ispirata dal paesaggio circostante, dalla sua storia e dalle persone che ci vivono”.
Senza nessun investitore esterno e senza ricorrere al crowfunding Winstone e Tupman fanno tutto con le risorse economiche che hanno a disposizione: le conoscenze fatte nel corso degli anni passati a lavorare alla Wild si rivelano fondamentali nel reperire sul mercato vari componenti di seconda mano che vengono poi da loro stessi assemblati in un impianto da sette ettolitri. Il conto della spesa? 75.000 sterline. Disegnano le grafiche e imbottigliano a mano da soli: alla fine del 2019 sono già cinquanta le etichette prodotte. E’ solo nel 2020 che arrivano ad aiutarli il birraio Dave Williams, proveniente dalla Dawkins Ales di Bristol e ed il commerciale Lee Calnan.
La produzione Yonder si concentra su quello che Winstone e Tupman non potevano più fare alla Wild Beer: Farmhouse Ales prodotte a fermentazione mista, anche maturate in botte, con utilizzo di lieviti selvaggi, batteri e ingredienti che – per quanto possibile - vengono raccolti nella campagna circostante. Le birre del debutto sono la Bees & Things & Flowers (Wild Witbier con miele e fiori di campo) e la Dunstans Exile (Belgian Pale Ale con erbe di campo) affiancate dalla Yonder Pils, una birra “defaticante” con aggiunta di fieno di prato. In rapida successione arrivano la Fermhouse, una Table Beer prodotta con lievito proprietario della casa e lievito kveik, la Vat Beets (imperial stout con cioccolato, vaniglia e brownies alla barbabietola). Dallo scorso gennaio Yonder ha anche iniziato ad inlattinare: a debuttare sono state le Raspberry Gose e la Rosehip, una saison alla rosa canina.
Per chi non ama “bere strano” Yonder ha in serbo la Subculture (Pale Ale a fermentazione mista), la Gander (Kveik IPA), la Coolbox (Session Helles, sic!), la Boogie (una bitter dalla luppolatura moderna) e la Acapella, una “heavyweight Pilsner” (5,5%) prodotta con luppoli inglesi che credo abbia sostituito la pilsner dell’esordio.
La birra.
Ammetto di aver avuto un rapporto abbastanza tormentato con le birre di Wild Ales: poca continuità e troppi alti e bassi nel loro vastissimo portfolio di etichette. Il fatto che in qualche modo Yonder voglia continuare quel percorso non mi rende molto tranquillo e quindi tento la sorte con una birra relativamente semplice: Fiona, farmhouse ale realizzata con il lievito proprietario della casa, luppoli e malti inglesi ed aggiunta di Matricaria Discoide, alias Camomilla Falsa. E' stata una produzione occasionale nell’agosto del 2019.
Nel bicchiere si presenta di color oro antico, leggermente velato: la schiuma è tanto copiosa quanto evanescente. Il naso è fresco, solare e piuttosto ricco: ananas, pepe, coriandolo, camomilla e altri fiori, limone e lime, mela verde. Al palato è generosamente carbonata e scorre con facilità e vivacità. La bevuta è molto fruttata, ricca di ananas, limone e mela, con qualche vago ricordo di camomilla: oltre a questo non c’è invero una grande profondità e manca soprattutto quel carattere rustico che una farmhouse ale dovrebbe sempre avere. Nel finale appare qualche nota lattica e la bevuta si chiude con l’amaro corto e delicato della scorza del limone. Il suo dovere lo fa comunque con successo: disseta e rinfresca grazie alla sua secchezza e alla sua acidità, con l’alcool (6.6%) che si fa timidamente sentire solo a fine corsa. Non è l’olimpo del sour, se mi passate la semplificazione, è più ruffiana che ruspante ma Fiona di Yonder è una birra che si lascia bere con piacere e che trovo particolarmente adatta ai mesi più caldi dell’anno. Rapporto qualità prezzo appropriato, visto i tempi che corrono.
Formato 37,5 cl., alc. 6.6%, scad. 17/07/2021, pagata 6,20 sterline (beershop)
Nel bicchiere si presenta di color oro antico, leggermente velato: la schiuma è tanto copiosa quanto evanescente. Il naso è fresco, solare e piuttosto ricco: ananas, pepe, coriandolo, camomilla e altri fiori, limone e lime, mela verde. Al palato è generosamente carbonata e scorre con facilità e vivacità. La bevuta è molto fruttata, ricca di ananas, limone e mela, con qualche vago ricordo di camomilla: oltre a questo non c’è invero una grande profondità e manca soprattutto quel carattere rustico che una farmhouse ale dovrebbe sempre avere. Nel finale appare qualche nota lattica e la bevuta si chiude con l’amaro corto e delicato della scorza del limone. Il suo dovere lo fa comunque con successo: disseta e rinfresca grazie alla sua secchezza e alla sua acidità, con l’alcool (6.6%) che si fa timidamente sentire solo a fine corsa. Non è l’olimpo del sour, se mi passate la semplificazione, è più ruffiana che ruspante ma Fiona di Yonder è una birra che si lascia bere con piacere e che trovo particolarmente adatta ai mesi più caldi dell’anno. Rapporto qualità prezzo appropriato, visto i tempi che corrono.
Nessun commento:
Posta un commento