Credo di non sbagliare nell’affermare che non esiste marchio di birra al mondo che abbia un legame più forte con la città e con la nazione dove è nato e viene prodotto: Guinness, Dublino, Irlanda. Era il 1759 quando Arthur Guinness lasciò al fratello il proprio birrificio a Leixlip per trasferirsi a Dublino e rilevare l’allora abbandonata St. James's Gate Brewery stipulando un contratto di locazione della durata di novemila anni al prezzo di 45 sterline all’anno: per espandersi l’azienda acquistò poi definitivamente il terreno ponendo così fine all’inusuale contratto d’affitto.
Arthur Guinness II prese il comando alla morte del padre, avvenuta nel 1803, creando assieme ai fratelli Benjamin e William Lunell la società “A. B. & W.L. Guinness & Co, brewers and flour miller”; nel 1886 la Guinness divenne una società per azioni e nel 1914 era il maggior produttore di birra nel Regno Unito: 3 milioni di ettolitri all’anno, più del doppio del suo più agguerrito concorrente, la Bass, con una quote di mercato superiore al 10%.. Nel 1986 Guinness acquistò gli scozzesi della Distillers Company, proprietari di marchi come Johnnie Walker, Buchanan's e Dewar's: un’operazione burrascosa condotta con mezzi fraudolenti che fecero salire artificialmente il valore delle azioni Guinness al fine di assicurarsi il controllo del gruppo Distillers. Nel 1997 Guinness e Grand Metropolitan (distillerie, tabacco, hotel e catering) si accorparono per formare il grande gruppo multinazionale Diageo: birra (Harp Lager, Smithwick's, Kilkenny, Guinness) e distillati (qui un elenco abbastanza esaustivo) e alimentari riuniti sotto un unico ombrello che, nel 2006, aveva una capitalizzazione di circa 40 miliardi di euro.
Oggi si stima che vengano bevuti ogni giorno dieci milioni di bicchieri di Guinness nel mondo prodotti da cinque birrifici di proprietà (Irlanda, Malesia, Nigeria, Ghana e Camerun). Nonostante il 40% della produzione sia (sorprendentemente) bevuta in Africa è a Dublino dove ancora batte il cuore Guinness: la Guinness Storehouse è ancora l’attrazione più popolare di Dublino, con più di 1.700.000 visitatori all’anno.
Per tutto il mondo la Guinness è la birra dell’Irlanda, che vi piaccia o no. Gli impianti produttivi non sono visitabili ma avrete comunque a che fare con il mondo Guinness in tutte le sue forme: dalle materie prime (virtuali) al processo produttivo (virtuale) sino agli indimenticabili annunci pubblicitari realizzati da John Gilroy tra il 1930 e il 1940: slogan, tucani, struzzi e pesci hanno contribuito in maniera determinante al successo mondiale del marchio. Al Gravity Bar dell’ultimo piano potete infine concedervi una pinta di Guinness ammirando dall’alto il modesto skyline di Dublino.
Sembra strano, ma Guinness per Dublino non è solo birra: tra le altre cose la famiglia più ricca d’Irlanda finanziò nel 1860 il completo restauro della cattedrale di San Patrizio, che a quel tempo si trovava in condizioni disastrose e si temeva potesse crollare da un giorno all’altro. I giardini pubblici di St. Stephen’s Green, nel cuore di Dublino, erano divenuti proprietà privata nel 1663 ed erano quindi inaccessibili; nel 1877 Arthur Edward Guinness li acquistò per poi restituire in regalo alla città il suo parco.
Fu lanciata “solamente” negli anni ’60, ma la Draught è divenuta rapidamente la più popolare variante di Guinness al mondo. Malto Pale Ale, 25-30% di orzo in fiocchi, 10% circa di malto tostato, sette varietà di luppolo: la troverete anche nelle versioni Cold o Extra Cold, che vi consiglierei ovviamente di evitare. La sua gradazione alcolica varia dal 4.1% al 4.3% a seconda del luogo in cui viene prodotta.
Il suo fascino è tutto nel carboazoto e in quella pallina di plastica (widget) che si trova all’interno di ogni lattina: versandola con vigore nella pinta avrete alla vista una riproduzione perfetta di quello che avviene in un pub. Il bicchiere si colora quasi di bianco mentre una cascata “al contrario” di bollicine si solleva verso l’alto per formare una perfetta testa di schiuma, cremosissima e indissolubile, dalla precisione geometrica, quasi insopportabile. Dalla vetta si può solamente scendere e l’aroma della Guinness Draft non è dei più accattivanti: le tostature sono poco eleganti, qualche accenno di caffè e cioccolato non bastano a far dimenticare quelle lievi sensazioni di metallo e gomma bruciata. E al palato lo schema si ripropone: il sontuoso mouthfeel, cremoso e vellutato, riesce a far dimenticare qualche passaggio sfuggente che in una birra dal modesto contenuto alcolico (4.2%) si può anche tollerare. Caramello, tostature, caffè-quasi-caffelatte: finale amaro, nel quale le tostature sono affiancate dal terroso dei luppoli.
La Guinness è un prodotto industriale e come tale va considerato: non cercate in lei brividi, intensità, emozioni. E’ tuttavia una buona introduzione al mondo delle stout. Io stesso ricordo ancora lo stupore davanti alla mia prima pinta di Guinness: facevo davvero fatica a comprendere quella bevanda quasi calda che sapeva di caffè, per me la birra era solo bionda o al massimo “rossa”. Non bisogna mai dimenticare quello che eravamo.
In conclusione la Draught mi sembra ricalcare esattamente la Guinness Storehouse di Dublino, una visita virtuale ad un birrificio del quale non vi vengono mostrati gli impianti, neppure da un oblò di vetro. Tanta apparenza alla quale non corrisponde altrettanta sostanza. Volete bere una stout spendendo poco? Per questo la Guinness è quasi perfetta. Le lattine da mezzo litro si trovano di tanto in tanto in qualche discount a poco più di un euro: un rapporto qualità prezzo soddisfacente, devo ammetterlo. Volete bere una buona stout? Ci sono centinaia di alternative artigianali, ma preparatevi a spendere quasi cinque volte di più: a voi la scelta.
Formato 50 cl., alc, 4.2%, lotto 90346GH055, scad. 04/12/2019, prezzo indicativo 1,25 Euro (supermercato) NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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