Chi segue la birra artigianale italiana da un po’ di tempo ricorderà come sei-sette anni fa proliferavano le birre con gli ingredienti più inusuali: in una sorta di gara al “famolo strano” alcuni birrifici aggiungevano carciofi, basilico, cicoria, spaghetti, radicchi e tartufi, giusto per citare i primi che mi vengono in mente. Nelle occasioni “fortunate” ai festival vi chiedevano se volevate assaggiare una birra alla liquirizia, ai petali di rosa, all’amaretto. Negli ultimi anni la tendenza ad utilizzare ortaggi e altri ingredienti ameni è fortunatamente diminuita e i birrai italiani si sono allineati ai loro colleghi stranieri orientandosi soprattutto sui classici: spezie, frutta, cacao, cioccolato, vaniglia e caffè.
Del Piccolo Opificio Brassicolo del Carrobiolo – Fermentum di Monza attivo dal 2008 e guidato dal birrario Pietro Fontana ne abbiamo già parlato in più di un’occasione, dal debutto nei locali all’interno del convento in Piazza Carrobiolo all’apertura (2014) del nuovo brewpub nella vicina piazza Indipendenza. Il Carrobiolo si è sempre contraddistinto per le sue produzioni pulite e abbastanza rigorose, senza abusare di quelle fantasiose licenze poetiche che ho descritto precedentemente. Nel 2016 Pietro Fontana è andato in controtendenza presentando al festival di EurHop tre novità abbastanza curiose: la ITA (Italian Tomato Ale), la AmanIPA Phalloides e la PIS (Porcini Imperial Stout). Pomodori e funghi. Ecco le parole del birraio nell’intervista concessa in quel periodo a Cronache di Birra: “ho voluto fare tre birre strane ma equilibrate ed eleganti. Volevo cimentarmi in qualcosa di diverso, non esattamente in stile Carrobiolo, distante quindi dalla pils e dalla keller. Ho avuto un’intuizione, come una scintilla che è scoccata. Il gusto in cucina ti porta ad associare i sapori e a capire quali possono stare insieme e quali no. Ho pensato, quindi, di unire questi gusti in tre birre innovative”.
Ho personalmente amato l’imperial Stout Coffee Brett (11%) del Carrobiolo e a tutt’oggi la trovo ancora una tra le migliori interpretazioni italiane dello stile; oltre a questa il birrificio produce anche un’imperial stout “normale” (9.7%) sulla quale credo sia basata la sorella “Porcini” che riceve un “dry-hopping” di boletus edulis secchi.
Si presenta vestita quasi di nero, la schiuma è cremosa ma abbastanza modesta ed ha una persistenza solo discreta. L’aroma è praticamente assente: s’avverte una leggerissima presenza di torrefatto, terroso, etilico. Fortunatamente le cose vanno molto meglio al palato: la Porcini del Carrobiolo è un’interpretazione “aggressiva” dello stile che fa pochi sconti. Il torrefatto morde da subito e il suo amaro è potenziato da una generosa luppolatura che sfocia in un finale resinoso, quasi balsamico, nel quale spuntano tracce terrose e – quasi rinfrescanti - di anice stellato. La controparte dolce è ridotta ai minimi termini: qualche traccia caramellata, prugna sotto spirito, liquirizia.
Pochi gli elementi in gioco in una birra potente che non raggiunge grandi profondità e batte sempre sugli stessi tasti: sarà apprezzata soprattutto dagli amanti delle imperial stout “pure e dure”, molto spinte sul torrefatto. Per quel che mi riguarda preferisco interpretazioni in cui l’amaro, anche se intenso, presenta un ventaglio più ampio di sfaccettature (caffè, cacao…). Il naso quasi assente penalizza un po’ l’esperienza di chi se la versa nel bicchiere: un peccato, perchè credo che l'utilizzo dell'ingrediente fungo fosse stato pensato proprio per questo aspetto.
Formato 33 cl., alc. 9.7%, IBU 60, lotto i17109P, scad. 01/12/2021, prezzo indicativo 7.00-8.00 euro (beershop)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
Nessun commento:
Posta un commento