I numeri dicono che Nastro Azzurro è il marchio di birra “italiana” più conosciuto ed esportato al mondo, anche se da quindici anni il gruppo Peroni è passato di proprietà in mani straniere. Come già vi avevo raccontato, nel 2003 la multinazionale SAB Miller aveva acquistato la maggioranza aziendale per poi cederla, nell’ottobre del 2016, alla giapponese Ashai. E’ stato uno degli “effetti collaterali” della clamorosa acquisizione di Sab Miller da parte di Anheuser-Busch InBev: l’antitrust è intervenuta ed ha costretto questo nuovo gigante da 104 miliardi di dollari (il doppio di Heineken, terzo in classifica, giusto per darvi un’idea) a cedere alcuni prezzi pregiati. Peroni, l’olandese Grolsh e l’ex birrificio artigianale inglese Meantime sono stati acquistati da Asahi per 2,5 miliardi di euro. Degli 5,6 milioni di ettolitri di birra prodotti all’anno (2017) da Peroni, un terzo è Nastro Azzurro e i 1,7 milioni di ettolitri venduti all’estero (2016) rappresentano da soli i tre quarti dell’intero export di birra italiana nel mondo.
Nastro Azzurro nacque nel 1963 nello stabilimento Peroni di Roma, con l’idea di creare un’alternativa “mediterranea” e più “leggera” rispetto alle concorrenti tedesche che dal dopoguerra dominavano il mercato italiano. Ricorda il birraio Giorgio Zasio, cinquant’anni passati a lavorare in Peroni: “la prima Nastro Azzurro era molto diversa da quella attuale. Era troppo alcolica, e risultava sempre meno gradita dai consumatori. Ci abbiamo impiegato due anni per fare un restyling e cambiarle il volto. Abbiamo abbassato l’amaro, ma anche ridotto il grado alcolico. Ed è venuta fuori una birra più in linea con i tempi. Un gusto molto diverso da quello della Peroni classica”.
Risollevatasi dalle macerie della seconda guerra mondiale, l’Italia era nel pieno del boom economico e la Peroni decise di lanciare un prodotto che voleva essere al tempo stesso nostalgico ma orientato al futuro: il Nastro Azzurro era il riconoscimento che veniva dato alla nave passeggeri in grado di attraversare l’oceano Atlantico nel minor tempo possibile, senza scali di rifornimento. Il transatlantico italiano Rex lo ottenne nel 1933 percorrendo le 3181 miglia che separano Gibilterra dal faro di Ambrose, nella baia di New York, in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti alla velocità media di 28,92 nodi, strappando il primato al transatlantico tedesco Europa per detenerlo sino al 1935 quando passò al francese Normandie. Il Rex, vanto dell’era fascista, fu bombardato l’8 settembre del 1944 quando si trovava nelle vicinanze di Capodistria e bruciò per quattro giorni prima di affondare: il relitto fu smantellato sul posto tra il 1947 ed il 1958, in quanto troppo costoso cercare di recuperarlo dal fondo del mare.
Attraverso la storia, Nastro Azzurro voleva promuovere qualcosa di nuovo: richiamare il Rex e gli Stati Uniti non era soltanto ricordare i milioni di italiani emigrati via mare in cerca di fortuna ma era anche evocare il paese più moderno e sviluppato al mondo. La prima Nastro Azzurro fu commercializzata in lattina, un formato non molto popolare tra i bevitori italiani di quel tempo.
La birra.
Vanto (?) della Nastro Azzurro (5.1%) è l’utilizzo di Mais Nostrano, “una varietà autoctona recuperata grazie all’esperienza dell’Istituto sperimentale per la Cerealicoltura di Bergamo, sotto il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali”. All’aspetto è dorata e perfettamente limpida: la schiuma è candida e impeccabilmente compatta, con un’ottima persistenza. Al naso c’è il dolce del mais, una delicatissima speziatura, qualche profumo erbaceo e di cereali: niente di entusiasmante ma nessuno si aspetterebbe un aroma coinvolgente da una lager industriale. Al palato scorre ovviamente bene e con leggerezza, anche per quel che riguarda l’intensità dei sapori, ovviamente abbastanza dimessa: pane, un tocco dolce di miele, mais e un finale corto amaro delicatamente speziato, erbaceo e poco elegante. Nel complesso mi sembra tuttavia di livello superiore rispetto alla sorella-spremuta-di-mais Peroni: ammetto di aver assaggiato lager industriali (o da discount) molto peggiori di questa. Bevuta piuttosto fresca, disseta e rinfresca grazie ad una discreta secchezza e il suo poco gusto la rende pressoché innocua e questa bottiglia è stata anche graziata quei “colpi di luce” che spesso colpiscono la bottiglie della grande distribuzione. Non resta molto altro da dire.
E’ arrivata invece poco prima dell’estate la Nastro Azzurro Prime Brew, se non erro prima lager “non filtrata” prodotta dalla Peroni. Una mossa che segue con un po’ di ritardo quella delle concorrenti Heineken, ovvero Poretti e Ichnusa Non Filtrata ma che è comunque indicativa del fatto che l’industria non sta con le mani in mano di fronte alla piccola rivoluzione della birra artigianale che ha costruito il suo successo anche grazie ai termini “non filtrata (e non pastorizzata)”.
Il lancio della Nastro Azzurro Prime Brew è tuttavia abbastanza singolare in quanto avvenuto a colpi di “grado primitivo di fermentazione”, un concetto (supercazzola?) già poco chiaro agli addetti ai lavori e – soprattutto – del tutto incomprensibile al consumatore medio di birra. Poco importa, perché il messaggio è stato veicolato senza problemi da siti, riviste e blog replicanti di comunicati stampa: leggo qua e là che “il processo è arrestato al grado primitivo di fermentazione”, che la birra è “nata al grado primitivo di fermentazione, con un gusto davvero unico quindi”, che è “prodotta mantenendo il grado primitivo di fermentazione” e che “il giovane Mastro Birraio Alberto Marzaioli ha avuto l’intuizione di interrompere il processo produttivo nel momento in cui la birra raggiunge il suo gusto più intenso”.
Che cosa s’intende con “grado primitivo di fermentazione”, allora? La spiegazione potrebbe essere abbastanza semplice e questo concetto sembrerebbe creato ad hoc solo per evitare di chiamare indirettamente in causa una pratica comunemente diffusa: la diluzione del mosto prodotto in “high gravity” per raggiungere il (basso) grado alcolico desiderato. Dire esplicitamente che la Nastro Azzurro Prime Brew non viene diluita equivale a dire che la Nastro Azzurro “normale” lo è; ripeto, non c’è niente di male in tutto questo, ma probabilmente alla Peroni si vuole evitare di veicolare l’immagine “birra diluita” che potrebbe essere percepita in maniera negativa (annacquata?) dalla maggior parte dei bevitori che non s’interessa di processi produttivi. E poi c'è il fascino di tutto quello che è ancestrale, arcaico, primordinale: l'antitesi dell'industria, insomma. Tutto chiaro allora? Forse no, visto che alle provocazioni degli utenti sui social network i responsabili della comunicazione della Peroni hanno risposto in maniera esilarante (“il grado primitivo corrisponde alla percentuale di zuccheri che contiene il mosto da cui deriva la birra. Solitamente a fine produzione è più basso rispetto a quello di fine fermentazione, per effetto del processo di filtrazione e della successiva correzione del grado alcolico e del livello di amaro”) o sibillina (“significa che la percentuale in peso di zuccheri contenuti nel mosto di da cui deriva la birra non diminuisce - al netto delle inevitabili diluzioni di processo - durante il processo produttivo, non essendo prevista la fase della filtrazione”) non escludendo che anche il mosto della Prime Brew venga in parte diluito.
La birra.
Prodotta anche lei con il Mais Nostrano, la Prime Brew (5.8%) non è filtrata e quindi velata all’aspetto. L’aroma chiama in causa note floreali e di mais, un accenno di mela verde, pane e cereali, una lieve speziatura: inutile cercare eleganza e fragranza, ma nel complesso il bouquet non è affatto sgradevole. Al palato scorre veloce ma a livello tattile risulta un po’ più “pesante” rispetto alla Nastro Azzurro normale. La non filtrazione le dona una “maggior” intensità dei sapori (pane, mais, cereali e miele) ma al tempo stesso enfatizza le caratteristiche di un prodotto industriale: manca finezza, eleganza, fragranza. Il livello d’amaro finale è inferiore a quello della Nastro Azzurro così come la secchezza: il risultato è una birra leggermente meno rinfrescante del previsto. Prime Brew costa all’incirca il 50% in più al litro rispetto alla Nastro Azzurro: ne vale la pena? Per me no. In assenza dell’acqua, se devo proprio condannarmi a bere un’anonima lager industriale, preferisco che sia la più anonima e “innocua” possibile. Meno si sente, per quel che riguarda il gusto, meglio si sta.
Nel dettaglio:Nastro Azzurro, 33 cl., alc. 5,1%, lotto L8 129 1 18 ROMA, scad. 01/02/2019, prezzo indicativo 0.66 Euro (supermercato)
Prime Brew, 33 cl., alc. 5.8%, lotto L8 177 1 05 PADOVA, scad. 01/06/2019, prezzo indicativo 0.99 Euro (supermercato)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio
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