Häffner Bräu, brewpub con hotel e gasthaus annessi, attivo sin dalla metà del diciannovesimo secolo a Bad Rappenau (Baden-Wuttenberg), non lontano della bella cittadina di Heidelberg; fondato dalla famiglia Reichardt, viene acquistato nel 1908 da Jakob Ludwig Häffner. Nel 1953 gli succede il figlio Willi Häffner, che lo guida assieme alla moglie Luise sino al 2000, quando il testimone passa alle figlie Hannelore und Susanne Häffner. Accanto ad una serie di birre tipicamente tedesche il birrificio ne ha recentemente sviluppate altre, tutte birre ad alta fermentazione, di stampo più “moderno”, chiamate Hopfenstopfen (letteralmente “infarcite di luppolo”), che vedono il luppolo, spesso di provenienza extra europea, come protagonista. Responsabile di questa “piccola grande rivoluzione” è il giovane birraio Thomas Wachno, formatosi sul campo, all’interno del birrificio stesso, con un apprendistato durato dal 1993 al 1996 e poi chiamato improvvisamente, nel 1997, a dover sostituire il precedente collega in sala cottura. L’ìdea di “giocare” con i luppoli nasce quasi per caso, quando Thomas riceve da un fornitore dell’Hallertau alcune piante di luppolo da piantare nel giardino che circonda il birrificio/hotel. Per celebrare la prima “raccolta” dei fiori, nasce la "Ur-Hopfenstopfer", una birra che ottiene un buon successo e che dà il via a tutte le altre della serie “Hopfenstopfen”; Thomas ammette che tuttavia queste birre luppolate stanno riscuotendo un buon successo di vendite soprattutto tra i giovani che le acquistano attraverso i beershop tedeschi presenti in Internet. I consumi della gasthaus collegata al birrificio, continuano invece ad essere basati principalmente sulle birre tradizionali tedesche. Come il nome può far intuire, questa Hopfenstopfer Citra Ale è una “single-hop” che vede l’utilizzo esclusivo dell’omonimo luppolo americano. Dorata, leggermente velata, ha un persistente cappello di schiuma leggermente “sporca” e cremosa. L’aroma è molto forte, anche se non pulitissimo; cereali, leggera polvere e, una volta svanita la schiuma, un’ondata dolce ricca di polpa d’arancio, pompelmo e pesca. Il fruttato, dolce, è quasi stucchevole; manca di finezza e di freschezza, di quella “sensazione” di frutta appena tagliata. La stessa sensazione l’avvertiamo in bocca, con un fruttato esageratamente in evidenza, quasi fuori controllo; la sensazione predominante non è neppure quella di bere una spremuta di arance, ma piuttosto quella di bere un’aspirina o, a vostra scelta, quelle compresse di vitamina “C” efferescenti. Il gusto è soprattutto arancio, con qualche sfumatura più leggera di altri agrumi (pompelmo e mandarino). Non c’è quasi nulla a bilanciare, la base di malto è impercettibile, ed il finale amaricante – molto timido - non riesce a seccare/ripulire il palato. Il retrogusto è quello di un’aranciata leggermente amara. Una birra forse didattica che vuole esplorare le potenzialità del citra, ma che risulta davvero molto poco bevibile e gradevole, in queste condizioni (mettiamo il beneficio del dubbio visto che l’abbiamo bevuta solo una volta e su Ratebeer – per quello che conta - si porta a casa un dignitoso punteggio di 91/100). Formato: 33 cl., alc. 5.1%, scad. 14/06/2013, prezzo 3.50 Euro (beershop, Italia).
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