giovedì 26 settembre 2019

DALLA CANTINA: Hair of the Dog Adam #85 (2012)

Riparatore di bicilette, agente immobiliare alle Hawaii, soffiatore di vetro e importatore di bevande: questi i mestieri svolti dal californiano Alan Sprints, classe 1959, prima di arrivare a Portland (Oregon) per frequentare il Western Culinary Institute per poi entrare nel ramo della ristorazione. Era il 1988, anno in cui si tenne il primo Oregon Brewers Festival, quasi un primordiale esempio di festival di birrifici artigianali: a quel tempo a Portland ce n’erano una manciata, oggi l’area metropolitana ne ospita 84. E’ un evento che ad Alan cambia la vita e lo spinge ad interessarsi all’homebrewing, iscrivendosi all’Oregon Brew Crew, la più vecchia associazione di homebrewers di tutti gli Stati Uniti: ne ricoprirà la carica di presidente per tre anni. 
Sprints inizia a lavorare come cuoco, un lavoro che lo appassiona ma non lo soddisfa: “era difficile per me avere una famiglia e dover lavorare di notte, nei weekend e nei festivi”. Nel frattempo l’homebrewing è divenuto una faccenda sempre più seria ed i suoi amici sembrano gradire molto le sue produzioni: Sprints riesce a trovare un impiego come apprendista presso il birrificio Widmer ma anche lì ci sono dei turni notturni da rispettare. Con una buona dose d’incoscienza (“se a quel tempo avessi sottoposto il mio business plant a qualche analista non avrei probabilmente mai aperto”)  decide allora di mettersi in proprio e di aprire alla fine del 1993 la Hair of the Dog Brewing Company. “Non sono mai stato un bevitore di grosse quantità di birra. Mi sono subito orientato su quelle dall’elevato contenuto alcolico: con un paio ottenevo lo stesso effetto di sei birre leggere. Quando inaugurai il birrificio fu normale per me fare quel tipo di birre. La mia influenza principale è il Belgio, il mio primo viaggio nel 1991 cambiò completamente le mie concezioni sulla birra. Siccome volevo fare birre forti, che avrebbero creato hangover, quale nome migliore di Hair of the Dog  (espressione inglese che si riferisce ad una bevanda alcoolica che si consuma con lo scopo di ridurre gli effetti di una sbornia)?"
Adamo fu il primo uomo sulla terra e la Adambier (10%) fu la prima birra prodotta da Hair of the Dog: riesumazione di uno stile tedesco (quasi) estinto, una sorta di Doppelbock ad alta fermentazione, per semplificare al massimo. Nel 1992 Springs portò una prima versione di questa birra ad una conferenza di homebrewers: l’assaggiarono Fred Eckhardt e Michael Jackson: entrambi diedero giudizi molto positivi incoraggiandolo ad andare avanti.  Ma “la maggior parte delle prime persone che poi la ordinarono al brewpub non sapevano che cosa farci… fu molto frustrante. Ora per fortuna le cose sono cambiate”.  Fred Eckhardt (1926-2015)  homebrewer, birraio e scrittore fu il vero mentore di Springs: lo spronò e lo consigliò nell’elaborazione delle prime birre (poco) commerciali di Hair of The Dog: a lui fu dedicato il barley wine chiamato Fred. 

La birra.
Cercate una birra da mettere in cantina? Adam è un’ottima candidata, almeno così dicono gli esperti. Trovarla non è facile, soprattutto alle nostre latitudini, ma ogni tanto qualche bottiglia è stata avvistata. Il birrificio la produce alcune volte l’anno: sino al 2012 sul sito di Hair of The Dog era possibile risalire al giorno di nascita di ogni lotto. Oggi purtroppo la lista non è più aggiornata. 
Vediamo se Adam è davvero un birra da invecchiamento: per l’occasione stappiamo il lotto numero 85, anno 2012. Il suo colore un po’ torbido ricorda la tonaca dei frati (cappuccini, per i più pignoli): la schiuma è modesta ma cremosa, poco persistente. Prugna, uvetta, frutti di bosco, melassa, rabarbaro: le note ossidative sono sia positive (sherry, vino fortificato) che negative (cartone). Va meglio il mouthfeel: è impressionante trovare una birra di sette anni così morbida e dal corpo quasi pieno, che quasi non mostra segni di cedimento. La bevuta ripropone l’aroma fedelmente: dolci note vinose, di melassa e di frutta sotto spirito vengono bilanciate da un amaro finale d’intensità ancora sorprendente. China, radice e rabarbaro, su tutto. Più che ad un vino fortificato il risultato finale è quasi reminiscente di un liquore alle erbe: scalda senza bruciare, si sorseggia con buona soddisfazione, curiosità e qualche emozione: bevuta interessante ma non molto complessa, sicuramente inusuale. Vale i sette anni d’attesa? Questa bottiglia no. 
Formato 35.5 cl., alc. 10%, IBU 50, imbott. 29/03/2012, pagata 4,95 dollari (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

Nessun commento:

Posta un commento