15 luglio 2015: è questa la data in cui viene dato l’annuncio dell’acquisto del birrificio londinese Meantime da parte della multinazionale SAB Miller. Le cifre dell’accordo non vengono inizialmente rivelate e le discussioni sul web sono come al solito animate dalle rassicurazioni da parte del birrificio che “nulla cambierà”, che “non si tratta di una vendita ma di una partnership”. Alcune voci parlavano di una cifra che oscillava tra i 30 e i 50 milioni di sterline, ma a luglio 2016 venne rivelato che in realtà SAB Miller pagò ben 120 milioni per acquistare un birrificio che nel 2014 aveva generato un utile di 1,5 milioni a fronte di un fatturato di circa 17 milioni.
Congratulazioni ad Alastair Hook che nel 1999 aveva fondato la Meantime Brewing Company a Charlton (Londra) racimolando 500.000 sterline da famigliari ed amici; nel 2007 aveva raccolto un altro mezzo milione per installare una moderna linea d’imbottigliamento e nel 2010 con altri due milioni 200.000 sterline aveva inaugurato la nuova sede di Greenwich che avrebbe permesso di produrre sino a 100.000 ettolitri l’anno. Nel 2011 l’ex direttore generale della SAB Miller inglese Nick Miller aveva affiancato Hook nella gestione di una società che cresceva anno dopo anno arrivando a toccare gli 80.000 ettolitri del 2014. L’arrivo di Miller non è casuale e, come racconta Martyn Cornell, Meantime stava già da allora pensando “in grande”, si trattava solamente di scegliere il "come": crowd-funding, banche, investitori privati o grande multinazionale? Miller non ci ha messo molto a riallacciare i ponti con il suo vecchio datore di lavoro rendendo così economicamente felice quella sessantina d’azionisti che la Meantime l’avevano vista nascere dal nulla.
Si fa tuttavia presto a dire “niente cambierà” e “partnership”: quando qualcuno spende centinaia di milioni per acquistarti e il tuo birrificio diventa semplicemente un marchio in un vasto portafoglio. Non c’è romanticismo, è solo business e chi ti ha comprato dispone di te come meglio crede: due mesi dopo la cessione alla Meantime furono costretti ad ammettere che “occasionalmente” alcuni lotti della London Lager erano stati mescolati con altri lotti prodotti presso gli impianti del birrificio Grolsch in Olanda, di proprietà di SAB Miller. Non proprio il massimo per una birra chiamata "London". Un’operazione necessaria per soddisfare le richieste del mercato e svoltasi – assicurano alla Meantime - rispettando esattamente le ricetta originale e le sue caratteristiche organolettiche nei minimi dettagli.
10 ottobre 2016: dopo alcune settimane di trattative viene finalmente ufficializzato l’acquisto da parte di AB-InBev della maggioranza azionaria del rivale SAB Miller per la modica cifra di 78 miliardi di sterline. Il risultato è un megagruppo dal fatturato annuo di 55 miliardi di dollari e capace di controllare il 30% del mercato della birra mondiale attraverso quattrocento marchi; per avere tuttavia l’approvazione dell’antitrust britannico la neonata società ha dovuto “sacrificare” alcuni marchi posseduti da SAB Miller: Peroni, Grolsch e Meantime sono stati ceduti alla giapponese Asahi per una cifra che si aggirerebbe intorno ai 400 miliardi di yen (ovvero circa tre miliardi di euro).
La birra
Meantime London Pale Ale: la ritrovo dopo quasi sei anni in un formato ridotto a trentatrè centilitri, quello che hanno ormai adottato quasi tutti i birrifici “craft” inglesi. Meantime non è oggi più craft ma in un certo senso la promessa del “niente cambierà” è stata mantenuta: la trovavo abbastanza anonima sei anni fa, la trovo uguale - forse un po' peggiorata - oggi. I luppoli utilizzati per questa American Pale Ale sono Cascade, Centennial ed il britannico East Kent Goldings.
Il suo colore è limpido e si colloca tra l'oro carico ed il ramato e nel bicchiere forma una testa di schiuma leggermente "sporca" e abbastanza compatta ma non molto persistente. Nonostante il lotto produttivo mi faccia pensare ad una bottiglia nata lo scorso marzo, la fragranza non è la caratteristica principale di un naso che presenta profumi terrosi, biscottati e caramellati, di marmellata d'arancia e una lieve presenza metallica e di cartone bagnato. Il gusto lo ricalca quasi fedelmente riducendo ai minimi termini la componente fruttata: da biscotto e caramello si passa direttamente ad un amaro terroso ed erbaceo di discreta intensità che tuttavia pecca gravemente di eleganza. Una lieve astringenza conclude una birra piuttosto modesta che scivola rapidamente nell'oblio: monocorde, piatta, poco profumata e poco elegante.
Formato 33 cl., alc. 4.3%, lotto 170673, scad. 08/03/2018, prezzo indicativo 2.50 euro (foodstore, Italia)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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