Beer Garage nasce nel 2015 come brewpub nell’affollato quartiere di Barcellona chiamato Eixample, già rinominato dagli appassionati Beerxample visto che in poche centinaia di metri convivono Biercab, Barcelona Beer Company, Mikkeller Bar, BrewDog Bar e il neonato Naparbier Barcelona, tanto per ricordare i più noti.
Sono Alberto Zamborlin e l’inglese James Welsh ad aprire il portone del garage: nel 2009 l’italiano sta facendo un master a Dublino e un amico-homebrewer statunitense gli propone le proprie birre come alternativa alla galassia Guinness: una rivelazione che si trasforma in breve tempo in passione e in un garage pieno di pentole. Spostatosi a Barcellona, Zamborlin continua con l’homebrewing e nel 2013 s’iscrive alla Steve Academy di Steve Huxley (RIP), un inglese che possiamo considerare il padre della birra artigianale catalana. E’ in questa “scuola” che incontra James Welsh, un predestinato: padre, zio fratello sono (o sono stati) tutti e tre birrai; i due impiegano due anni per trovare la location giusta, inaugurare il Beer Garage Brewpub e abbandonare le rispettive occupazioni dietro alle scrivanie. Dopo soli undici mesi è già il momento di affrontare il problema della capacità produttiva, ormai saturata dalle richieste che iniziano ad arrivare anche dall’estero: tempo un mese di crowfunding e i due ragazzi hanno già a disposizione i 500.000 euro necessari per aprire un secondo sito produttivo nel quartiere di Sant Andreu, a sette chilometri dal Beer Garage originale che continua comunque a funzionare come “taproom” e come impiantino sperimentale. I 600 ettolitri annui dal vecchio impianto vengono raddoppiati con la possibilità di ulteriore espansione a 3500.
Al successo hanno indubbiamente contribuito anche le grafiche moderne e la scelta di adottare il formato che va più di moda, la lattina; le quattro birre dell’esordio (Garage IPA, Pale Ale Riba, Zambo (Saison) e Karma (Red Ale) sono state rapidamente affiancate da un centinaio di altre etichette, incluse le immancabili collaborazioni, anche internazionali. La produzione è attualmente incentrata sul luppolo ma, promettono da Barcellona, presto si sperimenterà anche con i lieviti.
Partiamo dalla Session IPA (5%) chiamata Old Currency: lievito London Ale III, malto Golden Promise, avena maltata, avena in fiocchi, frumento, destrine e luppoli Ella e Simcoe, ovviamente nell’immancabile DDH - Double Dry Hopping. Il suo colore è simile a quello di un torbido succo di frutta alla pera, la schiuma biancastra è scomposta e poco persistente. Il naso è caratterizzato da quella poca eleganza e poca definizione che spesso contraddistinguono queste New England IPA ma c’è comunque un bouquet fresco, intenso e gradevole: ananas, mango, mandarino e arancia sono i frutti che riesco ad indentificare. Particolarmente riuscito è invece il mouthfeel: un ottimo compromesso tra la scorrevolezza necessaria in una Session IPA e quel carattere morbido e leggermente “chewy/masticabile” delle NEIPA. Al palato c’è un’ottima intensità che, di nuovo, fa passare in secondo piano le pretese di pulizia e finezza: crackers e pane, un accenno di dolce tropicale e poi la birra scivola verso un immaginario agrumeto nel quale crescono arance, pompelmi, limoni e lime. Chiude secca ed amara di scorza, disseta e rinfresca con carattere e con spirito modaiolo. Birra convincente e soddisfacente al punto che le si perdona anche quel lievissimo “bruciore/raschiare” finale che spesso il DDH porta in dote. Per me è un bel “si”.
Woozy è invece una Double IPA realizzata in collaborazione con il birrificio svedese Stigbergets la cui ricetta prevede malti Finest Lager, Extra Pale, avena maltata e in fiocchi, lievito WLP095 Burlington e un DDH di Loral, Citra e Simcoe.
All’aspetto è dorata con qualche riflessi arancio. Rispetto alla Old Currency c’è una pulizia aromatica nettamente migliore: ananas, mango, papaia e pompelmo, qualche accenno dank. L’intensità è buona anche se non esplosiva. Personalmente non amo molto le Double IPA “pesanti” ed alcoliche e purtroppo questa Woozy possiede entrambe le caratteristiche: la sensazione tattile al palato è piuttosto onerosa, la bevibilità ne risente e l’alcool (8.5%) non mostra nessun’intenzione di nascondersi. Sul palcoscenico transitano malti (pane e miele, qualche accenno biscottato), il dolce di mango e ananas, un amaro finale resinoso e pungente di buona intensità ma breve durata che fa pensare ad un ibrido da West ed East Coast. A poche settimane dalla messa in lattina non brilla di energia e vigore, il suo carattere fruttato è evidente ma non tanto da poter essere definito “juicy”: dal Double Dry Hopping riceve invece quelle imprecisioni che significano un livello solo discreto di pulizia, definizione ed eleganza. Le manca anche quella secchezza che potrebbe snellirla e aumentare sensibilmente il ritmo di bevuta: il risultato è una birra comunque gradevole e piacevole, ma non bisogna mai dimenticare il rapporto qualità prezzo. Quando per una IPA arriviamo a 16 euro al litro si diventa meno indulgenti e si alza l’asticella delle pretese.
Nel dettaglio:Old Currency, 44 cl., alc. 5.0%, lotto 04/07/2018, scad. 03/01/2019, prezzo indicative 7.00 euro (beershop)
Woozy, 44 cl., alc. 8.5%, lotto. 27/06/2018, scad. 26/12/2018, prezzo indicativo 8.00 euro (beershop)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio
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