mercoledì 9 luglio 2014

Menaresta White Widow

Se siete appassionati birrofili, sarete senz'altro familiari con le Black IPA, o Cascadian Dark Ales che dir si voglia; la moda è già passata da un po', moltissimi sono i birrifici che ne producono una e, ovviamente, c'è già bisogno di inventarsi qualcosa di nuovo. Dal "nero" al suo opposto, il "bianco", il passo è stato abbastanza breve; anche perché white/blanche/wit in ambito brassicolo identifica uno stile ben preciso. Che cosa accade, quindi, se ad una classica blanche o wit belga viene aggiunta una dose massiccia di luppoli americani? Una "White IPA". Il primo esempio pare essere nato alla fine del 2010, quando Larry Sidor, birraio di Deschutes (Oregon) incontra Steven Pauwels della Boulevard (Missouri) per il secondo episodio di Conflux, nome con il quale il birrificio dell'Oregon identifica le proprie collaborazioni. S'incontrano quindi un birrificio (Deschutes) della costa pacifica americana, che ama le abbondanti luppolature, con uno (Boulevard) particolarmente apprezzato per la sua Tank 7 Farmhouse Ale, ispirata alle saison belghe. Steven Pauwels è, oltretutto, di origine belga. Per chi ha qualche problema con l'inglese, segnalo questo articolo di Cronache di Birra sulle White IPA.
Tecnicamente una White IPA dovrebbe quindi utilizzare un ceppo di lievito belga ed una luppolatura americana; "concesso" anche l'utilizzo di spezie, come spesso avviene per le blanche, con coriandolo e scorza d'arancia tra quelle usate più di frequente. Potreste anche chiamarle American Wit o American Blanche, mentre non vanno confuse con le American Wheat, anch'esse birre di "frumento" che però prevedono un lievito americano, nessuna spezia e una luppolatura chiaramente meno intensa di quella che c'è in una IPA.
Diversi sono anche i birrifici italiani che si sono cimentati nel ricreare una White IPA; tra questi c'è Menaresta, che poco  tempo fa  ha presentato la sua "vedova bianca", White Widow; debutta il 10 Maggio al "Gatto e la Volpe" di Carate Brianza. La ricetta, di Marco Valeriani, prevede malti Pils e Carapils, fiocchi di frumento e d'avena ed una generosa luppolatura di Citra, Cascade e Sterling; non sono citate spezie. All'aspetto è di colore oro pallido, quasi paglierino, opaco; la schiuma, bianca, è cremosissima e compatta, molto persistente. L'aroma è un piccolo festival dell'agrume: pulito e fragrante, offre aspri sentori di limone e lime, scorza di mandarino; in sottofondo sfumature di mela verde e, solo quando la birra si scalda, qualche nota più dolce di polpa d'arancio e pompelmo. Al palato sorprende in quanto è molto morbida nonostante l'elevato ammontare di bollicine, e immagino che questo sia in parte dovuto all'utilizzo di avena; il corpo è medio-leggero. Scorrevolissima, disseta il palato con gli stessi agrumi presenti nell'aroma; la base di malto (pane) è quasi impercettibile, la birra è quasi aspra ma proprio per questo risulta estremamente vivace e rinfrescante grazie ad un bel dialogo tra gli agrumi e le bollicine; a bilanciare - come nell'aroma - c'è qualche nota dolce di polpa d'arancio, forse di pesca -  che si fa più evidente quando la birra si scalda. Il finale amaro è ovviamente "zesty", con un grande ammontare di scorza d'agrumi e qualche lieve sfumatura erbacea. Pulita e fragrante, sbarazzina e ruffiana, scorre con la facilità di una "session beer" anche se il contenuto alcolico in percentuale è quasi 6; tutte caratteristiche che la rendono una perfetta compagna dissetante per i giorni più caldi dell'anno, sempre che vi piacciano le spremute d'agrumi.
Formato: 33 cl., alc. 5.9%, IBU 60. lotto 27, imbottigliata 03/2014, scad. 03/2015, pagata 5.00 Euro (beershop, Italia).

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