Anche in Germania sta lentamente prendendo piede una piccola “craft beer revolution”, e certamente il punto di partenza non poteva che essere Berlino, la città europea che negli ultimi 25 anni di storia ha vissuto il maggior numero di cambiamenti. Sino al 2011 a Berlino e dintorni operavano circa una ventina tra birrifici e brewpub impegnati a dissetare residenti e turisti a colpi di pils, dunkel, weizen e di Berliner Kindl (Gruppo Radeberger). Vi segnalo questo interessante articolo (in inglese) che cerca di ripercorrere la (breve) storia del rinascimento brassicolo a Berlino. I primi tentativi risalgono al 1996, quando Asbjorn Gerlach e Stefan Wendt aprono la Berlin Bier-Company, un negozio per homebrewing ed un microbirrificio per ha però vita breve abbassando la serranda già nel 2000. Riesce tuttavia a farsi conoscere per le continue violazioni del Reinheitsgebot (!); una birra chiamata Turn con fiori di canapa indiana, una con peperoncino piccante, una (sic) Ginseng-Lemon Ale. Chiusa l'esperienza, Gerlach emigra in Cile (fonderà la Kross Brewery), e Wendt non vuol più sentir parlare di birra. Alla Bier-Company, dietro le quinte, lavoravano anche Thorsten Schoppe e Matthias Schwab; lasciamo perdere il secondo (che nel 2005 fonderà sempre a Berlino la Brewbaker) e concentriamoci sul primo. Homebrewer nella cucina di casa dei genitori, un paio d’anni come apprendista alla Feldschlößchen di Braunschweig (la sua città natale) come maltatore e come birraio, si trasferisce nel 1994 a Berlino per studiare da birraio alla VLB e nel 2001 diventa il birraio della Brauhaus Südstern nel quartiere di Kreuzberg di Berlino, una sorta di brewpub con ristorante e biergarten annesso. Se inizialmente la produzione è esclusivamente rivolta a rifornire a soddisfare i consumi del ristornante con una helles, una dunkel ed una weizen lentamente, con il tempo Thorsten Schoppe inizia a “sperimentare” ed a produrre birre che fuoriescono dai tradizionali stili tedeschi. Nel 2009 anche la piccola Südstern entra in competizione per l’assurdo trofeo della birra più alcolica al mondo (27.6%) con la XXL (ora rinominata Schoppe XXL) che ha solo lo 0.6% in più della Utopia di Samuel Adams. Il record viene comunque detenuto per poco visto che arriva subito la Schorschbock 31% della quale abbiamo parlato in questa occasione. Ecco spuntare una IPA ed una lunga serie di birre (occasionali e stagionali) che potete trovate elencate su questa pagina. Thorsten Schoppe fonda anche il suo proprio marchio; la Schoppe Bräu, con il quale inizia a commercializzare le bottiglie prodotte alla Sudstern; ci sono sia le stesse birre che potete bere al brewpub (a nome Sudstern), che nuove ricette come ad esempio una IPA alla Segale (Roggen Roll Ale), una double IPA (10%) dal nome abbastanza significativo (Holy Shit Ale) ed una Imperial Stout chiamata Black Flag che mi appresto a stappare.
Forse la prima Imperial Stout (?) mai prodotta a Berlino, nel bicchiere è praticamente nera con delle leggere sfumature color marrone scuro; la schiuma, beige, è fine e cremosa, compatta, ed ha una buona persistenza. Il naso non è un trionfo di profumi: intensità discreta, sentori di caffè ed orzo tostato, carrube, qualche sfumatura che ricorda il mirtillo ma anche la gomma bruciata. In bocca è gradevole e morbida, con un corpo medio ed una carbonazione abbastanza bassa; è un imperial stout che comunque predilige la scorrevolezza alla viscosità ed alla cremosità. Il gusto è tutto giocato su caffè, tostature e liquirizia, con una buona intensità ma una pulizia ed una eleganza solo discrete. In particolare sono le tostature a non essere molto aggraziate, mentre l’alcool (9%) è invece nascosto benissimo. Lievissimo salmastro nel finale, gradevole acidità data dal caffè con un retrogusto abbastanza corto di caffè e liquirizia. La bottiglia prossima alla data di scadenza è solo una giustificazione parziale, forse ne risulta un po’ penalizzato l’aroma ma si tratta comunque di un tipo di birra che solitamente si può lasciare per diversi mesi in cantina senza doversi preoccupare del tempo che passa; Imperial Stout un po’ grezza e sulla quale c’è ancora da lavorare, al momento ancora molto distante da molte altre compagne della stessa categoria stilistica.
Formato: 33 cl., alc. 9%, lotto non riportato, scad. 05/2014, pagata 3,03 Euro (beershop, Germania).
Forse la prima Imperial Stout (?) mai prodotta a Berlino, nel bicchiere è praticamente nera con delle leggere sfumature color marrone scuro; la schiuma, beige, è fine e cremosa, compatta, ed ha una buona persistenza. Il naso non è un trionfo di profumi: intensità discreta, sentori di caffè ed orzo tostato, carrube, qualche sfumatura che ricorda il mirtillo ma anche la gomma bruciata. In bocca è gradevole e morbida, con un corpo medio ed una carbonazione abbastanza bassa; è un imperial stout che comunque predilige la scorrevolezza alla viscosità ed alla cremosità. Il gusto è tutto giocato su caffè, tostature e liquirizia, con una buona intensità ma una pulizia ed una eleganza solo discrete. In particolare sono le tostature a non essere molto aggraziate, mentre l’alcool (9%) è invece nascosto benissimo. Lievissimo salmastro nel finale, gradevole acidità data dal caffè con un retrogusto abbastanza corto di caffè e liquirizia. La bottiglia prossima alla data di scadenza è solo una giustificazione parziale, forse ne risulta un po’ penalizzato l’aroma ma si tratta comunque di un tipo di birra che solitamente si può lasciare per diversi mesi in cantina senza doversi preoccupare del tempo che passa; Imperial Stout un po’ grezza e sulla quale c’è ancora da lavorare, al momento ancora molto distante da molte altre compagne della stessa categoria stilistica.
Formato: 33 cl., alc. 9%, lotto non riportato, scad. 05/2014, pagata 3,03 Euro (beershop, Germania).
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