Ultimo appuntamento dell’anno con le birre fatte in casa e quindi con la rubrica HOMEBREWFED! Dalle colline fiorentine di Impruneta ecco Tommaso Righi, Nicola Mansuino e il loro birrificio casalingo Pine Verdi. Il perché del nome è presto spiegato: pini e pigne abbondano nella zona e le “pine” (come vengono chiamate in gergo) ricordano visivamente i coni di luppolo.
Tommaso e Nicola acquistarono per curiosità nel 2008 un kit per fare la birra in casa e da allora non si sono più fermati al ritmo di 8-10 cotte l’anno; dai kit sono pian piano passati all'All Grain ed oggi producono (lascio a Tommaso la parola) “circa 45/50lt di birra finita con un impianto a 3 pentole con mash automatizzato tramite Arduino e un'applicazione scritta in Java che effettua il monitoraggio delle temperature e l'accensione/spegnimento in automatico del fornello a gas (metano). La miscelazione viene effettuata elettricamente da un motorino da tergicristalli sul coperchio della pentola di mash e il fly sparge è eseguito tramite una piccola pompa da cantina. Riguardo al raffreddamento, abbiamo sostituito la serpentina di rame con uno scambiatore in controflusso in tubo autocostruito e gestiamo la fermentazione in un freezer a pozzetto controllato con da termostato esterno che si occupa di far partire il congelatore per far scendere la temperatura o una resistenza da terrario da 30W per aumentarla. Le temperature vengono registrate tramite un sistema di logging autocreato sempre con Arduino e poi riportate su un foglio Excel che con delle macro crea il grafico di fermentazione. Abbiamo anche autocostruito un agitatore magnetico che ci consente di effettuare degli starter di capacità superiori al litro, diciamo fino a 4/5 litri. Concludiamo imbottigliando con una riempitrice automatica Enolmatic".
Le birre.
Partiamo dall’Amercian Wheat Ale chiamata America Works (4.2%): malti pilsner e wheat, luppoli Centennial per amaro e Citra (Cryo) per aroma utilizzato negli ultimi 15 minuti, lievito SafAle US-05. Nel bicchiere è di color giallo paglierino, opalescente; la generosa schiuma è cremosa e compatta e mostra ottima ritenzione. Il naso è fresco e pulito: profumi floreali si mescolano a quelli di mandarino, bergamotto, lime e limone con un risultato gradevole e già di suo rinfrescante. Al palato è leggera ma non troppo: dal punto di vista tattile sembrerebbe una birra con qualche punto alcolico in più di quelli reali. La bevibilità non è comunque in discussione: è una session beer che scorre a grande velocità e che regala soddisfazioni. Crackers, pane e cereali, accenni dolci di pesca e frutta tropicale supportano a dovere un amaro zesty ed erbaceo di buona intensità ed eleganza; chiude molto secca, retrogusto di cereali e palato pulito e subito desideroso di un nuovo sorso. Le si perdona facilmente anche qualche leggero calo di tensione (leggi “acquoso”) perché complessivamente c’è una buona intensità a fronte di una gradazione alcolica modesta. Per me è una birra molto ben riuscita: c’è ancora spazio per migliorare la pulizia e anche l’espressività aromatica potrebbe essere un po’ più variegata (effetto Cryo?) ma siamo davvero ai dettagli. E’ una birra rinfrescante e dissetante che idealmente berrei ogni sera d’estate. Complimenti. Questa la valutazione su scala BJCP: aroma 8/12, aspetto 3/3, gusto 16/20, mouthfeel 4/5, impressioni generali 8/10, totale 39/50.
Le cose non sono andate altrettanto bene per quel che riguarda la Gaylord Porter (5.8%), la cui ricetta prevede malti Maris Otter, Brown Malt, Pale Chocolate, avena in fiocchi, luppoli Perle ed East Kent Golding, lievito: SafAle S-04. L’aspetto, mi tocca dirlo, è piuttosto bruttino: marrone chiaro, torbido, con riflessi quasi dorati: la schiuma è generosa, abbastanza compatta ed ha un’ottima persistenza. Pane nero, biscotto, accenni di tostature e di caffè compongono un aroma che ha buona intensità e un discreto livello di pulizia e finezza. I problemi arrivano al palato: la bevuta è slegata, poco pulita, fastidiosamente astringente, dall’intensità troppo dimessa e con qualche eccesso acquoso di troppo. Gli elementi giusti ci sarebbero; caramello, pane nero, delicate tostature e caffè, persino qualche suggestione di cioccolato che emerge quando la temperatura si avvicina a quella dell’ambiente. Emergono anche esteri (prugna e uvetta -- per me benvenuti se ricordassero il “fruit cake”) che però non riescono ad amalgamarsi agli altri elementi. L’alcool è ben nascosto, non c’è quasi amaro, la bevuta chiude astringente e solo nel retrogusto arriva qualche suggestione terrosa e di caffè. Se mi fossi trovato davanti questa birra senza nessuna informazione avrei detto senza esitazioni “è una brown ale”, a partire dal colore. Il risultato è tutto sommato bevibile ma ci sono molte, tante cose da sistemare per poter parlare di una porter di nome e di fatto. Questa comunque la valutazione su scala BJCP: aroma 7/12, aspetto 2/3, gusto 9/20, mouthfeel 3/5, impressioni generali 6/10, totale 27/50.
Ringrazio Tommaso e Nicola per avermi fatto assaggiare le loro produzioni e spero che i miei appunti di bevuta possano essere utili per migliorare le ricette.
Nel dettaglio:
America Works, 50 cl., alc. 4.23%, prodotta 03/11/2018, imbottigliata 18/11/2018
Gaylord Porter, 50 cl., 5.84% ABV, prodotta 28/10/2018, imbottigliata 03/11/2018
Nessun commento:
Posta un commento