Con questa India Pale Ale della Nøgne Ø terminiamo, almeno per un po', la serie delle bevute norvegesi; un finale con il botto, per una IPA con un mese e mezzo "di vita" (l'abbiamo bevuta ad inizio settembre) che si è rivelata in tutta la sua freschezza. Non è certo un segreto l'amore che il birraio Kjetil Jikiun nutre per le birre americane; il precedente lavoro come pilota d'aereo di linea lo portava spesso negli Stati Uniti ed è proprio là che ha vissuto in prima persona la nascita della Craft Beer Revolution americana ed ha deciso di aprire un birrificio. E questa IPA è dichiaratamente un tributo alle IPA della West Coast, anche se la ricetta prevede l'utilizzo di lievito English Ale; i luppoli sono Chinook e Cascade, i malti Maris Otter, Munich, Caramel e frumento. Colore un po' più scuro delle IPA West Coast, tendente al ramato, e bella testa di schiuma compatta e cremosa, molto persistente. Freschissimo ed elegante l'aroma: pochi elementi, molto ben bilanciati tra loro. Pompelmo, aghi di pino ed un tocco di frutta tropicale (mango, ananas) che emerge man mano che la birra si scalda. Rigorosa e raffinata anche in bocca, con pochi elementi ma al posto giusto: imbocco di biscotto, caramello appena avvertibile, e poi una bella alternanza di pompelmo e tropicale. L'amaro non si fa attendere: è intenso e pulito, mai raschiante, con resina e pompelmo. Quest'ultimo tende a defilarsi nel finale, lasciando il posto ad un retrogusto resinoso, lungo, intenso, molto amaro. E' una IPA asciutta, con l'alcool che si percepisce ma non disturba mai la bevuta. Bottiglia freschissima, grande pulizia, birra che si fa notare non tanto per l'esuberanza ma per il rigore della pulizia e dell'equilibrio. Molto facile da bere e da apprezzare, bevuta che ci lascia assolutamente soddisfatti. Formato: 50 cl., alc. 7,5%, lotto 998-C, imbott. 17/07/2013, scad. 17/07/2015, pagata 5,76 Euro (aeroporto Oslo).
lunedì 30 settembre 2013
domenica 29 settembre 2013
Bruton Bianca
L’estate ed il caldo sembrano essere ormai un lontano ricordo ma non è solamente con il caldo che si può presentare l’occasione giusta per stappare una leggera biere blanche: un aperitivo, o piatti di pesce non troppo elaborati (una grigliata o un insalata di mare, piuttosto che una sostanziosa zuppa). Non ci era mai capitata tra le mani, l’interpretazione (di matrice belga) di una biere blanche/witbier del Birrificio Brùton. E’ la penultima birra nata (l’ultima è la pils Eva), chiamata semplicemente Bianca e prodotta tra l’altro con farro IGP della Garfagnana e buccia d‘arancia. All’aspetto è di colore giallo pallido, opalescente, con una bella testa di schiuma bianca, fine e cremosa ma poco persistente. L’aroma è fresco e pulito, con sentori di banana, scorza d’arancio, pepe e cereali. Freschezza e leggerezza ritornano anche in bocca, in una birra gradevole al palato che (almeno in questa bottiglia) sacrifica un po’ la vitalità delle bollicine per privilegiare la morbidezza. Al gusto c’è una corrispondenza quasi perfetta con l’aroma: prima cereali, banana e polpa dolce d’arancio, una leggera nota acidula rinfrescante, ed un finale amaricante (Northern Brewer) leggermente erbaceo con netta presenza di la scorza d’arancia (o Curaçao).
Secca ma non troppo (il palato rimane leggermente appiccicoso) è una birra che si beve davvero molto facilmente senza dover per forza penalizzare l’intensità del gusto, come abbiamo purtroppo spesso riscontrato in altre rappresentanti dello stile di riferimento. Bottiglia serigrafata e curiosa dicitura "italian flavoured beer" nel retroetichetta. Formato: 75 cl, alc. 4,5%, lotto 130514BI, scad 14/05/2015, pagata 13,00 Euro (ristorante, Italia).
sabato 28 settembre 2013
Redchurch Hackney Gold
Ritorniamo dopo un po' di tempo a Londra, a ritrovare la Redchurch Brewery che vi abbiamo presentato in questa occasione. Dopo una IPA ed una APA, è il momento di uno stile più tradizionalmente inglese, quello delle Bitter/Golden Ales, in un'interpretazione tuttavia molto poco tradizionale. Il nome non deve trarre in inganno, e questa volta la foto è abbastanza fedele alla realtà; si tratta di una Golden Ale/Bitter che poco ha di dorato. L’aspetto è piuttosto ambrato (carico) e leggermente velato; la schiuma è molto persistente, beige, fine e cremosa. “Generosa luppolatura di Cascade e Nelson Sauvin”, secondo le informazioni del birrificio, ed un naso molto fruttato che apre con mandarino, aghi di pino, kiwi ed in secondo piano sentori di biscotto e terrosi. L’aroma è molto pulito e forte. Netta la virata al palato, dove scompare completamente la componente fruttata per lasciare il posto ad un ingresso maltato di biscotto, leggermente tostato, subito sopraffatto da un amaro molto deciso e ruvido, vegetale, resinoso e terroso. Questa Hackney Gold non è esattamente un esempio di scorrevolezza: il corpo è medio, la consistenza è oleosa ma è soprattutto l’amaro intenso e poco bilanciato a saturare presto il palato. E’ una birra intensa, che ammalia con un’interessante aroma fresco e fruttato ma che poi picchia duro in bocca. Chiude molto secca, con un finale amaro lunghissimo che batte sempre sugli stessi tasti (vegetale/resinoso/terroso). Da bere in piccole dosi, e non può certo considerarsi un complimento per lo stile di riferimento. Formato: 33 cl., alc. 5,5%, IBU 40, lotto 68, scad. 03/01/2014, pagata 3,48 Euro (beershop, Inghilterra).
venerdì 27 settembre 2013
Røros Hovistuten
Presentiamo oggi un altro risultato del beer hunting norvegese; si tratta della Røros Bryggeri, situata nella omonima cittadina situata non lontano dal confine con la Svezia, nella Norvegia centrale. L'attività viene fondata da Oliver Langen nel 1900 con il nome di Røros Mineralvannfabrikk, ovvero un produttore di soda, bevande analcoliche ed acqua minerale. Nel 1937 la distribuzione si allarga anche alle birre "leggere"; nel 1963 cessa la produzione di bevande la Røros opera unicamente come distributore sino alla chiusura avvenuta nel 1981. La società viene rilevata prima dalla E.C. Dahls Bryggeri che a sua volta venne acquistata, sempre negli anni '80, dalla Ringnes (il maggior produttore industriale di birra norvegese) che dal 1990 è controllato dalla Carlsberg. Come spesso accade, le strategie commerciali delle grandi multinazionali prevedono il mantenimento dei marchi acquisiti ma non degli impianti produttivi. Ecco quindi che la Røros viene dismessa ed acquistata da Jørn Ketil e dal fratello Dag Aadne, entrambi azionisti della vecchia Røros. Oggi Røros è finalmente anche un produttore di birra, con gli impianti che sono stati installati nel seminterrato dell'hotel, ristorante e brewpub Vertshuset. Gli impianti riforniscono di birra solamente il locale sovrastante; le bottiglie distribuite nei supermercati vengono invece prodotte dal birrificio Atna Øl, 130 chilometri più a sud. Solamente tre le tipologie in bottiglia, secondo Ratebeer: una lager, una koelsch e questa Hovistuten che Ratebeer classifica come Amber Ale. Facciamo un tentativo di decifrare l'etichetta, tutta in norvegese, che recita "ispirata alle India Pale Ale ed alle Münchener"; tra gli ingredienti elencati, 2/3 di malto Pale, 1/3 di Münchener, Caramünich, frumento, luppoli Northern Brewer, Magnum ed Amarillo. Si presenta di colore ramato, opaco; la schiuma è invece biancastra, molto compatta e persistente. Poco pulito il naso: si scorgono sentori di miele, biscotto e cereali, qualche nota terrosa, ma c'è soprattutto un lievito invadente a sporcare la percezione dei profumi. Non è che le cose migliorino al palato: il corpo è leggero, la carbonazione media. Quello che manca è intensità e pulizia, con una presenza di nuovo invadente di lievito. C'è qualche nota di biscotto, una leggera astringenza ed un finale amaro erbaceo con qualche nota di mandorla amara. La scarsa intensità del gusto viaggia a braccetto con una marcata acquosità disegnando uno scenario abbastanza debole e scarso. Non sapevamo cosa aspettarci da un incrocio tra una IPA ed una sorta di Dunkel, ed in effetti questa birra rispecchia perfettamente la nostra assenza di aspettative: non si capisce cosa sia, ed anche quel "non essere" è comunque alquanto mediocre. Formato: 33 cl., alc. 4,7%, lotto R3-04-01, scad. 17/06/2014, pagata 3,70 Euro (supermercato, Norvegia).
mercoledì 25 settembre 2013
Endorama Milkyman
Concludiamo il trittico di assaggi del birrificio bergamasco Endorama con la loro milk stout chiamata Milkyman. Medaglia anche per lei, come per le birre precedenti, al concorso Birra dell'Anno 2011: terzo posto nella categoria 7, birre scure, basso grado alcolico d'ispirazione anglosassone. Ancora di meglio ha fatto quest'anno, ottenendo sempre a Birra dell'Anno l'oro nella categoria 11 (Scure, altafermentazione, basso grado alcolico, d’ispirazione angloamericana). Nonostante la gradazione alcolica da session beer (4,2%), questa Milkyman ha mostrato un'intensità davvero degna di nota. Impeccabile nell'aspetto, ebano scuro, con "un dito" di schiuma color nocciola, fine e cremosa. Intenso e pulito il naso, con profumi di orzo tostato, caffè, pane nero di segale ed in secondo piano leggeri sentori di cenere e di cioccolato al latte. Il meglio deve però ancora venire: ottima la sensazione palatale, una birra che riesce ad essere al tempo stesso leggera e scorrevole ma anche morbida e rotonda, con un'acquosità perfettamente sotto controllo e una carbonatazione molto contenuta. L'imbocco è di orzo tostato e caffè, seguito da una parte centrale più dolce (caffellatte) ed un ritorno di caffè amaro nel finale. Una bella acidità tiene sempre il palato ben pulito, preparandolo ad un retrogusto che ci ha ricordato un caffè macchiato, ma lievemente affumicato. Praticamente una birra quotidiana: semplice, gradazione alcolica contenuta, facilissima da bere, leggerissima ma intensa al tempo stesso, volendo ci potreste fare tranquillamente anche colazione. Formato: 33 cl., alc. 4,2%, IBU 22, lotto MK8, scad. 30/04/2014, pagata 3,50 Euro (beershop, Italia).
martedì 24 settembre 2013
Nøgne Ø Imperial Brown Ale
Nøgne Ø e Nørrebro (Danimarca) collaborano assieme alla ricetta e la commercializzano per la prima volta nella primavera del 2006; per un buon periodo viene prodotta sia dai norvegesi (Imperial Brown Ale) che dai danesi (con il nome di Double Knot Brown). Dismessa dalla Nørrebro, rimane oggi solo quella prodotta tutto l'anno dalla Nøgne: qualche cambiamento alla ricetta (ci sembra che le IBU dichiarate siano salite da 26 a 40) ed anche un "downsize" (la Brown Ale "regolare") per il commercio nei supermercati. Vince l'oro all'AIBA (Australian International Beer Awards) del 2011, con una ricetta che prevede malti Maris Otter, Munich, Brown, Amber e Caramel, frumento maltato, lievito English Ale e, tra i luppoli, Columbus, Chinook ed EK Goldings. Sontuosa all'aspetto, quasi di color tonaca di frate con intensi riflessi rubino; la schiuma è compatta, croccante, cremosa, molto persistente. Il naso è pulito ed elegante, pronunciato ed abbastanza complesso: ti dà il benvenuto con sentori di uvetta, prugne e frutti di bosco, mentre sotto sotto emergono quelli di caramello, cioccolato al latte e zucchero candito. Non è tuttavia un preambolo ad una birra sciropposa e stucchevole. Sontuoso anche l'ingresso in bocca, morbidissimo e vellutato: corpo medio-pieno e poche bollicine. Il gusto ha buona corrispondenza con l'aroma ed un grande equilibrio: il dolce del toffee e della frutta (di nuovo uvetta e prugne) è bilanciato da un leggero amaro di tostatura e note di frutta secca (nocciola?). L'intera bevuta è attraversata da un morbidissimo calore etilico che riscalda e conforta, appaga il bevitore, abbandonandolo ed finale leggermente tostato. Il birrificio la consiglia in abbinamento a (quasi) qualsiasi formaggio ed alla carne grigliata; è effettivamente una birra solidissima e molto ben fatta, estremamente pulita, che ben immaginiamo prestarsi in diversi abbinamenti gastronomici ma che ci siamo altrettanto goduti in solitudine in un tranquillo dopocena. Formato: 50 cl., alc. 7,5%, IBU 40, lotto 925-B, imbott. 18/02/2013, scad. 17/02/2017, pagata 9,15 Euro (Vinmonopolet, Norvegia).
lunedì 23 settembre 2013
Birrificio del Ducato Vieille Ville 2012
Debutta, se non erriamo, al Villaggio della Birra 2012 la prima (di nuovo, se non erriamo) saison "brettata" italiana : è la Vieille Ville del Birrificio del Ducato. Per i meno esperti, "brettata" significa che contiene lieviti selvaggi, brettanomiceti: è un po' una delle ultime mode tra i produttori di birra artigianale. Dopo il periodo delle India Pale Ale e delle birre ultraluppolate, ecco che pian piano tra il pubblico si sta diffondendo il morbo del brettanomiceto. Nessuna invenzione, sia chiaro (l'Orval viene prodotta così da sempre) ma piuttosto un ritorno alle origini, quando l'infezione dei lieviti selvaggi nelle birre era una cosa abbastanza comune e comunemente tollerata dai palati dei bevitori dell'era pre-refrigerazione artificiale. E' superfluo introdurre questa birra, anche perchè non potremmo fare meglio di quanto scrive il birraio Giovanni Campari sul sito Del Ducato: "Ricordo che fu una giornata molto intensa, calda e faticosa. Lavorammo duramente dalla mattina presto fino alla sera tardi per finire tutta la birra che c’era nel serbatoio, poiché era la prima volta che imbottigliavamo una birra rifermentata nello stabilimento di Fiorenzuola, dovevamo fare in fretta per non rischiare che gli zuccheri aggiunti alla birra innescassero la rifermentazione ancor prima dell’imbottigliamento. (...) lavorammo tutti di buona lena e senza pause nel caldo e nell’umidità di quella lunga giornata che ci fruttò 2400 bottiglie numerate da 75 cl. Questa birra era una scommessa, una scommessa forse un po’ azzardata. Fin dagli anni della prima adolescenza, quando passavo i pomeriggi con gli amici in birerria, una delle birre che mi segnò profondamente fu l’Orval. Una birra unica nel suo genere, che si distingue dalle altre trappiste per freschezza, rusticità e secchezza, ma soprattutto per quel carattere un po’ inafferrabile di complessi sentori di cuoio, cantina, pelle del salame, crosta di formaggio, ruggine; insomma una complessità notevole che si arricchisce man mano che la birra invecchia in bottiglia, trasformandola e rendendola sempre più interessante ed affascinante. Il segreto di questa meraviglia sta nel lavoro del Brettanomyces, un lievito selvaggio che viene aggiunto alla birra prima dell’imbottigliamento. Sapevo di questa pratica di Orval e volli cimentarmi in questa nuova seppur rischiosa sfida: decisi di brassare una saison base, con una ricetta molto semplice (malto pilsner, luppoli di Poperinge e lievito belga) e rifermentarla aggiungendo un singolo ceppo di Brettanomyces prima dell’imbottigliamento".
Bisognerebbe averne un cartone di Vieille Ville in cantina per aprire periodicamente a distanza di mesi una bottiglia e seguire l'evoluzione del gusto in base all'azione di questi lieviti selvaggi. Purtroppo la non facile reperibilità di questa birra ed il suo prezzo non favoriscono questa pratica; vi consigliamo piuttosto di mettere in cantina qualche bottiglia di più economica Orval se volete divertirvi e fare qualche degustazione verticale come questa. Delle 2400 bottiglie prodotte nel 2012 del primo lotto di Vieille Ville a noi è toccata la numero 1291. L'aspetto è di colore arancio pallido, opaco, mentre la schiuma è abbondante, biancastra, un po' grossolana e poco persistente. Molto interessante il naso, dove convivono alcuni dei sentori rustici tipici dei "bretta" (sudore, cuoio, acido lattico/yogurt) con note di cedro, mela verde, erbacee e - più leggere - di legno bagnato. Molto scorrevole e fresca in bocca, leggera, non molto carbonata, con il giusto livello di acquosità. Regna un equilibrio quasi miracoloso tra note di crosta di pane, frutta dolce (albicocca, arancia) ed una spiccata acidità lattica. Se a temperatura bassa si rivela essere una birra molto dissetante e rinfrescante, all'innalzarsi del termometro emerge quasi un carattere vinoso. Chiude ben asciutta, con un finale amaro tra note erbacee, scorza di agrumi ed una leggera nota vinosa. Sorprendente birra, davvero ben fatta e molto versatile, si presta sia a dissetanti e spensierate bevute estive che a una piacevole contemplazione della complessità che si cela dietro la piacevolezza rustica dei primi sorsi. Costasse come una Orval, sarebbe una birra da avere perennemente in cantina o in frigorifero. Un altro grande prodotto da uno dei migliori birrifici italiani. Formato: 75 cl., alc. 6%, lotto 152 11, scad. 12/2018, pagata 11.10 Euro (beershop, Italia).
domenica 22 settembre 2013
Lervig Brewers Reserve Rye IPA
Tutto quello che potevamo dire sulla Lervig Aktiebryggeri lo abbiamo già scritto qui; non rimane quindi che andare dritti al sodo, questa Rye IPA. Fa parte della linea chiamata "Brewers Reserve", ovvero le creazioni più "estreme" del birraio Mike Murphy che affianca la linea classica della Lervig (pils e lager) e quella "Brand" di birre ad alta fermentazione d'ispirazione americana con gradazione alcolica inferiore al 4.7% e distribuite nei supermercati. Le birre della Brewers Reserve nascono su un piccolo impianto pilota utilizzato dal birraio Mike . Nel caso specifico, questa Rye IPA nacque come birra one shot prodotta per il pub Cardinal di Stavanger. Il grande successo riscosso ha però convinto il birrificio a produrla tutto l'anno. La ricetta, oltre a segale, avena e malto, prevede i luppoli Chinook, Centennial a Citra. Ricordiamo un'altra IPA alla segale, la Ryeccomi, che Mike Murphy ha brassato in Italia assieme al Birrificio Amiata. Gradazione alcolica importante (8,5%), e colore arancio opaco; schiuma bianca, abbondante, cremosa, con buona persistenza. Al naso nessuna esplosione di profumi, ma comunque un bel bouquet pulito ed elegante: aghi di pino, pompelmo, sentori floreali ed in secondo piano una leggera nota rustica di cereali; man mano che la birra si scalda emergono anche sentori dolci di frutta tropicale (ananas, mango). Ottima la morbidezza dell'imbocco, quasi sorprendente, nonostante l'uso della segale: corpo medio, poche bollicine, consistenza oleosa. L'attacco è di cereali, seguito da note dolci di frutta tropicale ed amare di pompelmo; per vedere emergere il carattere un po' ruvido e rustico di una birra alla segale bisogna attendere quasi verso la fine della bevuta, con un'accelerata amara, resinosa ed un po' pepata, ed un bel taglio finale ben secco. L'alcool è molto ben nascosto; non è senz'altro una birra da trangugiare, ma si beve facilmente con un po' di tepore etilico che riscalda solamente il retrogusto. Birra ben fatta, non molto profumata ma molto pulita e gustosa. Formato: 33 cl., alc. 8,5%, IBU +100, scad. 17/06/2015, pagata 6,30 Euro (Vinmonopolet, Norvegia).
sabato 21 settembre 2013
Mikkeller Tiger Baby - Open Windows Open Hills
Il nome di questa birra (Tiger Baby - Open Windows Open Hills) sembra abbastanza strano, ma il mistero è presto svelato. Tiger Baby è infatti un gruppo danese di synthpop/elettropop che ad Agosto 2011 fa uscire il suo terzo album intitolato appunto Open Windows Open Hills. Preceduto in primavera dal singolo Crystal Ball. Il disco viene ufficialmente presentato al pubblico con un party che si tiene il 25 Agosto del 2011 proprio presso il Mikkeller bar di Copenhagen. Formatesi nel 2009, il gruppo danese ha avuto grosso successo in Indonesia (!) dove un paio di loro canzoni hanno spopolato fra i teenager locali. Difficile dire se l’intento di Mikkeller (fare una birra che ben s’abbinasse alle malinconiche atmosfere del disco) sia andato a buon fine; la produzione è affidata al solito belga De Proef, e nella lista degli ingredienti figurano anche il mango ed il frutto della passione. Ancora più pensare ad una birra malinconica; dovessi proprio dire la mia, penserei senz’altro ad un meditativo Barley Wine o ad un altrettanto impegnativa Russian Imperial Stout. Ci troviamo invece davanti ad un’american pale ale dall’alcool moderato (5%) che mi sembra soprattutto adatta alla bevuta spensierata e (quasi) seriale proprio durante il party di presentazione del disco. Siamo insomma lontani da una qualsiasi evocazione di Spleen o di Sehnsucht. Ad ogni modo, quella che sembrava essere una birra celebrativa “one shot” è ancora in produzione, il che significa che ha evidentemente incontrato il favore del pubblico. Divagazioni a parte, la birra nel bicchiere è di color arancio opaco, qualche sfumatura ramata, schiuma biancastra abbastanza fine, discreta persistenza. Il naso è inizialmente un po’ sporcato da qualche off-flavor dei lieviti, ma il problema svanisce abbastanza rapidamente lasciando il posto ad un’alternanza agrumata di arancio (dolce), pompelmo e lime (aspro), con qualche sentore più in secondo piano di frutta tropicale (mango e passion fruit, appunto). L’aroma è comunque ottimo, la sensazione è proprio quella di annusare un succo appena spremuto. In bocca manca quasi completamente di corpo (s’avverte qualche remotissimo cereale), e vira subito decisa vero l’agrumato, con ampia profusione di zest (scorza di agrumi). Lime, pompelmo e limone caratterizzano una bevuta molto secca e molto dissetante, poco bilanciata, che prosciuga il palato per poi riassetarlo. Sicuramente conviene lasciarla riscaldare un po’ più del dovuto, per permettere alla componente dolce tropicale di uscire allo scoperto e di bilanciare un po’ l’asprezza degli agrumi. Chiude inevitabilmente amara e straripante di scorza di lime/pompelmo/limone e chi più ne ha più ne metta. Ne viene fuori una birra molto ruffiana e modaiola, di quelle che istintivamente in una torrida giornata estiva vorresti bere direttamente dal fusto e non dal bicchiere (cfr. la Nøgne Ø GPA della quale abbiamo parlato qualche giorno fa). La presenza così sfacciata di frutta e la quasi totale assenza di corpo tende però a saturare il palato, e terminato l’effetto del fuoco artificiale del primo bicchiere (cocktail di frutta), la sua piacevolezza ci sembra dipendere molto dal contesto in cui la si beve. Il suo habitat ideale è probabilmente una serata spensierata, una bevuta distratta assieme agli amici o nel corso di un affollato evento estivo, dove l’attenzione verso quello che si ha nel bicchiere è inversamente proporzionale a quello che vi circonda. La bottiglia da trentatré ce la siamo comunque goduta. Formato: 33 cl., alc. 5%, scad. 20/02/2015, pagata 4,00 Euro (beershop, Italia)
venerdì 20 settembre 2013
Trollbryggeriet Slogen Pale Ale
Il bello del beer hunting è anche quello di rischiare, di afferrare una bottiglia sconosciuta di un birrificio sconosciuto e portarla a casa, senza nessuna aspettative e - in assenza di roaming - senza il supporto immediato che siti come Ratebeer o applicazioni come Untappd possono darvi. Ecco come siamo arrivati alla Trollbryggeriet, ovvero il Birrificio Troll, che ovviamente per un italiano appassionato di birra richiama subito alla mente l'omonimo birrificio di Vernante. Qui siamo invece in Norvegia, sulla sponda del fiordo di Gerainger, uno dei più bei fiordi norvegesi nonché patrimonio dell'Unesco. La produzione di birra inizia nel 2009, grazie ad un impianto dismesso dalla Haandbryggeriet; i proprietari sono Kjartan Lied e Jørund Ringset, con una gamma di cinque birre più una natalizia. Il nome del birrificio è presto spiegato: si trova non distante dalla Strada dei Troll, una scenografica salita che con 11 curve a gomito ed una pendenza dell'11% vi porterà sulle montagne circostanti il fiordo per permettervi di ammirarlo dall'alto.
Purtroppo la bellezza dell'ambiente che ci circonda il birrificio non si è riversata nelle birre prodotte. Questa Slogen Pale Ale, di colore ambrato con riflessi rame (la foto è un po' troppo scura) ha una generosa testa di schiuma ocra, cremosa a molto persistente. Senza sussulti l'aroma: discretamente pulito ma poco intenso, offre sentori floreali, di miele d'arancio e, più in sottofondo, di pesca. La scarsa intensità olfattiva si ripresenta anche al palato: s'inizia con qualche lieve nota di biscotto e poi la stessa frutta (arancio e pesca) che avevamo trovato nell'aroma. Il corpo leggero e la bassa carbonazione non aiutano certo una birra non eccelsa ma comunque bevibile. Drastico peggioramente nel finale, con la birra che sparisce quasi completamente: chiusura astringente, cartone bagnato, tanta acqua ed un remotissimo accenno di amaro. Per questa volta il beer hunting alla cieca non ha portato molta fortuna.
Formato: 50 cl., alc. 4,7%, lotto 169, imbott. 28/05/2013, scad. 28/05/2014, pagata 5,88 Euro (supermercato, Norvegia).
giovedì 19 settembre 2013
To Øl Snowball Saison
To Øl, birrificio zingaro danese, ve lo abbiamo già presentato in questa occasione. Passiamo quindi senza indugi a stappare questa Snowball Saison che Tobias Emil Jensen e Tore Gynth, allievi di Mikkeller al liceo ed anche nell'ambito del "gipsy brewing", hanno realizzato in Belgio presso gli impianti del solito De Proef. Snowball, ovvero palla di neve, non ha nessun significato nascosto: si tratta infatti di una saison invernale, che i To Øl propongono come alternativa alle solite dolci birre natalizie. Etichetta assolutamente in danese (alla faccia delle leggi italiane), nessun aiuto da parte dell'importatore o del rivenditore; ricorriamo al sito internet per decifrare la lista degli ingredienti: oltre ad acqua, malto e lievito, ci sono fiocchi d'avena, zucchero candito, luppoli Simoce, Amarillo, Tettnanger ed Hallertauer; viene poi rifermentata in bottiglia con l'aggiunta di brettanomiceti, seguendo quella che sta un po' diventando l'ultima moda. E' di colore arancio scuro, leggermente velato, e forma un generoso cappello di schiuma, bianca, cremosa, dalla buona persistenza. Aroma ruffiano e piacione, figlio di un generoso dry-hopping, con un bel mix di agrumi (pompelmo) e tropicale (mango, ananas); in secondo piano una lieve speziatura (pepe) ed una timida nota rustica (o "funky") per dirla all'anglosassone. Man mano che la birra si scalda, funzionale quindi alla sua fruizione in inverno, emerge una calda nota etilica. Ottima in bocca, molto morbida e gradevole, con un corpo medio, una discreta carbonazione ed una consistenza abbastanza snella che la fa scendere rapidamente. Di "bretta", per dire la verità, davvero nessuna traccia: è piuttosto una saison molto fruttata, più piaciona che rustica, che ti accoglie con una base di biscotto sulla quale emergono delle succose note di pompelmo e di tropicale, per continuare il percorso annunciato dall'aroma. Per trovare un po' di "rusticità" bisogna attendere sino alla fine, quando arriva l'amaro, un bel mix di note erbacee, vegetali e terrose. L'alcool è ben nascosto mettendo la testa fuori dal guscio solamente nel retrogusto, riscaldandolo con un po' di tepore. Birra molto fruttata e maliziosa, che conquista e si beve facilmente, ma che delude chi si aspettava una vera "farmhouse ale". Bottiglia nemmeno troppo giovane (la scadenza 2014 ci fa pensare ad almeno già un anno o due di vita) che ancora non ha cambiato i freschi denti da latte con quelli più "sporchi" dei brettanomiceti. Comunque, rimane una bella bevuta. Formato: 75 cl., alc. 8%, scad. 08/2014, pagata 11,00 Euro (beershop, Italia).
mercoledì 18 settembre 2013
Nøgne Ø GPA - Global Pale Ale
La legislatura norvegese vieta di vendere nei supermercati qualsiasi bevanda con gradazione alcolica superiore 4.7%, ma questo non è certamente un ostacolo per produrre buone birre con aroma e gusto dall'intensità elevata. A dimostrare questo, se fosse necessario, ecco la GPA (Global Pale Ale) delle Nøgne Ø.Il primo lotto arriva nei supermercati norvegesi a Maggio di quest’anno; Maris Otter, Munich e Caramalt sono i malti utilizzati, lievito English Ale, mentre pare che sia stata l’indecisione sui luppoli da utilizzare a far nascere questa Pale Ale “Globale”. Ben 13 quelli utilizzati, ecco il perchè del nome "Global", provenienti da Inghilterra, Slovenia, Nuova Zelanda, Repubblica Ceca, Stati Uniti, Germania ed Australia: Chinook, Aurora, Cascade, Citra, Simcoe, Moteueka, WP, Saaz, Pacific Gem, EK Golding, Stella, Nelson Sauvin, Mandarin. Al di là dell'operazione di marketing sul numero dei luppoli usati, che può volere dire tutto e nulla, si tratta di una session beer da 4.5 % ABV che, tocca dirlo, vorremmo sempre trovare sullo scaffale di qualsiasi supermercato, ma anche altrove! Nel bicchiere è di colore oro con sfumature arancio, opaco, e forma una compatta "testa" di schiuma biancastra, fine e cremosa, molto persistente. Quattro mesi "di vita" alle spalle, difficile staccare il naso dal bicchiere: raffinati e pulitissimi profumi di mandarino e pompelmo, un tocco floreale, un po' di tropicale e qualche sentori di pino. Detta così sembra quasi come ci fosse qualcuno a dispensare aromi a destra ed a manca, ma il "naso" di questa birra è davvero invitante e ruffiano al punto giusto, con una bella alternanza dei diversi elementi. Non che sia da meno il gusto, anzi. Gradazione alcolica contenuta, birra molto leggera, con una carbonazione medio-alta e un alto coefficiente di scorrevolezza: pochissimo malto (pane) per passare subito a quel profilo gustativo molto alla moda che oggi troviamo in diverse birre che stanno spopolando. Ed è difficile non essere vittima: grande secchezza, abbondanza di agrumi (soprattutto pompelmo e lime) con un lieve tocco tropicale che mitiga l'amaro "zesty" e rende la bevuta molto "piaciona", richiamando quasi in toto l'aroma. Il finale è quello atteso: amaro, mediamente intenso, non troppo lungo, con abbondanza di lime e pompelmo. Ben fatta e ruffiana quanto basta, questa Global Pale Ale è una splendida session beer da bere ad oltranza; pulitissima e profumata, la mettiamo senza indugio tra le migliori Nøgne bevute ed anche nella nostra Top 10 delle birre estive per eccellenza. E' un po' sprecata per il clima norvegese: se a venti gradi una pinta può essere soddisfacente, i trenta(cinque) gradi delle estati italiane ne richiederebbero molta, molta di più. Formato: 50 cl., alc. 4,5%, IBU 40, lotto 955, imbott. 18.04.2013, scad. 18.04.2014, pagata 6,13 Euro (supermercato, Norvegia).
martedì 17 settembre 2013
Laboratorio Piccolo Birrificio Cogs Coffee Porter
Terminiamo la nostra piccola scorta delle nuove produzioni del Laboratorio Piccolo Birrificio con la più "alcolica" delle tre provate: si tratta della Cogs Coffee Porter, che prevede l'utilizzo di caffè di varietà arabica che viene "aggiunto in maturazione dopo un processo di estrazione a freddo". Completano la ricetta frumento, zucchero di canna, spezie, ed i luppoli Chinook e Willamette. "Cogs", ovvero le due grosse ruote dentate che compaiono in etichetta, ma anche, in lingua inglese, un acronimo che sta per "Cost of Good Sold", ovvero il costo del venduto in Economia.
L'aspetto è davvero molto bello: ebano scurissimo, quasi nero e schiuma nocciola molto fine e cremosa, dalla lunga persistenza. Nessuna sorpresa al naso: caffè (liquido) in grande evidenza, poi sentori di torrefatto, mirtillo, ed in secondo piano di cenere. Buono il livello d'intensità e di pulizia. In bocca ci sorprende positivamente per l'ottimo mouthfeel: è una (robust) porter dal corpo medio-pieno, molto morbida, quasi vellutata, carbonazione bassa. L'alcool (8.2%) è presente durante tutta la bevuta, senza però renderla particolarmente impegnativa: si dividono la scena note di frutta sotto spirito, tostature è caffè, che scivola un po' in secondo piano rispetto all'aroma. Appropriata anche la leggera acidità finale, con un retrogusto amaro di caffè e di torrefatto, di nuovo rafforzato da un morbido calore etilico. Abbastanza pulita (ma si può migliorare) sia al naso che in bocca, raggiunge sicuramente il proprio culmine nel momento dell'ingresso in bocca. Come detto, birra davvero morbida e vellutata, che è un piacere far "girare" nel palato prima di deglutire ed essere piacevolmente riscaldati dall'alcool. Formato: 33 cl., alc. 8,2%, IBU 74.5, scad. 01/02/2014.
lunedì 16 settembre 2013
Kinn Vestkyst
Apre le porte nel 2009 nella città più occidentale della Norvegia, Florø, la Kinn Bryggeri; guidata dal birraio Espen Lothe, in pochi anni di vita ha già ottenuto importanti riconoscimenti nella madre patria, visto che per quanto ne sappiamo le loro birre non sono ancora state esportate. La Norwegian Beer Friends Association nel 2012 elesse la Kinn come il secondo miglior birrificio nazionale. Il problema di soddisfare tutta la domanda ha già reso necessario, ad inizio anno, un primo trasloco in locali più capienti nel sobborgo di Botnastranda. Di fronte ai locali del vecchio birrificio c'è anche un piccolo spaccio dove potete bere ed acquistare le birre che hanno una gradazione alcolica inferiore al 4,7%. Rispettoso delle leggi in vigore, il sito del birrificio non offre nessuna informazione sulle birre prodotte, a meno che non siate dei professionisti e disponiate della password per accedere alla sezione riservata; potete ugualmente dare un'occhiata a Ratebeer per farvi un'idea delle loro produzioni. Tutte molto belle le etichette, come quella di questa Vestkyst di cui vi parliamo oggi che presenta un cono di luppolo con turbante indiano; ovviamente Vestkyst sta per West Coast e, ovviamente, si tratta di una India Pale Ale di colore arancio, con riflessi ramati, velato. Molto compatta la schiuma, quasi pannosa, biancastra e molto persistente. Ci accoglie con un bel naso pulito e fruttato: pompelmo, arancia, melone retato, ananas, con qualche sentore di aghi di pino. Di bene in meglio al palato: molto morbida e rotonda, davvero molto gradevole, ha corpo medio e carbonatazione bassa. Il gusto è molto bilanciato tra la dolcezza dei malti (biscotto), leggere note di frutta tropicale, pompelmo ed il finale amaro resinoso. Chiude secca e pulita, con un retrogusto amaro (pompelmo e resina) movimentato da un lieve tepore etilico. In poche parole: IPA pulita, abbastanza profumata e ben fatta, morbidissima al palato, bevuta davvero con grande soddisfazione. Non ci risulta essere ancora mai arrivata in Italia, ma se la trovate da qualche parte in giro per il mondo, provatela.
Formato: 75 cl., alc. 7%, pagata 12,79 Euro (Vinmonopolet, Norvegia)
domenica 15 settembre 2013
Endorama Malombra
Avevamo iniziato la stagione estiva con Endorama e la Vermillon ed ora, in chiusura della stagione, stappiamo una bottiglia della saison Malombra. Il nome immaginiamo si ispiri all’omonimo romanzo di Antonio Fogazzaro scritto nel 1881; la birra si ispira invece alle Saison belghe, con la licenza della luppolatura esotica (Giappone) del Sorachi Ace. Nell'annus mirabilis del birrificio (quello delle tre medaglie al concorso Birra dell'Anno 2011), la Malombra ottiene il bronzo nella categoria 11 (birre chiare, basso grado alcolico, ispirazione belga) dietro alla Bianca di Bruton ed alla Panada di Troll.
Colore arancio pallido nel bicchiere, schiuma molto generosa, compatta e cremosa, molto persistente. Il naso è uno splendido biglietto da visita: forte e pulito, abbina sentori floreali a quelli di pera, banana acerba, uva; più in sottofondo la speziatura “pizzichina” del lievito, scorza d’arancia, qualche leggero sentore di coriandolo. Bottiglia molto, forse troppo carbonata in bocca, ha corpo leggero ed un gusto livello di acquosità per renderla vivace, scorrevole e di facile bevuta. Le bollicine in eccesso pregiudicano un po' la percezione del gusto, che apre con malto (cereali e biscotto) ed agrumi, una dolcezza stemperata da una leggere nota acidula rinfrescante e da un bella chiusura secca ed amaricante caratterizzata da note erbacee, vegetali e di scorza di pompelmo. Il lievito le dona una diffusa speziatura, quasi pepata, che le bollicine enfatizzano mettendo però (molto) in secondo piano quel carattere rustico che in una saison vorremmo sempre trovare. Birra profumatissima, più pulita al naso che in bocca, dissetante e rinfrescante, una bella compagna d'estate. Formato: 33 cl., alc. 6.5%, IBU 34, lotto M 11, scad. 30/04/2014, pagata 3.00 Euro
sabato 14 settembre 2013
Aass Bock
Fondata nel 1834 a Drammen, la Aass Bryggeri è il birrificio più antico di tutta la Norvegia ancora in attività; inizialmente era una società che si occupava di commercio e, tra la varie cose, produceva anche birra che i cittadini acquistavano direttamente alla mescita arrivando con i propri recipienti, in quanto il birrificio non imbottigliava. Il grande incendio che nel 1866 sconvolse Drammen coinvolse anche la società Aass, la cui sede fu ridotta ad un cumulo di macerie. L'allora proprietario, il figlio del fondatore, Poul Lauritz Aass, si rimboccò le maniche e ricostruì in dodici mesi lil birrificio; Lauritz, di umili origini contadine, diventa un personaggio importante di Drammen. Due volte sindaco, fonda la Brewery Association (1901) e molti altri birrifici assieme ad altri soci. Alla sua morte, avvenuta nel 1904, la proprietà del birrificio viene equamente divisa tra i suoi nove figli che ancora, alla quarta generazione di discendenti, ne detengono la proprietà. Oltre alle birre, la Aass produce una popolare linea di bibite chiamata "Solo" ed opera come distributore/grossista di bevande, birra, vino e liquori. Ovviamente un birrificio con questo nome (Aass) non poteva non destare attenzione nel mondo anglosassone. Benché in norvegese "aa" si pronunci all'incirca come una "o" chiusa, il famoso show americano di David Letterman non si fece mancare di ironizzare sull'incredibile somiglianza con la parola inglese "ass" (culo). Il sito del la Aass non offre nessuna informazione sulle birre prodotte, vincolato dalla legge norvegese che lo vieta. Ricorriamo così a Ratebeer per scoprire che il birrificio produce sia basse che alte fermentazioni, che non sembrano però ottenere grande gradimento tra i raters. L'unica birra ad avere un punteggio "decente" (90/100) è questa Bock; non conoscendo assolutamente il birrificio ci siamo fidati di Ratebeer e siamo passati all'acquisto. Sontuoso l'aspetto, ambrato carico con riflessi rubino; la schiuma è beige, compatta, cremosa, molto persistente. Aroma molto pulito, si avvertono nitidi pane "nero" di segale (pumpernickel), caramello, cereali e qualche nota di frutta rossa (ciliegia?). Molto positivo anche l'ingresso in bocca: birra morbida e rotonda, dal corpo medio e poco carbonata. Gusto po' meno pulito del naso: al palato troviamo una buona corrispondenza con l'aroma e quindi pane di segale, caramello e ciliegia sciroppata. La dolcezza del gusto è stemperata da una buona secchezza e da una chiusura leggermente amaricante di mandorla. Lascia un retrogusto abboccato tiepidamente scaldato da una nota etilica e di prugna. Prodotto (semi)industriale ma di buona qualità, con una buona facilità di bevuta ed una discreta intensità, molto bilanciato e privo di difetti. Bevuta che ci lascia soddisfatti.
Formato: 33 cl., alc. 6,5%, lotto 13:42, scad. 17/02/2014, pagata 4,08 Euro (Vinmonopolet, Norvegia).
venerdì 13 settembre 2013
St. Bernardus Tripel
Può essere considerata la birra della "rinascita", questa Tripel della Sint Bernardus Brouwerij; commercializzata per la prima volta nel 1994, solamente due anni dopo la conclusione del contratto che affidava al birrificio la produzione di tutte le birre della vicina abbazia di St. Sixtus, ovvero le Westvleteren. La Tripel, uno stile che non rientrava tra quelli prodotti per St. Sixtus, arrivò a dimostrare che il birrificio St. Bernardus poteva reggersi con le proprie gambe, e produrre birre di grande qualità.
Non ci sono più tenta gradi fuori, ma non era neppure necessario attendere l’abbassamento delle temperature per veder evaporare la generosa bottiglia da 75 cl. di questa St. Bernardus Tripel. Di colore oro carico, velato, forma un cappello di schiuma bianca, fine e cremosa, dalla discreta persistenza. Naso non molto pronunciato ma con una bella pulizia che permette di coglierne tutte le sfaccettature: crosta di pane, banana, pera, frutta candita (pesca, cedro), qualche sentore floreale ed una bella speziatura del lievito, un po' di coriandolo ed una spiccata nota “pizzichina” che solletica le narici. Ottima la sensazione palatale: corpo medio, con un riuscitissimo equilibrio tra vivacità (bollicine) e morbidezza. Dolce in bocca di biscotto, pane e frutta sciroppata (pesca ed albicocca) ma ad equilibrare c’è un profilo abbastanza secco che non la rende mai stucchevole, ed un finale leggermente amaro erbaceo. Come preannunciato in apertura, l’alcool è assolutamente non pervenuto, ed è una birra che invita a bere ed a ribere con impressionante frequenza. Pulita, godibile e molto ben fatta, più complessa al naso che al palato, si trova anche in qualche supermercato ad un ottimo prezzo. Se l’avvistate, mettetela subito nel carrello. Per qualche ulteriore informazioni sul birrificio, vi rimandiamo invece a questo nostro post.
Formato 75 cl., alc. 8%, scad. 03/05/2015, pagata 5,90 Euro (supermercato, Italia).
Non ci sono più tenta gradi fuori, ma non era neppure necessario attendere l’abbassamento delle temperature per veder evaporare la generosa bottiglia da 75 cl. di questa St. Bernardus Tripel. Di colore oro carico, velato, forma un cappello di schiuma bianca, fine e cremosa, dalla discreta persistenza. Naso non molto pronunciato ma con una bella pulizia che permette di coglierne tutte le sfaccettature: crosta di pane, banana, pera, frutta candita (pesca, cedro), qualche sentore floreale ed una bella speziatura del lievito, un po' di coriandolo ed una spiccata nota “pizzichina” che solletica le narici. Ottima la sensazione palatale: corpo medio, con un riuscitissimo equilibrio tra vivacità (bollicine) e morbidezza. Dolce in bocca di biscotto, pane e frutta sciroppata (pesca ed albicocca) ma ad equilibrare c’è un profilo abbastanza secco che non la rende mai stucchevole, ed un finale leggermente amaro erbaceo. Come preannunciato in apertura, l’alcool è assolutamente non pervenuto, ed è una birra che invita a bere ed a ribere con impressionante frequenza. Pulita, godibile e molto ben fatta, più complessa al naso che al palato, si trova anche in qualche supermercato ad un ottimo prezzo. Se l’avvistate, mettetela subito nel carrello. Per qualche ulteriore informazioni sul birrificio, vi rimandiamo invece a questo nostro post.
giovedì 12 settembre 2013
Nøgne Ø Citrus Hystrix IPA
Citrus Hystrix e birra, primo (nostro) incontro che avviene con la Hopbloem di Extraomnes, con la combava che veniva elencata nella lista degli ingredienti. I norvegesi della Nøgne Ø dedicano addirittura una birra a questo agrume; la ricetta viene realizzata in collaborazione con il (famoso, dicono) cuoco (masterchef ?) norvegese Trond Moi, titolare del ristorante Bølgen & Moi, che ha succursali in diverse città della Norvegia. Lo scopo era quello di fare una birra versatile, che si potesse abbinare facilmente al menù del ristorante. Nella lista degli ingredienti in etichetta non figura il luppolo, ma immaginiamo che sia ovviamente presente; ci sono invece, oltre a malto, acqua e lievito, avena, segale, cabomba (in inglese Kaffir Lime) e succo di mandarino, in percentuali non dichiarate. Il risultato è una splendida etichetta dove il simbolo della Nøgne Ø è texturizzato dalla buccia del mandarino; una leggera variazione, molto azzeccata, alla consueta identità visiva molto sobria e minimalista del birrificio di Grimstad. Il colore è un po' una sorpresa: ambrato molto carico, quasi marrone, con una piccola schiuma beige. Molto più "rassicurante" l'aroma, molto fresco e pulito, pungente, ovviamente ricco di agrumi: lime, pompelmo, mandarino ma anche, in secondo piano, aghi di pino, pepe, un po' di caramello quando la birra si scalda. Il gusto rispecchia invece maggiormente il colore: la base maltata è molto solida (biscotto e caramello), con l'amaro che non si fa pregare due volte ed entra subito in campo in modo vigoroso. Non solo scorza di pompelmo, ma note resinose e terrose; il risultato è una birra marcatamente amara che tuttavia trova un buon contrappeso nei malti (caramello). Il corpo è medio, con una ottima sensazione palatale, morbida, quasi cremosa, grazie all'avena. Mediamente carbonata,una gradazione alcolica tutto sommato nemmeno particolarmente alta (7,5%) ma con un calore etilico ben presente e che scalda durante tutta la bevuta. Originale interpretazione di una India Pale Ale, pulita e ben fatta, che in fin dei conti risulta meno strana del previsto; non è comunque una birra "facile", amaro ed alcool la rendono molto robusta ed impegnativa. Da sorseggiare, giusto a pasto, piuttosto che da bere serialmente. Non esattamente una birra da tutto pasto, ma che necessita di piatti particolarmente saporiti che riescano a tenerle testa; ci è sembrata una birra da "fine portata", capace di spazzare via qualsiasi residuo di gusto e di preparare il palato nell'attesa della portata successiva. L'abbiamo pagata una cifra allucinante (159 corone ovvero 20 Euro) al ristorante; una botta di vita, una volta nella vita. Formato: 50 cl., alc. 7,5%, IBU 60, lotto 979, imbott. 05/06/2013, scad. 05/06/2015.
mercoledì 11 settembre 2013
Bürgerbräu Bamberg Weissbier
Facciamo un piccolo break dalle produzioni norvegesi per spostarci in Germania, precisamente a Bamberga; nessuna rauchbier però (lo stile che più ha reso celebra la piccola città tedesca) ma una Hefeweizen prodotta dalla Kaiserdom Privatbrauerei, che ha sede nel sobborgo di Gaustadt. E' il birrificio più grande di Bamberga, con produzione annua di circa 250.000 ettolitri, situato nei vecchi edifici della Burgerbrau, attivo dal 1718 ma completamente rinnovato e rinominato Kaiserdom nel 1986. Dal 1910 è di proprietà della famiglia Woerner. A memoria ricordiamo una discreta Alt-Bamberg Dunkel bevuta proprio a Bamberga qualche anno fa; questa Bamberg Weissbier è invece distribuita in alcuni supermercati italiani, e sebbene le Weizen siano uno stile che la bottiglia non tende particolarmente a valorizzare (provarne una alla spina, magari proprio in Germania, per credere), l'abbiamo messa nel carrello della spesa. Aspetto canonico, colore oro leggermente pallido, velato, e generosa testa di schiuma bianca, compatta, dalla buona persistenza. Aroma abbastanza scarso, banana, cereali, speziatura del lievito appena avvertibile; poca roba. Il panorama non migliora di molto in bocca; leggera ed acquosa, con una carbonazione bassa che uccide in partenza qualsiasi intenzione di riscatto. Scarsino anche il gusto, che si mantiene su binari dolci (banana matura e cereali) con un'acidità molto scarsa che non la rende neppure dissetante quanto potrebbe essere. Finisce scivolando ulteriormente nell'acquosità, lasciando il palato insoddisfatto e privo di qualsiasi retrogusto. Se non altro, costa poco. Formato: 50 cl., alc. 5%, lotto 1 4 16, scad. 09/2014, prezzo 0,79 Euro (supermercato, Italia)
martedì 10 settembre 2013
Nøgne Ø Bitter & Nøgne Ø Brown Ale
Due Nøgne “facili”, di quelle che in Norvegia potrete tranquillamente trovare nei supermercati, dove Nøgne ha una distribuzione molto buona, senza dover necessariamente cercare un punto vendita del monopolio di stato. Una "chiara" ed una "scura", partendo dalla Bitter (4,5%) prodotta con malti Maris Otter e Crystal, luppoli Centennial ed East Kent Golding, lievito English Ale. Nel bicchiere è di colore oro carico, con riflessi quasi ambrati; la schiuma è un po' grossolana, bianca ed è molto persistente. Il naso, pronunciato e molto pulito è inizialmente pepato, poi offre sentori di scorza d'arancio, pompelmo, qualche nota floreale e di cereali. La ricchezza della schiuma è ovvio preludio ad una carbonazione in bocca un po' troppo alta; è leggera, con una decisa componente watery che a tratte ne pregiudica un po' l'intensità. Malto (biscotto) appena percepibile, e gusto tutto giocato sulla componente "zesty", con scorza di lime e pompelmo indiscusse protagoniste. Bel taglio secco finale, ed un retrogusto leggermente amaro e zesty; pulita e molto beverina, lascia un po' l'amaro in bocca (se passate il gioco di parole) per un gusto che non sta al passo con l'intensità dell'aroma.
Chiudiamo la serata con la "scura", ovvero la Brown Ale, sorella minore della sontuosa Imperial Brown Ale della quale vi racconteremo tra qualche giorno. La ricetta elenca frumento maltato, malti Maris Otter, Chocolate, Brown, Amber e Caramel, lievito English Ale e luppolo Crystal. L'aspetto è meno scuro di quanto la foto sembri indicare: è marrone, opaco, con qualche riflesso ambrato; anche qui la schiuma è molto persistente e cremosa, di color beige. Birra che si lascia "annusare" molto piacevolmente: nocciola, orzo tostato, toffee, ed in secondo piano caffè e cacao in polvere, affumicato e qualche frutto di bosco (ci tocca sempre chiamare in causa il mirtillo). In bocca non ci sono grosse deviazioni rispetto all'aroma: orzo tostato, caffè ed un po' di cioccolato ma, ci tocca nuovamente ripeterci, un'intensità molto minore rispetto ai profumi. Il palato è un pochino troppo acquoso, in una birra poco carbonata che si beve con grande facilità. Chiude secca e pulita, con un retrogusto lievemente amaro di caffè e tostature.
Due birre quotidiane, che non richiedono nessuno sforzo da parte del bevitore e che svolgono perfettamente il suo compito di dissetare e rinfrescare; soprattutto la Bitter potrebbe essere una buon punto di passaggio dalle lager industriali a quelli artigianali. Ben venga quindi sugli scaffali dei supermercati norvegesi. Pulite e senza evidenti difetti, non sono birre da beer-hunting ma che si bevono piacevolmente. Nel dettaglio:
Nøgne Ø Bitter, alc. 4,5%, 50 cl., 30 IBU, lotto 823-A, imbott. 11/02/2013, scad. 11/01/2014, pagata 6,39 Euro (supermercato, Norvegia).
Nøgne Ø Brown Ale, alc. 4,5%, 50 cl., lotto 942B, imbott. 20/03/2013, scad. 20/03/2014, pagata 6,39 Euro (supermercato, Norvegia).
lunedì 9 settembre 2013
Haandbryggeriet Pale Ale & Fyr og Flamme IPA
Due assaggi di Haandbryggeriet, il birrificio norvegese del quale abbiamo parlato più approfonditamente in questa occasione e che rappresenta (dati 2012) il secondo maggior produttore “craft” norvegese dopo Nøgne Ø; solamente i litri venduti in bottiglia attraverso i negozi del monopolio di stato sono stati 63.635. Questi due birrifici godono anche di una (grande) distribuzione abbastanza capillare; in quasi tutti i supermercati norvegesi, persino nei paesi più remoti, è infatti possibile trovare qualche bottiglia sugli scaffali. Il sito norvegese Haandbryggeriet.no non presenta nessuna informazione o immagine delle birre, su specifica ordinanza del Sosial og Helsedepartementet, ovvero del Dipartimento (Ministero ?) per la Salute e le politiche sociali norvegese, in quanto una qualsiasi informazioni da parte del produttore, anche se “sobria”, può essere considerata informazione pubblicitaria di alcolici, cosa vietata in Norvegia. Per avere qualche informazione in più e visitare un sito internet degno di tale nome dovete rivolgervi alla versione inglese haandbryggeriet.net; una limitazione abbastanza assurda, visto che in Norvegia l'inglese è diffusissimo.
Partiamo in maniera tranquilla, con una Pale Ale (4,5%) di colore arancio velato, con una generosa schiuma bianca molto cremosa e dalla buona persistenza. Il naso ha sentori floreali, di cereali ma soprattutto di agrumi, pompelmo e mandarino. Buona la pulizia ed anche l'intensità, mentre il gusto si muove sugli stessi binari (cereali ed agrumi) sacrificando un po' l'intensità. Corpo leggero, mediamente carbonata, chiude secca con un finale amaro di scorza d'agrumi, abbastanza corto ma bel pulito. Una discreta American Pale Ale che non entusiasma ma che comunque viene ben accolta sugli scaffali di un supermercato.
Le cose si fanno invece più serie con la Fyr og Flamme (fuoco e fiamme); sorella minore della Dobbel Dose, che forse abbiamo incontrato in una bottiglia non proprio in forma (si dice così?) la bottiglia di Fyr og Flamme con sei mesi di vita ci ha regalato belle soddisfazioni. Colore sempre arancio ma tendente al ramato, con una percepibile velatura; schiuma molto persistente, ocra. Ci accoglie un bel naso pulito, elegante e fresco, con mandarino, pompelmo, melone retato e mango; un bel biglietto da visita che trova riscontro in bocca. Morbida, appagante, corpo medio e poche bollicine: leggero ingresso di biscotto, e poi sono frutta tropicale dolce e pompelmo amaro a dividersi la scena da quasi buoni fratelli. A dispetto del bellicoso nome (fuoco e fiamme) è invece una IPA molto bilanciata con un bel finale secco ed amaro (scorza d'agrumi); facile da bere, priva di qualsiasi velleità estremistica, finisce molto rapidamente
Entrambe le birre sono circolate in Italia, a dei prezzi probabilmente migliori di quelli applicati all'origine. Nel dettaglio:
Haandbryggeriet Pale Ale, 50 cl., alc. 4,5%, lotto 601, imbott. 08/05/2013, scad. 08/05/2014, pagata 5,88 Euro (supermercato, Norvegia).
Haandbryggeriet Fyr og Flamme IPA, 50 cl., alc. 6,5%, lotto 573, imbott. 14/02/2013, scad. 14/08/2014, pagata 8,79 Euro (Vinmonopolet, Norvegia).
domenica 8 settembre 2013
Inderøy Ankerøl
Difficile recuperare qualche informazioni sul birrificio Inderøy Gårdsbryggeri, situato nell'omonima località (Inderøy) un centinaio di chilometri a nord di Trondheim. Il birrificio, che ha effettuato la sua prima cotta a dicembre del 2007, si trova all'interno di un granaio nell'azienda agricola Kvam Østre. Il birraio è Steinar Kvam, homebrewer dal 1993, con una produzione molto versatile che, per quel che riguarda le birre "leggere" (sotto al 4.7%) include sia stili anglosassoni (IPA, Bitter, Porter, Stout, Brown Ale) che tedeschi (Weizen, Kölsch, Helles, Dunkelweizen). Fra quelle più alcoliche vi sono invece una Tripel, una Weizenbock ed una American IPA. Poche informazioni disponibili, se non in norvegese, ma impressioni positive sulle pagine del blogger norvegese Knut Albert. Etichetta rigorosamente in lingua locale, ma per fortuna una piccola scritta "porter" ci fa identificare il contenuto della bottiglia prima di stapparla. Nel bicchiere è di un bel color marrone scuro, schiuma beige, cremosa, compatta e molto persistente. Buona intensità al naso: orzo tostato, caffè liquido, leggero cacao in polvere e qualche sentori di mirtillo. Le buone aspettative sono però un po' deluse in bocca: porter poco rotonda ed un po' scomposta con un corpo leggero ed una carbonazione modesta che sembra un po' viaggiare su un binario parallelo a quello del corpo. Il gusto non è molto intenso, e dopo il bel aroma non ci si aspetterebbe un marcata acquosità con qualche leggera tostatura e nota di caffè. Finale debolissimo, con acqua al posto dell'atteso amaro tostato; raggiungerebbe la sufficienza per un naso interessante, ma in bocca c'è un po' troppo poco.
Formato: 50 cl., alc. 4.5%, scad. 12/2014.
sabato 7 settembre 2013
Lervig Aktiebryggeri
Secondo il motto di un patriota norvegese, una città per essere definita tale deve avere “una cattedrale, una squadra di calcio in prima divisione ed un birrificio”. Possiamo dargli torto? Nel 2003 la Carlsberg, proprietaria del marchio nazionale norvegese Ringnes (acquisito nel 1989) decide di chiudere la “Tou Bryggeri” di Stavanger nella quale veniva prodotta birra dal 1855 privandola così della terza "componente" essenziale per essere considerata città. Stavanger era una tranquilla cittadina sulla costa occidentale della Norvegia, circondata da splendidi fiordi; per secoli la sua economia si è basata sul commercio delle aringhe, ma a partire dagli anni ’60 viene completamente rivoluzionata dalla scoperta dei giacimenti petroliferi nel mare del Nord che hanno reso la Norvegia uno dei paesi più benestanti al mondo. A Stavanger trovarono sede quasi tutte le industrie petrolifere, tra le quali la Statoil, azienda controllata dallo stato norvegese che, sino alla fusione del 2007 con la Norsk Hydro, era uno dei maggiori venditori di petrolio grezzo al mondo. Ma visitare Stavanger non significa affatto passeggiare attraverso un noioso polo industriale; il piccolo centro cittadino ha conservato ancora intatta la sua identità peschereccia. Un grazioso porticciolo sul quale si affacciano diversi ristoranti, eleganti casette di legno bianco un tempo abitate dai pescatori; tutt'intorno moderni ed ordinati edifici dove lavorano i dipendenti delle aziende petrolifere ed un traffico sostenuto abbastanza inusuale per le città norvegesi. I cittadini di Stavanger iniziarono una piccola protesta boicottando la Ringnes, ed alcuni di loro formarono la nuova Lervig Aktiebryggeri; nel primo periodo le birre vennero prodotte presso gli impianti della Mack Ølbryggeri a Tromsø, 2000 (!!) chilometri più a nord. Le prime produzioni – leggiamo – furono abbastanza imbarazzanti; nel 2005 finalmente il birrificio ha a disposizione impianti propri, ad Hillevåg, poco fuori Stavanger; sino al 2010 la produzione Lervig non desta molto interesse, essendo caratterizzata da lager molto leggere che (sembra) facevano rimpiangere quelle industriali della Ringnes. Il cambiamento arriva nel 2010, quando via Danimarca (ex Ølfabrikken / GourmetBryggeriet) sbarca a Stavanger Mike Murphy, birraio americano (che i birrofili italiani - soprattutto romani - ricorderanno per il suo passato al pub/ristorante Starbees), chiamato a risollevare le sorti di un birrificio che non navigava in buone acque. A soli tre mesi dal suo arrivo, nel Luglio 2010 sono già in vendita le prime bottiglie di Lucky Jack, un’American Pale Ale molto profumata e facile da bere; in Norvegia Mike si porta dietro anche un impianto pilota da 800 litri dove produrre birre in esclusiva per il Cardinal Pub & Bar di Stavanger e che, nel 2011, gli permette di inaugurare la gamma “Brewers Reserve”, con birre sempre più intense che, secondo Ratebeer, sono anche le produzioni migliori Lervig: un Barley Wine invecchiato in botti di Bourbon, una Russian Imperial Stout all’avena e le prime IPA. La sua IPA alla segale, prodotta in origine come one-shot in esclusiva proprio per il Cardinal Pub, è entrata a furor di popolo in produzione stabilmente. Doppia paternità quindi per Mike: non solo “padre delle IPA italiane” (fu la sua Pioneer Pale Ale, nel non così lontano 2001, a sconvolgere il palato degli ancora ignari bevitori romani), ma anche di quelle di Stavanger. Nel 2012 vennero commercializzate le prime birre in lattina, inclusa la Lucky Jack, e la produzione s'avvicinò al milione di litri (a fronte però di un potenziale di quasi tre milioni); ad agosto 2013 la Lervig ha festeggiato il suo decimo compleanno in un anno in cui la produzione è aumentata del 30% e che ha visto, per la prima volta, il birrificio in attivo di cassa anziché in passivo. Nel corso del nostro breve soggiorno a Stavanger ci è capitato di provare diverse birre, grazie anche ad una distribuzione abbastanza capillare sia nei supermercati che nei bar/ristoranti; il birrificio privilegia il formato 33 cl., e le birre sono reperibili a dei prezzi ai quali tutto sommato i consumatori italiani sono purtroppo abituati: quelle al di sotto della fatidica soglia del 4.7% sono nei supermercati a 3,50-4,00 Euro, mentre per le Brewers Reserve, acquistabili solo nei monopoli statali, ci vogliono circa 6.50 Euro.
Ecco una breve panoramica di quanto assaggiato, mentre dedicherò poi un post separato alla Brewers Reserve Rye IPA.
Iniziamo da una poco entusiasmente Pilsner (4,7%), dai leggeri profumi erbacei ma soprattutto con un carattere maltato (crosta di pane, miele) che la rende quasi più simile ad una lager. Poco da segnalare in bocca, un po' di malto, un po' di acqua ed una timida chiusura erbacea amaricante; poco gusto, poco carattere in una birra che sicuramente rassicura il palato dei bevitori di birra industriale ma che delude fortemente gli avvezzi alle birre "artigianali". E' disponibile anche in una generosa lattina da mezzo litro.
Iniziamo da una poco entusiasmente Pilsner (4,7%), dai leggeri profumi erbacei ma soprattutto con un carattere maltato (crosta di pane, miele) che la rende quasi più simile ad una lager. Poco da segnalare in bocca, un po' di malto, un po' di acqua ed una timida chiusura erbacea amaricante; poco gusto, poco carattere in una birra che sicuramente rassicura il palato dei bevitori di birra industriale ma che delude fortemente gli avvezzi alle birre "artigianali". E' disponibile anche in una generosa lattina da mezzo litro.
Di male in peggio ecco la Lervig Sommerøl (4,7%), commercializzata in una bella lattina che abbiamo sicuramente apprezzato più del suo contenuto; se vi aspettate una profumata e beverina birra estiva (Sommer), magari ricca di scorza d'agrumi, ne resterete delusi. E' invece una lager molto blanda, della quale è difficile cogliere gli aromi bevendo direttamente dalla lattina, ma è il gusto a calare il verdetto definitivo: metallica, acquosa, amaro poco gradevole tra erbaceo e gomma bruciata. Mi consola solo parzialmente l'averla bevuta per dissetarmi dai quasi dieci chilometri percorsi a piedi per raggiungere e tornare dalla vetta del massiccio roccioso chiamato "il pulpito". C'è dunque una profonda differenza tra una parte della produzione Lervig che non si discosta molto da prodotti industriali privi di gusto a quella delle sue altre linee. Per bere qualcosa di decente dovete passare alla linea "americana", almeno secondo i nomi delle birre.
Dal basso verso l'alto del nostro indice di gradimento ecco la Johnny Low, una low alcool (2.5%) India Pale Ale che ci ha incuriosito e che abbiamo trovato nel reparto refrigerato di un supermercato. La ricetta prevede malti Pilsner e Crystal, luppoli Cascade, Simcoe e Citra. Di colore dorato pallido, quasi limpido, ha uno spiccato aroma di limone e di lime, pulito ma pericolosamente vicino al confine del "detersivo per piatti" al limone. Priva di una qualsiasi base maltata, molto poco carbonata, passa da un imbocco acquoso alla scorza di limone/lime, per un risultato finale poco apprezzabile che la rende vicina alla limonata. Per dissetarsi, meglio comunque questa della Sommerøl.
Il livello sale con la Lucky Jack (4,7%), che come detto in precedenza dovrebbe essere la prima ricetta che Mike Murphy ha realizzato alla Lervig. Pilsner e Crystal i malti, Amarillo, Chinook e Citra i luppoli. Bel colore oro arancio e naso pulito, ammiccante ed elegante con mandarino, arancio e leggeri sentori di pino ed erbacei. Ottime premesse un po' deluse in bocca, dove manca l'intensità dell'aroma. Pane, cereali, arancio e pesca con un finale che vira verso l'erbaceo; leggera, pulita e poco carbonata, non fa gridare al miracolo ma è senz'altro una di quelle birre che vorresti sempre trovare sulla scaffale di un supermercato. E' anche di disponibile nell'americanissimo six pack, oltre che in lattina.
Chiudiamo questa rassegna della produzione Lervig "< 4,7%" con quella che ci ha più favorevolmente impressionato, ovvero la Hoppy Joe (4,7%), un'American Red Ale dal bel colore ambrato carico con riflessi rossastri. Malti Pale, Caramel e Chocolate, luppoli Chinook, Simcoe e Nelson Sauvin. Profuma di pompelmo con leggeri sentori di aghi di pino e di toffee. In bocca ha un bell'equilibrio tra caramello, biscotto e pompelmo e sfocia in un finale "zesty" corto ma abbastanza intenso. Colpisce soprattutto per una gran bella secchezza che allontana qualsiasi timore di una "red ale" sciropposa o troppo caramellosa. Al contrario di molte altre birre norvegesi bevute, qui il gusto supera decisamente le aspettative create dall'aroma. Mediamente carbonata e facilissima da bere, l'abbiamo trovata molto gradevole sia in bottiglia che alla spina.
Chiudiamo questa rassegna della produzione Lervig "< 4,7%" con quella che ci ha più favorevolmente impressionato, ovvero la Hoppy Joe (4,7%), un'American Red Ale dal bel colore ambrato carico con riflessi rossastri. Malti Pale, Caramel e Chocolate, luppoli Chinook, Simcoe e Nelson Sauvin. Profuma di pompelmo con leggeri sentori di aghi di pino e di toffee. In bocca ha un bell'equilibrio tra caramello, biscotto e pompelmo e sfocia in un finale "zesty" corto ma abbastanza intenso. Colpisce soprattutto per una gran bella secchezza che allontana qualsiasi timore di una "red ale" sciropposa o troppo caramellosa. Al contrario di molte altre birre norvegesi bevute, qui il gusto supera decisamente le aspettative create dall'aroma. Mediamente carbonata e facilissima da bere, l'abbiamo trovata molto gradevole sia in bottiglia che alla spina.
giovedì 5 settembre 2013
Ægir Bryggeri
Piuttosto che tediarvi con una serie di "impressioni" su birre norvegesi che magari non sono reperibili in Italia, ho pensato di fare qualche post "riassuntivo" per birrificio, in modo da presentare in modo rapido alcune delle birre bevute, sperando che queste poche righe potranno esservi utili in un vostro futuro viaggio nella splendida terra norvegese. Parto quindi dalla Ægir Bryggeri, che ha sede a Flåm, un piccolo paese ad una delle estremità del fiordo di Aurland (Aurlandsfjord) che a sua volta è un ramo del fiordo più lungo (ovvero quello che più si spinge dal mare verso l'entroterra) di tutta la Norvegia, il Sognefjord. Meta ideale per una gita di un giorno, a Flåm potrete non solo godere dello splendido panorama circostante, ma anche assaggiare direttamente le birre della Ægir che vi verranno servite in un brewpub/ristorante collegato ad un hotel adiacente dove potrete anche pernottare. Un rifugio utile se perdete l'ultimo traghetto della sera, ad esempio. Il birrificio organizza delle visite guidate agli impianti del brewpub, nel quale vi illustreranno anche le modalità di produzione dell'acquavite; il birrificio vero e proprio, quello della foto in alto, non è normalmente visitabile, e si trova invece ad un chilometro di distanza.
Fondata nel 2011 come distilleria, in pochi anni la Ægir ha già ottenuto grandi consensi tra gli appassionati di birra "artigianale", venendo nominati, nel 2012, il miglior birrificio norvegese secondo quanto il loro sito dichiara. Inutile cercare conferma di questo risultato su Ratebeer, dove continuano a primeggiare le due "major craft" Nøgne Ø ed Haandbryggeriet. Non sono riuscito a trovare nessun riscontro a questo award ma, per chi è interessato ai numeri, mi sono imbattuto in questa interessante pagina del blog di Lars che fa un breve resoconto sul panorama brassicolo norvegese del 2012. Se siete fortunati a capitare durante una giornata estiva di sole, potrete assaggiare le birre Ægir nel patio all'aperto del brewpub, con una vista impagabile (il porto, il fiordo circostante, alcune cascate) tutt'intorno a voi. Il brewpub offre anche una serie di sampler da 10 cl. per consentirvi di assaggiare il maggior numero di birre possibili. Tenete comunque presenti che i prezzi degli alcolici in Norvegia faranno comunque da deterrente a qualsiasi vostra velleità etilica, a meno che non abbiate budget illimitato o stipendio da norvegese; siamo intorno ai 10 Euro per 40 cl. di birra. Purtroppo la nostra visita a Flåm è stata più breve del previsto, a causa della chiusura di un tunnel (15 chilometri) che rende possibile raggiungere il paese arrivando da Bergen; i percorsi alternativi consistevano nell'aggirare il fiordo e raggiungere Flåm dalla sponda opposta (180 chilometri in più!) oppure un panoramico viaggio in traghetto di un'ora e mezza per il quale abbiamo optato. Abbiamo quindi potuto prendere solo una veloce e discreta Pale Ale prima di riprendere il traghetto del ritorno.
Fondata nel 2011 come distilleria, in pochi anni la Ægir ha già ottenuto grandi consensi tra gli appassionati di birra "artigianale", venendo nominati, nel 2012, il miglior birrificio norvegese secondo quanto il loro sito dichiara. Inutile cercare conferma di questo risultato su Ratebeer, dove continuano a primeggiare le due "major craft" Nøgne Ø ed Haandbryggeriet. Non sono riuscito a trovare nessun riscontro a questo award ma, per chi è interessato ai numeri, mi sono imbattuto in questa interessante pagina del blog di Lars che fa un breve resoconto sul panorama brassicolo norvegese del 2012. Se siete fortunati a capitare durante una giornata estiva di sole, potrete assaggiare le birre Ægir nel patio all'aperto del brewpub, con una vista impagabile (il porto, il fiordo circostante, alcune cascate) tutt'intorno a voi. Il brewpub offre anche una serie di sampler da 10 cl. per consentirvi di assaggiare il maggior numero di birre possibili. Tenete comunque presenti che i prezzi degli alcolici in Norvegia faranno comunque da deterrente a qualsiasi vostra velleità etilica, a meno che non abbiate budget illimitato o stipendio da norvegese; siamo intorno ai 10 Euro per 40 cl. di birra. Purtroppo la nostra visita a Flåm è stata più breve del previsto, a causa della chiusura di un tunnel (15 chilometri) che rende possibile raggiungere il paese arrivando da Bergen; i percorsi alternativi consistevano nell'aggirare il fiordo e raggiungere Flåm dalla sponda opposta (180 chilometri in più!) oppure un panoramico viaggio in traghetto di un'ora e mezza per il quale abbiamo optato. Abbiamo quindi potuto prendere solo una veloce e discreta Pale Ale prima di riprendere il traghetto del ritorno.
Due parole anche sul il nome scelto, Ægir, che sarà forse noto agli appassionati di birra e di mitologia scandinava. Ægir ovvero, Aegir o Ager, gigante, re del mare ed inventore della birra secondo la mitologia nordica. Ecco un link per chi volessere approfondire l'argomento "vichinghi e birra". Tornando alla sostanza, abbiamo provato in bottiglia una discreta India Pale Ale, dorata con riflessi arancio con una bella schiuma cremosa e persistente. Il naso è fresco e pulito (pompelmo, pesca, melone ed ananas) ma la birra è un po’ timida in bocca; le premesse dell’aroma vengono un po’ disattese da un gusto che non si discosta molto dall’aroma ma che non dà quel finale amaro e luppolato che ci attenderemmo da una IPA. Facile da bere (6,5% ABV), poco carbonata e ben secca, finisce un po’ troppo corta con qualche leggera nota di scorza di pompelmo. Comunque, la Ægir IPA è è risultata essere la venticinquesima birra nella classifica delle vendite 2012 del Vinmonopolet (il monopolio norvegese che vende alcolici) con 13.976 litri bevuti, ovvero 6.988 bottiglie acquistate.
Discorso analogo si potrebbe fare per la Sumbel (il Symbel o Sumbel era un antico rituale nordico caratterizzato dalle grandi bevute di birra e sidro), una Porter dalla gradazione alcolica contenuta (4,7%) e quindi reperibile anche nei supermercati, che si presenta con un bel color ebano e schiuma color nocciola, molto cremosa. L’aroma è invitante ed offre orzo tostato, caffè e più sottili sentori di mirtillo e di cenere; ma anche qui al palato c’è meno intensità di quanto il naso ci aveva lasciato intendere; tostature e caffè dominano la scena di una bevuta molto scorrevole che inizia abbastanza bene ma che però tende a scivolare nell’acquoso perdendosi pian piano per strada. La chiusura è molto secca, amara e tostata, con un ritorno di mirtilli.
Due birre discrete, che – ma qui non è tanto colpa del birraio ma delle tasse finlandesi – non trovano però un buon rapporto qualità prezzo: 6.30 Euro (supermercato) per la bottiglia di Porter ed 8,60 Euro (Vinmonopolet) per la IPA, entrambe in formato cinquanta centilitri. In cantina abbiamo invece messo la Natt, una Imperial Porter (10%) per la quale aspettiamo le prime giornate fredde d'inverno.
Discorso analogo si potrebbe fare per la Sumbel (il Symbel o Sumbel era un antico rituale nordico caratterizzato dalle grandi bevute di birra e sidro), una Porter dalla gradazione alcolica contenuta (4,7%) e quindi reperibile anche nei supermercati, che si presenta con un bel color ebano e schiuma color nocciola, molto cremosa. L’aroma è invitante ed offre orzo tostato, caffè e più sottili sentori di mirtillo e di cenere; ma anche qui al palato c’è meno intensità di quanto il naso ci aveva lasciato intendere; tostature e caffè dominano la scena di una bevuta molto scorrevole che inizia abbastanza bene ma che però tende a scivolare nell’acquoso perdendosi pian piano per strada. La chiusura è molto secca, amara e tostata, con un ritorno di mirtilli.
Due birre discrete, che – ma qui non è tanto colpa del birraio ma delle tasse finlandesi – non trovano però un buon rapporto qualità prezzo: 6.30 Euro (supermercato) per la bottiglia di Porter ed 8,60 Euro (Vinmonopolet) per la IPA, entrambe in formato cinquanta centilitri. In cantina abbiamo invece messo la Natt, una Imperial Porter (10%) per la quale aspettiamo le prime giornate fredde d'inverno.
mercoledì 4 settembre 2013
Nøgne Ø Two Captains Double IPA
I due capitani, ovvero Kjetil Jikiun birraio e fondatore del birrificio norvegese Nøgne Ø (qui lo incontrammo per la prima volta) e Jan Halvor Fjeld, un homebrewer norvegese che nel 2010 vinse il campionato norvegese nazionale di homebrewing brassando una Double IPA chiamata "Humlehelvete / Pliny goes to Telemark" (il Telemark è una regione della Norvegia); Jan aveva letto un articolo scritto da Vinnie Cilurzo su Zymurgy nel quale veniva riportata una ricetta di una Double IPA; alcuni cambiamenti, ed ecco che Jan si ritrova improvvisamente ad essere l’homebrewer norvegese dell’anno 2010. La sua amicizia con Kjetil Jikiun gli dà l’opportunità di produrre la sua ricetta presso gli impianti della Nøgne. Dopo qualche leggero aggiustamento alla ricetta per adattarla agli ingredienti ed agli impianti del birrificio, vede la luce Two Captains, che nasce come una birra one-shot della quale ne vengono effettuate inizialmente solo tre cotte. Il consenso che riceve è però notevole, ed alcune persone aprono persino una pagina Facebook per chiederne il ritorno. Nello stesso anno (2011), la Two Captain vince la medaglia di bronzo all’Australian International Beer Awards (AIBA). L’amore dei fans e il premio convincono la Nøgne ad inserire questa birra stabilmente nella loro produzione annuale. Ispirata alle Double IPA americane, delle quali ne riproduce quasi perfettamente il tipico colo oro con sfumature arancio; la schiuma, complice anche un bicchiere non proprio adatto, non è molto generosa ma è compatta, fine e cremosa. Bottiglia ancora abbastanza fresca (Aprile 2013), che presenta un naso elegante, forte e pulito: benvenuto di agrumi, con pompelmo e mandarino, mentre in secondo piano si avverte qualche sentore di aghi di pino e, soprattutto, di frutta tropicale dolce (melone retato, ananas). Molto gradevole anche al palato: birra morbida, dal corpo medio-pieno, mediamente carbonata. Malto (biscotto) ed una gentile presenza alcolica formano la spina dorsale di questa Double IPA che ripropone in bocca quanto anticipato dall’aroma: una bella alternanza tra note dolci di frutta tropicale ed amare di pompelmo, con un finale resinoso e leggermente pepato che spinge il piede sul pedale dell’amaro. L’alcool non pregiudica mai la facilità di bevuta, anche se non stiamo ovviamente parlando di una session beer; chiude secca e nemmeno troppo amara (100 le IBU dichiarate) con un bel mix vegetale e resinoso, caldo e leggermente etilico. Scongiurato il timore di avere tra le mani una delle tante IPA scandinave che trasudano insensatamente luppolo da ogni poro, questa Two Captains rivela piuttosto un gran bell’equilibrio tra le sue componenti e una pulizia esemplare. Ben fatta, solida e profumata, gran buona bevuta. Formato: 50 cl., alc. 8.5%, IBU 100, lotto 958, prod. 24/04/2013, scad. 24/04/2015,. Nota dolente: pagata 9,72 Euro (Vinmonopolet, Norvegia).
Iscriviti a:
Post (Atom)