To Øl numero sette, che viene ospitata sulle pagine del blog; la beerfirm danese ha ormai quasi raggiunto il maestro Mikkeller come diffusione nella nostra penisola, con birre che si trovano in tutti i beershop. Non intendo aggiungere altro fuoco sulla polemica birrifici vs. beerfirm che sta animando le discussioni brassicole di questi giorni sia in Italia che all'estero. Da consumatore preferisco concentrarmi su quello che è contenuto all'interno della bottiglia e, un volta che in etichetta viene data completa trasparenza sul luogo in cui la birra viene prodotta (senza dover per forza decifrare un codice accisa o una partita Iva e, aggiungo io, possibilmente indicando la data di imbottigliamento !), penso che sia la qualità del prodotto a fare la giusta selezione naturale, premiando i buoni produttori e, pian piano, sterminando i cattivi. Del resto, meglio una birra di ottimo livello prodotta da una beerfirm che una pessima birra prodotta da un birrfiicio vero e proprio. Ecco, magari, giusto per una questione di onestà verso i consumatori, se siete una beerfirm evitate di chiamarvi "Birrificio XX".
La porter di To Øl non brilla di originalità per il nome scelto: quante birre scure (porter o stout, se siete tra quelli che sostengono che ci sia differenza tra i due stili) richiamano la famosa palla da biliardo nera, numero otto? Per lo meno i danesi hanno l'accortezza di non fotografarcela in etichetta, facendo una scelta più minimale e richiamando il biliardo solamente per la forma della "cornice" che circonda il nome della birra e che rappresenta il perimetro di un tavolo da biliardo.
L'etichetta non riporta il luogo dove la birra viene prodotta, ma è il sito ufficiale della beerfirm a dichiararlo: si tratta del fido De Proef, in Belgio; la ricetta di questa "hoppy porter" prevede malti affumicati, chocolate, cara munich e brown, fiocchi d'avena, zucchero di canna (cassonade) ed un mix di luppoli che non viene rivelato. Nel bicchiere è perfetta e maestosa, di colore praticamente nero, con una crema di schiuma compatta e soffice, beige, molto persistente. L'aroma non è particolarmente complesso ma è molto pulito ed elegante, soprattutto per quel che riguarda i profumi di caffè in grani; a corollario ci sono orzo tostato, leggerissime note di cioccolato e di cenere. Il biglietto da visita (l'aspetto visivo) trova piena corrispondenza in bocca: è una (robust) porter cremosa e vellutata, dal corpo medio e molto poco carbonata. La scorrevolezza è indubbiamente un po' sacrificata a favore di una morbidezza davvero godibilissima; grande intensità nel gusto, con abbondanza di tostature e di caffè, cioccolato amaro e qualche nota più dolce di caramello che cerca di bilanciare. Oltre all'acidità di malti scuri c'è anche una generosa luppolatura che, a fine corsa, svolge quella necessaria azione di alleggerimento per asciugare il palato e dare qualche istante di tregua, prima che la corsa riparta in un retrogusto molto lungo ed intenso, carico di caffè e di tostature. Ma quello che rimane impresso nella memoria di chi la beve è senza dubbio il morbidissimo "mouthfeel", denso, cremoso, quasi una mousse liquida. E poco importa (al sottoscritto) se la bevuta è meno scorrevole del previsto; del resto stiamo parlando di una porter "robusta" (8%) che non è stata pensata per essere bevuta in maniera seriale. E allora "keep calm e sorseggiala", magari in abbinamento ad un dessert o anche sul divano, nell'immediato dopo cena, in solitudine; personalmente le preferisco ancora delle porter ugualmente cremose ma meno sature di tostature e di caffè, come ad esempio quella di Founders, ma se non vi spaventa il DNA scandinavo (che sovente coincide con il catrame), questa Black Ball è da provare non appena vi capita a tiro.
Formato: 33 cl., alc. 8%, scad. 28/10/2015, pagata 4,00 Euro (beershop, Italia).
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