Rieccoci ad HOMEBREWED! l'angolo dedicato alle birre fatte tra le mure domestiche. Oggi tocca ad Andrea Di Taranto, homebrewer nato a Forlì ma oggi residente a Bologna; nella sua città natale è nel 2011 il locale Barbeer a fargli scoprire la birra, bevanda che lo aveva lasciato piuttosto indifferente sino ad allora. E' la Sierra Nevada Pale Ale, birra che ha "convertito" migliaia di bevitori americani portandoli al craft, a colpire Andrea anche se non in maniera positiva. Troppo amara, una sensazione spiacevole che si trasforma in una sfida: trovare una birra, in quel rinomato locale che ne aveva così tante, di suo gusto. E' la Blanche De Namur della Brasserie du Bocq la birra-chiave che apre le porte di un mondo fatto di sapori e di stili diversi che Andrea prima approfondisce su alcuni libri e poi, spronato dalla sorella, sui fornelli di casa.
E' il 2013, e dopo le consuete letture di forum e siti dedicati all'homebrewing si parte con un kit di una Hefeweizen al quale - estro del birraio neofita - Andrea aggiunge un dry-hopping di Cascade: il risultato soddisfa i due giovani homebrewer che decidono di passare subito all'E+G e nel dicembre 2014 all'All Grain. I complimenti ricevuti da altri colleghi-birrai casalinghi li spronano a procedere al ritmo di una cotta al mese da venti litri: negli ultimi mesi fratello e sorella sono stati un po' lontani a causa dei rispettivi impegni e Andrea si è sobbarcato l'onere e l'onore di portare avanti la produzione di birra. Il Belgio è la nazione che lui "ama" bere con la preferenza, da me assolutamente condivisa, per le Saison: birre facili da bere ma dotate di carattere e, negli esempi meglio riusciti, di una complessità non indifferente. Sull'argomento Saison torneremo tuttavia con Andrea in un futuro prossimo.
Le birre.
Le birre.
Partiamo dalla Belgian IPA chiamata Mr. Peterson e ispirata al Belgio moderno, ovvero quello che non ha paura di spingere il pedale sull'acceleratore del luppolo. La ricetta prevede soprattutto malto pils, una piccola percentuale di Vienna e fiocchi di frumento; la luppolatura chiama in causa Challenger e Marynka per l'aroma ed il Saaz per l'amato. Lievito Wyeast 3522.
Al solito la fotografia rende la birre più scura di quanto non sia realmente: il suo colore è ramato, piuttosto opalescente e poco luminoso, sormontato da una generosa e compatta testa di schiuma dall'ottima persistenza. L'aroma, se si eccettua una lieve punta fenolica (plastica) presenta un bouquet abbastanza pulito e dalla buona intensità: arancia sanguinella, qualche accenno di frutta tropicale, una lieve nota pepata. Il gusto lo segue senza grosse deviazioni ma con minor pulizia: i malti (miele, un accenno biscottato) supportano adeguatamente il dolce dell'arancia e la generosa luppolatura alla quale spetta il compito di chiudere la bevuta con un amaro piuttosto intenso nel quale trovano posto note zesty, erbacee e terrose. L'alcool (7%)è ben nascosto, facendosi sentire con un lieve tepore solo nel finale: è una IPA vivamente carbonata e ben attenuata il cui DNA è indiscutibilmente belga. L'idea è ben realizzata e la birra c'è: ritengo che ci sia da lavorare per migliorare ancora pulizia, eleganza e sopratutto il mouthfeel, ovvero la sensazione palatale. La trovo un po' pesante a livello tattile e, sopratutto, sento la birra un po' slegata: come se acqua e sapori viaggiassero su due binari paralleli. Da migliorare anche il colore: se fossimo ad un concorso la giudicherei un po' brutta e spenta, poco invitante.
Come faccio sempre per le birre prodotte in casa, ecco la valutazione su scala BJCP: 35/50 (Aroma 8/12, Aspetto 2/3, Gusto 15/20, Mouthfeel 3/5, impressione generale 7/10).
Dal Belgio attraversiamo il Mare del Nord per spostarci in Inghilterra ad assaggiare finalmente una Real IPA inglese, ovvero non contaminata dall'uso di luppoli americani. Una tipologia di birre che arrivano col contagocce in Italia e che, anche in Inghilterra, dovrete andare a cercare con il lanternino, soprattutto se frequentate i locali di recente apertura. La ricetta prevede malti Maris Otter, Munich e Carared, luppoli EK Golding e Challenger usati sia in amaro che in aroma, lievito White Labs 013.
Anche lei è piuttosto opalescente nel bicchiere e non esattamente attraente: ramata con riflessi dorati ed arancio, forma un piccolo ma cremoso e compatto cappello di schiuma color ocra. Il naso è pulito e caratterizzato da una buona fragranza dei malti (biscotto, caramello, frutta secca) accompagnati da profumi di marmellata d'arancia. I parametri dello stile sono rispettati anche al palato: corpo medio, poche bollicine, gusto che mostra piena coerenza con l'aroma: si parte con il dolce del caramello e del biscotto affiancati da quel "nutty" tipicamente inglese. L'amaro parte un po' in sordina ma diviene pian piano protagonista di una IPA (7%) intensa ma facile da bere che chiude con un amaro erbaceo e terroso di buona intensità che andrebbe forse "ingentilito" un po'. L'interpretazione dello stile mi sembra tuttavia convincente con un buon livello di pulizia ed eleganza: da migliorare anche qui la sensazione "tattile" della birra, che trovo un pochino pesante e da limitare (o meglio ancora eliminare) la presenza del sapore di cereale che ritorna anche nel retrolfatto. E' stato comunque davvero un piacere tornare a bere una IPA inglese dopo molto, troppo tempo, ma purtroppo sono birre che la moda non richiede e che quindi non catturano l'interesse degli importatori: l'unico rimedio è allora farsele in casa. Questa la valutazione su scala BJCP: 38/50 (Aroma 8/12, Aspetto 2/3, Gusto 16/20, Mouthfeel 4/5, impressione generale 8/10).
Al solito la fotografia rende la birre più scura di quanto non sia realmente: il suo colore è ramato, piuttosto opalescente e poco luminoso, sormontato da una generosa e compatta testa di schiuma dall'ottima persistenza. L'aroma, se si eccettua una lieve punta fenolica (plastica) presenta un bouquet abbastanza pulito e dalla buona intensità: arancia sanguinella, qualche accenno di frutta tropicale, una lieve nota pepata. Il gusto lo segue senza grosse deviazioni ma con minor pulizia: i malti (miele, un accenno biscottato) supportano adeguatamente il dolce dell'arancia e la generosa luppolatura alla quale spetta il compito di chiudere la bevuta con un amaro piuttosto intenso nel quale trovano posto note zesty, erbacee e terrose. L'alcool (7%)è ben nascosto, facendosi sentire con un lieve tepore solo nel finale: è una IPA vivamente carbonata e ben attenuata il cui DNA è indiscutibilmente belga. L'idea è ben realizzata e la birra c'è: ritengo che ci sia da lavorare per migliorare ancora pulizia, eleganza e sopratutto il mouthfeel, ovvero la sensazione palatale. La trovo un po' pesante a livello tattile e, sopratutto, sento la birra un po' slegata: come se acqua e sapori viaggiassero su due binari paralleli. Da migliorare anche il colore: se fossimo ad un concorso la giudicherei un po' brutta e spenta, poco invitante.
Come faccio sempre per le birre prodotte in casa, ecco la valutazione su scala BJCP: 35/50 (Aroma 8/12, Aspetto 2/3, Gusto 15/20, Mouthfeel 3/5, impressione generale 7/10).
Dal Belgio attraversiamo il Mare del Nord per spostarci in Inghilterra ad assaggiare finalmente una Real IPA inglese, ovvero non contaminata dall'uso di luppoli americani. Una tipologia di birre che arrivano col contagocce in Italia e che, anche in Inghilterra, dovrete andare a cercare con il lanternino, soprattutto se frequentate i locali di recente apertura. La ricetta prevede malti Maris Otter, Munich e Carared, luppoli EK Golding e Challenger usati sia in amaro che in aroma, lievito White Labs 013.
Anche lei è piuttosto opalescente nel bicchiere e non esattamente attraente: ramata con riflessi dorati ed arancio, forma un piccolo ma cremoso e compatto cappello di schiuma color ocra. Il naso è pulito e caratterizzato da una buona fragranza dei malti (biscotto, caramello, frutta secca) accompagnati da profumi di marmellata d'arancia. I parametri dello stile sono rispettati anche al palato: corpo medio, poche bollicine, gusto che mostra piena coerenza con l'aroma: si parte con il dolce del caramello e del biscotto affiancati da quel "nutty" tipicamente inglese. L'amaro parte un po' in sordina ma diviene pian piano protagonista di una IPA (7%) intensa ma facile da bere che chiude con un amaro erbaceo e terroso di buona intensità che andrebbe forse "ingentilito" un po'. L'interpretazione dello stile mi sembra tuttavia convincente con un buon livello di pulizia ed eleganza: da migliorare anche qui la sensazione "tattile" della birra, che trovo un pochino pesante e da limitare (o meglio ancora eliminare) la presenza del sapore di cereale che ritorna anche nel retrolfatto. E' stato comunque davvero un piacere tornare a bere una IPA inglese dopo molto, troppo tempo, ma purtroppo sono birre che la moda non richiede e che quindi non catturano l'interesse degli importatori: l'unico rimedio è allora farsele in casa. Questa la valutazione su scala BJCP: 38/50 (Aroma 8/12, Aspetto 2/3, Gusto 16/20, Mouthfeel 4/5, impressione generale 8/10).
Due birre di buon livello che si mantengono molto fedeli allo stile dichiarato: due interpretazioni azzeccate e abbastanza convincenti che hanno solamente bisogno d'affinamento per ottenere maggior pulizia, eleganze e precisione. Ringrazio Andrea per avermi spedito e fatto assaggiare la sue birre e vi do appuntamento alla prossima "puntata" di Homebrewed!
Nel dettaglio:
Mr. Peterson, 33 cl., alc. 7%. IBU 50, imbott. 18/03/2017.
Real IPA, 33 cl., alc. 7%. IBU 58, imbott. 23/02/2017
Mr. Peterson, 33 cl., alc. 7%. IBU 50, imbott. 18/03/2017.
Real IPA, 33 cl., alc. 7%. IBU 58, imbott. 23/02/2017
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