Per ogni appassionato di birra un viaggio in Franconia è un viaggio nella tradizione: birre immutabili, un patrimonio da preservare e da scoprire per la prima volta o da ritrovare, a seconda della vostra esperienza. Ma chi in Franconia ci è nato e ci vive potrebbe non avere le stesse opinioni positive sulla tradizione. E’ il caso di Benedikt Steger, giovane irrequieto che voleva studiare sociologia, poi Ingegneria dello sport e ha poi finito per scegliere la birra: dopo un periodo di tirocinio presso il birrificio Zehendner a Mönchsambach si reca a Berlino, città in perenne evoluzione e fermento, in cerca di novità. Ma nella Berlino del 2012 il fermento che interessa a Benedikt - birrifici e birra – è ancora in fase embrionale e offre poche opportunità. Lui vola allora a Londra dove ottiene un lavoro alla London Fields Brewery, una delle prime ad installarsi nell’area di Hackney. Jules Whiteway l’aveva fondata nel 2011 dopo aver finito di scontare una condanna di dodici anni per traffico di cocaina a celebrities e cantanti. La libertà di Whiteway non durò molto: alla fine del 2014 fu nuovamente arrestato per evasione fiscale e il birrificio, dopo anni di agonia ed incertezza, fu rilevato dalla Carlsberg nel 2017.
Per Benedikt è meglio cambiare aria e nel 2015 alcune conoscenze lo aiutano a trovare lavoro a Parigi dove lavora all’avvio del brewpub Paname: la capacità dell’impiantino è però insufficiente a soddisfare la richiesta dei clienti e Benedikt si mette alla ricerca di un birrificio dove appaltare le sue ricette. La soluzione è tornare a casa in Germania alla Old Factory, neonata costola del birrificio Camba dedicata proprio alla produzione per conto terzi: là Benedikt conosce il birraio Enzo Frauenschuh che è anche titolare della beerfirm FrauGruber e che lo “sfida” a far qualcosa di simile.
Benedikt torna a Bamberga e nel 2018, terminato il congedo di paternità, lancia il suo marchio Blech.Brut, nome suggeritogli da un amico a Berlino che voleva realizzare sculture con le lattine usate: il foglio di metallo (Blech) e l’arte (Art Brut). L’idea – non originalissima – è di affiancare l’arte alla birra affidando di volta in le etichette ad un illustratore differente. Le ricette sono realizzate alla Camba Old Factory, nonostante le possibilità sotto casa non manchino: “potrei produrle qui a Bamberga, ma sarebbe difficile usare le lattine. All’inizio non pensavo di usare questo contenitore ma ripensandoci la parte grafica viene maggiormente valorizzata; dopo tutto il mio è una specie di progetto artistico. Non escludo in futuro di estenderlo alle bottiglie e lanciare il marchio Glas.Brut. Enzo di Camba è diventato un amico; mi fido di lui e anche se faccio io le birre ho bisogno di lui. Gundelfingen è a due ore e mezza da Bamberga e non posso essere là tutti i giorni”.
Il focus è ovviamente sui luppoli: “li amo e mi piace sperimentare con loro. A Bamberga si producono delle lager eccellenti, ma sono tutte molto simili. Non ne voglio parlar male, ma se vai via per un po’da Bamberga e poi torni… ti accorgi che nulla è cambiato e nulla cambierà per il prossimo secolo. Io voglio dimostrare che con le nuove varietà di luppolo tedesche si può far qualcosa di diverso”. Del resto la “mission” che compare sul sito internet di Blech.Brut parla chiaro: “togliere la polvere della tradizione. Ci vogliono volti nuovi per portare la birra alle nuove generazioni. Abbiamo l’ambizione di voler ampliare gli orizzonti dei bevitori della Franconia ed espandere il loro concetto di birra. Vogliamo offrire ai bevitori di Schlenkerla un’alternativa alla moda”. Un birrificio proprio? “E’ presto, ci vogliono capitali a disposizione. Ma averne uno è lo scopo che dovrebbe avere ogni persona che s’imbarca in un progetto di questo tipo. Io avrei anche lo spazio a disposizione nella casa dei miei genitori, visto che sono nato in una fattoria. Prima o poi avrò il mio birrificio, anche se di piccole dimensioni”.
Per Benedikt è meglio cambiare aria e nel 2015 alcune conoscenze lo aiutano a trovare lavoro a Parigi dove lavora all’avvio del brewpub Paname: la capacità dell’impiantino è però insufficiente a soddisfare la richiesta dei clienti e Benedikt si mette alla ricerca di un birrificio dove appaltare le sue ricette. La soluzione è tornare a casa in Germania alla Old Factory, neonata costola del birrificio Camba dedicata proprio alla produzione per conto terzi: là Benedikt conosce il birraio Enzo Frauenschuh che è anche titolare della beerfirm FrauGruber e che lo “sfida” a far qualcosa di simile.
Benedikt torna a Bamberga e nel 2018, terminato il congedo di paternità, lancia il suo marchio Blech.Brut, nome suggeritogli da un amico a Berlino che voleva realizzare sculture con le lattine usate: il foglio di metallo (Blech) e l’arte (Art Brut). L’idea – non originalissima – è di affiancare l’arte alla birra affidando di volta in le etichette ad un illustratore differente. Le ricette sono realizzate alla Camba Old Factory, nonostante le possibilità sotto casa non manchino: “potrei produrle qui a Bamberga, ma sarebbe difficile usare le lattine. All’inizio non pensavo di usare questo contenitore ma ripensandoci la parte grafica viene maggiormente valorizzata; dopo tutto il mio è una specie di progetto artistico. Non escludo in futuro di estenderlo alle bottiglie e lanciare il marchio Glas.Brut. Enzo di Camba è diventato un amico; mi fido di lui e anche se faccio io le birre ho bisogno di lui. Gundelfingen è a due ore e mezza da Bamberga e non posso essere là tutti i giorni”.
Il focus è ovviamente sui luppoli: “li amo e mi piace sperimentare con loro. A Bamberga si producono delle lager eccellenti, ma sono tutte molto simili. Non ne voglio parlar male, ma se vai via per un po’da Bamberga e poi torni… ti accorgi che nulla è cambiato e nulla cambierà per il prossimo secolo. Io voglio dimostrare che con le nuove varietà di luppolo tedesche si può far qualcosa di diverso”. Del resto la “mission” che compare sul sito internet di Blech.Brut parla chiaro: “togliere la polvere della tradizione. Ci vogliono volti nuovi per portare la birra alle nuove generazioni. Abbiamo l’ambizione di voler ampliare gli orizzonti dei bevitori della Franconia ed espandere il loro concetto di birra. Vogliamo offrire ai bevitori di Schlenkerla un’alternativa alla moda”. Un birrificio proprio? “E’ presto, ci vogliono capitali a disposizione. Ma averne uno è lo scopo che dovrebbe avere ogni persona che s’imbarca in un progetto di questo tipo. Io avrei anche lo spazio a disposizione nella casa dei miei genitori, visto che sono nato in una fattoria. Prima o poi avrò il mio birrificio, anche se di piccole dimensioni”.
Le birre.
In quasi due anni d’attività Blech.Brut ha prodotto circa 25 etichette diverse, una al mese. Una Imperial Stout e 24 sfumature di luppolo: Pale Ale, Session IPA, IPA, Double e Triple IPA, NEIPA. Vediamone un paio partendo dalla Tile 692, NEIPA (7.1%) nella quale sono protagonisti Citra, Galaxy, El Dorado e gli sperimentali HBC 692 e BRU-1. Visivamente simile ad un succo di frutta presenta una schiuma cremosa, piuttosto compatta e che mostra buona ritenzione. Il naso fa pensare a frutti tropicali molto maturi (mango e papaia) ma c’è una netta sensazione di menta/mentolo a scombinare un po’ le carte in tavola: intensità e pulizia ci sono ma il mix non è dei più azzeccati, per quel che mi riguarda. Il gusto prosegue il percorso in linea retta: è una NEIPA piuttosto dolce, ricca di frutta tropicale e albicocca matura che cala il sipario su di un aroma vegetale di discreta intensità e durata che lascia qualche graffio in gola (hop burn). Nel complesso ha buona intensità ma anche al palato c’è qualche sapore insolito e difficile da definire: birra gradevole, se non avete aspettative elevate.
Coat 54 (6.7%) è un’altra NEIPA dal design minimalista e freddo ed un mix di luppoli che include HBC 630, Mosaic e Palisade. Il suo color arancio è torbido ma luminoso, la schiuma è cremosa ed ha una buona persistenza. Dovrebbe aver debuttato alla fine di luglio e dopo due mesi d vita l’aroma offre davvero poco, per quel che riguarda l’intensità: pesca, ananas e altri vaghi ricordi di frutta tropicale. La bevuta è fortunatamente più intensa pur non brillando per pulizia ed eleganza. Il risultato è un succhino di frutta - un po’ confuso ma gradevole - nel quale mi sembrano spiccare albicocca e papaia. Rispetto alla Tile 692 presenta molti meno spigoli, probabilmente grazie ad un amaro finale molto corto e quasi impercettibile. Buona secchezza, alcool ben nascosto, bevibilità un po’ limitata dalla sua pesantezza tattile al palato: masticabile (chewy) ma poco morbida, come la sorella. Paga il pegno di un aroma sotto tono ma il suo principale problema è la noia: per il resto, si beve con piacere.Nel dettaglio:
Brut Tile 692, 44 cl., alc. 7,1%, scad. 16/01/2021, prezzo indicativo 7,00 euro (beershop)
Brut Coat 54, 44 cl., alc. 6.7%, scad. 16/01/2021, prezzo indicativo 7,00 euro (beershop)
Brut Tile 692, 44 cl., alc. 7,1%, scad. 16/01/2021, prezzo indicativo 7,00 euro (beershop)
Brut Coat 54, 44 cl., alc. 6.7%, scad. 16/01/2021, prezzo indicativo 7,00 euro (beershop)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questo esemplare e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio
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