Quando si parla di un birrificio si dovrebbe parlare solo di birra ma nel caso di BrewDog le cose sono state sempre diverse. All’inizio c’erano le birre, ma gli scozzesi hanno rapidamente iniziato a far parlare di sé per le loro provocazioni, per le irriverenti operazioni di marketing e per altre iniziative nelle quali la birra era stata relegata in secondo piano. Una strategia che era forse necessaria in un primo periodo per rompere l’establishment della birra industriale inglese e che ha indubbiamente portato successo: BrewDog si dichiara ancora paladino dell’indipendenza e della Craft Beer nonostante abbia ormai raggiunto dimensioni ragguardevoli: un beer-hotel in Ohio (USA), una linea aerea, altri due piccoli hotel in Scozia, una cinquantina di BrewDog bar sparsi in tutto il mondo e cinque siti produttivi sparsi in Scozia (due ad Ellon), Germania (l’ex Stone Berlin), USA (Columbus, Ohio) e Australia.
Ho incontrato per la prima volta BrewDog nel 2010 ed allora il mio palato era indubbiamente diverso: la mia esposizione alla birra artigianale era ancora limitata e le birre BrewDog mi sembravano estreme, potenti, aggressive. Esattamente quello che ti aspetti da un birrificio che proclama il punk e la rivoluzione. Mi sembravano o lo erano davvero? Poi la rivoluzione di BrewDog si è espansa: per far girare gli impianti sempre più grandi è necessario vendere tanta birra e per farlo è necessario andare a pescare sempre più nel territorio dominato dalle anonime birre industriali. Portare i consumatori verso la più costosa Craft Beer non è semplice: bisogna conquistare il loro palato senza spaventarlo con prodotti estremi o troppo diversi da quelli che sono abituati a consumare. Le birre di BrewDog sono progressivamente divenute sempre più docili, le ricette sono state modificate e ammorbidite per avvicinarsi con più facilità ai consumatori. La loro birra più iconica, la Punk IPA, è l’esempio perfetto.
Le BrewDog degli ultimi anni mi sono sembrate sempre più anonime e un lontano ricordo di quello che erano. Personalmente ho perso interesse verso il birrificio scozzese e probabilmente lo hanno fatto tanti altri appassionati della vecchia guardia. Un piccolo prezzo da pagare per poter continuare a crescere a e diventare una grande porta d’accesso per passare dal mondo industriale a quello artigianale? Certo, anche se per i vecchi nostalgici trovare una spina BrewDog in mezzo a tante industriali può ancora essere un’ancora di salvezza, in attesa di tempi migliori.
Ho incontrato per la prima volta BrewDog nel 2010 ed allora il mio palato era indubbiamente diverso: la mia esposizione alla birra artigianale era ancora limitata e le birre BrewDog mi sembravano estreme, potenti, aggressive. Esattamente quello che ti aspetti da un birrificio che proclama il punk e la rivoluzione. Mi sembravano o lo erano davvero? Poi la rivoluzione di BrewDog si è espansa: per far girare gli impianti sempre più grandi è necessario vendere tanta birra e per farlo è necessario andare a pescare sempre più nel territorio dominato dalle anonime birre industriali. Portare i consumatori verso la più costosa Craft Beer non è semplice: bisogna conquistare il loro palato senza spaventarlo con prodotti estremi o troppo diversi da quelli che sono abituati a consumare. Le birre di BrewDog sono progressivamente divenute sempre più docili, le ricette sono state modificate e ammorbidite per avvicinarsi con più facilità ai consumatori. La loro birra più iconica, la Punk IPA, è l’esempio perfetto.
Le BrewDog degli ultimi anni mi sono sembrate sempre più anonime e un lontano ricordo di quello che erano. Personalmente ho perso interesse verso il birrificio scozzese e probabilmente lo hanno fatto tanti altri appassionati della vecchia guardia. Un piccolo prezzo da pagare per poter continuare a crescere a e diventare una grande porta d’accesso per passare dal mondo industriale a quello artigianale? Certo, anche se per i vecchi nostalgici trovare una spina BrewDog in mezzo a tante industriali può ancora essere un’ancora di salvezza, in attesa di tempi migliori.
La birra.
E’ esattamente in quest’ottica che venne annunciata a gennaio del 2018 la nascita della nuova Indie Pale Ale. Non India, ma Indie: independent. Una “pale ale per il ventunesimo secolo, la nostra interpretazione della perfetta gateway beer: studiata per essere facile da comprare e da bere in ogni occasione. Una birra Ideale per chi voglia espandere i propri orizzonti: la utilizzeremo come trampolino di lancio carico di luppolo nel mondo della birra artigianale. La Indie Pale Ale è al tempo stesso un campanello d’allarme e uno squillo di tromba. La birra artigianale continuerà ad avanzare nel mercato solo se sarà accessibile a tutti: questa birra è la nuova arma per combattere le birre industriale insapori. Perché crediamo che una volta si sia attraversato il cancello non si posso più tornare indietro”.
Per fare questo BrewDog progetta una nuova Pale Ale (4.2%) con malti biscotto e caramello, luppoli Columbus, Cascade e Simcoe. Nel giorno del suo debutto, 11 gennaio, chiunque avesse taggato BrewDog con l’hashtag #DrinkIndie avrebbe avuto due mezze pinte di birra offerte nei vari BrewDog bar.
Nel bicchiere si presenta di color dorato, leggermente velato, mentre la schiuma è cremosa, compatta ed ha una buona persistenza. Pane, miele e cereali; l’aroma è tutt’altro che luppolato. Un po’ di mela verde completa un quadro poco entusiasmante e le molte poche bollicine non aiutano a riportare un po’ di entusiasmo a chi beve il primo sorso. La bevuta è figlia dell’aroma è quindi sono protagonisti i malti, dovrei dire: in realtà l’intensità è davvero ai minimi termini e quindi parlare di protagonismo è fuori luogo. Un po’ d’amaro, nella forma di frutta secca a guscio, arriva alla fine di un percorso anonimo e deludente. Ma è una chiusura poco secca e quindi poco dissetante, con una leggera patina dolciastra che rimane avvolta al palato.
Ben vengano birre entry level per portare i bevitori di birra industriale dall’altra parte della barricata, ma questa lattina di Indie Pale Ale è equiparabile proprio ad un banale e insapore prodotto industriale, noioso e privo di carattere. Meglio allora risparmiare qualche centesimo e restare tra la braccia dell’industria. Siamo nel 2020 e si deve pretendere di più anche da una semplice gateway beer. Non so se la birra sia stata maltratta dalla distribuzione, ma l’impressione è che sia una delle tante anonime e deludenti birre alle quali ormai BrewDog ci ha purtroppo abituato.
Per fare questo BrewDog progetta una nuova Pale Ale (4.2%) con malti biscotto e caramello, luppoli Columbus, Cascade e Simcoe. Nel giorno del suo debutto, 11 gennaio, chiunque avesse taggato BrewDog con l’hashtag #DrinkIndie avrebbe avuto due mezze pinte di birra offerte nei vari BrewDog bar.
Nel bicchiere si presenta di color dorato, leggermente velato, mentre la schiuma è cremosa, compatta ed ha una buona persistenza. Pane, miele e cereali; l’aroma è tutt’altro che luppolato. Un po’ di mela verde completa un quadro poco entusiasmante e le molte poche bollicine non aiutano a riportare un po’ di entusiasmo a chi beve il primo sorso. La bevuta è figlia dell’aroma è quindi sono protagonisti i malti, dovrei dire: in realtà l’intensità è davvero ai minimi termini e quindi parlare di protagonismo è fuori luogo. Un po’ d’amaro, nella forma di frutta secca a guscio, arriva alla fine di un percorso anonimo e deludente. Ma è una chiusura poco secca e quindi poco dissetante, con una leggera patina dolciastra che rimane avvolta al palato.
Ben vengano birre entry level per portare i bevitori di birra industriale dall’altra parte della barricata, ma questa lattina di Indie Pale Ale è equiparabile proprio ad un banale e insapore prodotto industriale, noioso e privo di carattere. Meglio allora risparmiare qualche centesimo e restare tra la braccia dell’industria. Siamo nel 2020 e si deve pretendere di più anche da una semplice gateway beer. Non so se la birra sia stata maltratta dalla distribuzione, ma l’impressione è che sia una delle tante anonime e deludenti birre alle quali ormai BrewDog ci ha purtroppo abituato.
Formato 33 cl., alc. 4.2%, lotto 03029 50, scad. 11/09/2021, prezzo indicativo 2.00 euro (supermercato)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio
Hai espresso esattamente il mio stesso pensiero su Brewdog, credevo fosse la rivoluzione delle birre perchè ai tempi ero io spaventosamente ignorante, poi ho imparato e studiato, e ora li ritengo solo dei "ruffiani" che usano l'etichetta di birra indipendente come veicolo commerciale.
RispondiEliminaChe poi una loro birra sia migliore di una Beck's o una Heineken è anche vero, ma non sono questi i parametri di paragone che voglio usare.
E' comunque coerente con lo spirito punk che da sempre sbandierano. "the great rock'n'roll swindle"... alla fine si tratta solo di fare soldi.
EliminaDieci anni fa le loro birre erano in qualche modo rivoluzionarie per il mercato inglese. sono poi diventate mainstream.