Il nome non è dei più originali, quindi bisogna fare attenzione a non confondersi: Mother Earth Brewing si trova a Kinston, North Carolina, mentre mentre Mother Earth Brew Company è a Vista, California del Sud, cinquanta chilometri a nord di San Diego. I due birrifici non si sono ancora fatti causa, quindi per ora tutto bene.
A noi oggi interessa quello californiano, fondato all’inizio del 2010 da Daniel Love e dal figliastro Kamron Khannakhjavani; stanco della sua carriera come Sales Manager di una multinazionale nel business della telefonia, all’età di cinquant’anni decide d’investire il suo 401K in una nuova avventura in campo brassicolo. Fondamentale fu il suo incontro al Great American Beer Festival del 2008 con Lee Chase, head brewer per una decina d'anni presso Stone, dove si era occupato dell’avviamento del nuovo impianto di Escondido. Lasciata Stone nel 2006 nelle mani di Mitch Steele, Lee ha iniziato ad offrire consulenze ad altri nuovi birrifici/start-up, oltre a fondare la Blind Lady Ale House in San Diego con l’annesso birrificio Automatic Brewing.
Daniel e Kamron erano già intenti a trafficare con le pentole, ma ora iniziano a lavorare seriamente alle ricette sotto la supervisione di Lee: dalle cotte in garage si passa all’inaugurazione dei locali (185 metri quadri) di Thibodo Road, a Vista, dove oltre agli impianti trovano spazio un negozio per homebrewing e una piccola taproom. I volumi crescono rapidamente e nel 2012 è già tempo di trasferirsi nella nuova sede (2600 mq., impianto da 65 HL) di 206 Main Street Vista dove attualmente lavorano 55 dipendenti per un potenziale annuo di 35.000 ettolitri ormai completamente saturato dalla domanda del mercato; nella vecchia sede di Thibodo Road rimangono ancora operativo un impianto da 20 barili e la taproom. Chris Baker riveste oggi il ruolo di head brewer. A ottobre del 2014 Mother Earth ha lanciato sul mercato le prime lattine, partendo con la propria “flagship beer” ovvero la Cali Creamin '- Vanilla Cream Ale. Entro la fine del 2016 dovrebbe poi essere inaugurato anche il nuovo stabilimento di Boise (Idaho), a 1500 chilometri di distanza da Vista: 3760 metri quadri per un potenziale annuo di oltre 100.000 ettolitri a soddisfare i piani di espansione di Mother Earth. Lo stato dell’Idaho offre una maggior disponibilità di risorse idriche ed un costo più basso delle proprietà immobiliari rispetto alla “costosa” California.
La birra.
Boo Koo, slang americano che consiste in una "storpiatura" del francese "beaucoup": significa "tanto", "in grande quantità". Aggettivo ovviamente in questo caso riferito all'abbondante luppolatura di questa West Coast IPA: Mosaic e Simcoe, supportati da un semplice parterre di malti che annovera Pilsner, Carapils e frumento in fiocchi.
Si presenta perfettamente dorata e leggermente velata con una bianchissima testa di schiuma compatta e cremosa, dalla buona persistenza. La messa in lattina risale allo scorso marzo, con i quattro mesi di vita che iniziano a farsi sentire: l'aroma non brilla di fresco ma si difende con dignità, regalando un bouquet di agrumi (cedro e pompelmo), ananas, miele e qualche profumo che oscilla tra gli aghi di pino e quell'intraducibile "dank". L'intensità è discreta, la pulizia c'è ma l'aroma è ovviamente soltanto un "quel che resta di" quello che c'era in California. Le cose non migliorano purtroppo al palato, privo di quella parte "succosa" e fruttata che costituisce la spina dorsale delle West Coast IPA. Rimane solo una delicata presenza di agrumi (pompelmo, arancia) ed un velo di tropicale ad accompagnare la snella base maltata (pane e miele); la secchezza è quella giusta, mentre l'amaro finale non incide più di tanto, con le note resinose e vegetali che hanno perso parecchio smalto e non pungolano il palato più di tanto.
Risulta sempre difficile descrivere una birra che ha perduto buona parte del suo elemento principale, la freschezza/fragaranza: i tre-quattro mesi di età anagrafica sarebbero un limite massimo ancora accettabile, questa Boo Koo in effetti si beve con discreta soddisfazione ma è solo una magra consolazione. La stagione estiva ed il caldo non sono sicuramente il miglior amico per le trasferte intercontinentali, con il rischio "colpo di calore" sempre dietro l'angolo: se proprio si vuole tentare la sorte con le IPA che arrivano dagli Stati Uniti, meglio attendere le importazioni dei mesi invernali.
Ogni tanto faccio finta di dimenticarmelo e sfido la sorte, ricevendo puntualmente la più o meno severa ma giusta punizione.
Formato 35.5 cl., alc. 6.5%, IBU 52.3, imbott. 15/03/2016, 4.50 Euro (beershop, Italia)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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