La fenice, uccello mitologico che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte. Non è stata sicuramente casuale la scelta del nome fatta da Emanuele Aimi, fuoriuscito non senza rumore dal Birrificio del Ducato a Luglio del 2011. Ne era stato uno dei soci fondatori, assieme a Giovanni Campari e Manuel Piccoli, occupandosi soprattutto della parte commerciale. Un addio abbastanza amaro, con il comunicato stampa sul blog del sito del Birrificio del Ducato che terminava con una frase abbastanza criptica il cui significato è probabilmente solo noto agli addetti ai lavori: “la nostra è una qualità che non è mai stata frutto dell'improvvisazione, ma del lavoro di tutti che ci ha permesso di portare alto il nome del Birrificio del Ducato ovunque sia andato. Per questo ricordati Emanuele: di Viaemilia ce n'è una sola…!”. Ricevuta la liquidazione della propria quota societaria, Aimi non è stato per troppo tempo con le mani in mano ed ha lanciato il suo proprio progetto brassicolo, chiamato appunto Birrificio La Fenice. Personalmente non sono ancora riuscito a capire dove avvenga la produzione delle birre la Fenice. Microbirrifici.org indica la sede produttiva a Orzinuovi (Brescia) in via Vittorio Veneto 28. Secondo invece il sito ufficiale del birrificio, la sede (amministrativa) è a Fidenza in via Ferraris 13/a, mentre l’impianto di produzione sarebbe a Lodi, in un indirizzo imprecisato. Un po’ più di certezze invece sui quattro locali di Aimi, chiamati Tramvai (a Fidenza, Orzinuovi, Asola e Cremona), dove potrete bere alla spina le birre La Fenice. Sono quasi una decina quelle attualmente prodotte, con nomi che rappresentano i vizi capitali. Si va da una Pils ad una IPA, da una Blonde ad una Dubbel ("Italian AbbAy", sic), da una Saison ad una Imperial Stout.
Un po’ fuori dagli schemi è invece la Superbia, una birra che viene definita abbastanza arditamente di stile (o non stile brassicolo) “Metodo Tradizionale Italiano”. Il richiamo è ovviamente allo spumante e al metodo “classico” (o méthode Champenoise) che, per farla breve, consiste sostanzialmente in una seconda fermentazione del vino all’interno della bottiglia attraverso l’induzione di zuccheri e lieviti. Nel caso della Superbia, vengono appunto utilizzati lieviti da spumantizzazione (Saccharomyces Bayanus); non mi è ovviamente chiaro se la birra venga anche sottoposta alle altre fasi tipiche del metodo Champenoise, ovvero remuage, degorgement ed aggiunta del liqueur d'expedition, o se si tratti, semplicemente e più probabilmente, di una birra “bottle conditioned”. Gradazione alcolica importante (12.5%) e bel color oro velato, con schiuma bianca, fine, compatta e cremosa, dalla buona persistenza. Il naso è abbastanza pronunciato, si fa notare subito una bella speziatura leggermente pepata, qualche sentore floreale, di pera e di miele, ma soprattutto molta banana. In bocca c'è una sostanziale corrispondenza con l'aroma: corpo medio, carbonazione vivace, note di crosta di pane, frutta gialla, miele, pera e, di nuovo, una netta presenza di banana. L'alcool è davvero molto ben nascosto, la bevibilità è tutto sommato buna, ma il legame con lo spumante appare davvero flebile; birra dolce, banana un po' troppo invadente e, soprattutto, mancanza di quella secchezza che ti aspetteresti da un sorso di spumante; il palato rimane sempre un po' appiccicoso. Chiude con una lieve nota amaricante di mandorla (amara), ed è solo nel retrogusto, non particolarmente lungo, che c'è un leggero warming etilico.
Formato 75 cl., alc. 12.50%, lotto e scadenza non rilevati.
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