Nuovo appuntamento con il birrificio californiano Green Flash, ma questa volta non si tratta della solita IPA/IIPA. Fondato nel 2002 da Mike Hinkley Lisa Hinkley, già proprietari di un pub ma - caso quasi raro nella scena craft statunitense - senza nessuna esperienza di homebrewing alle spalle; la fortuna di Green Flash è senz'altro dovuta all'abilità del birraio Chuck Silva, arruolato nel 2004 e ancora alla guida dello stabilimento di Vista, una settantina di chilometri a nord di San Diego. Il nome (Green Flash, o Raggio Verde) si riferisce a quel raro fenomeno ottico che si può a volte notare, spesso sul mare, quando il sole sta tramontando.
Nel 2013 Green Flash ha annunciato investimenti per 20 milioni di dollari nell'apertura di un nuovo birrificio in Virginia, sulla costa ad est, pur non rinunciando ad aumentare la capacità produttiva di quello californiano, oggetto di un ampliamento che ha comportato (forse solo temporaneamente) una rivoluzione nella gamma delle birre prodotte, suscitando qualche malcontento tra i birrofili americani. Sono apparse nuove birre "luppolocentriche", meno impegnative da produrre, e sono invece scomparse alcune birre che si rifacevano alla tradizione belga, come ad esempio la Saison Diego o l'ottima Rayon Vert. Tra le birre dismesse c'è anche la Grand Cru, una Belgian Strong Dark Ale stagionale che debuttò a novembre 2008 alla sesta festa di compleanno del birrificio, diventando poi un appuntamento classico stagionale, disponibile ogni anno a partire da dicembre.
Si autodefinisce in etichetta una Mysterious Dark Ale, e si presenta nel bicchiere di un bel color ambrato molto carico, con riflessi rubino e marrone, cui la foto non rende decisamente giustizia. La schiuma beige chiaro è molto compatta, cremosa ed ha un'ottima persistenza. Al naso arrivano subito profumi di prugna, uvetta e datteri, ciliegia sciroppata, con in sottofondo qualche nota di vino liquoroso, forse di porto. Bene intensità e pulizia. Il birrificio della contea di San Diego è famoso per le sue generose luppolature, ed anche questa Belgian Strong Ale non ne è evidentemente stata esentata. La prima parte della bevuta è classicamente belga riproponendo, sebbene con minore pulizia rispetto all'aroma, caramello, uvetta, prugna e datteri. La seconda parte è invece amara, leggermente resinosa e piuttosto spiazzante per chi credeva di avere nel bicchiere un pezzetto di Belgio. La bottiglia si è fatta due anni di cantina ma la luppolatura è ancora protagonista del finale, c'è solo da immaginare come fosse questa birra appena imbottigliata. L'unione tra Belgio e luppoli americani, in questo caso, non la trovo particolarmente azzeccata: l'amaro resinoso fa un po' a cazzotti con il dolce del dattero e dell'uvetta e con le lievi note di vino liquoroso che ogni tanto fanno capolino. La leggera ossidazione si porta però dietro anche qualche sfumatura meno gradevole di cartone bagnato. L'alcool (9.1%) è davvero molto ben nascosto, riscaldando tiepidamente solamente il retrogusto di una birra comunque solida ed intensa, dal corpo medio e discretamente carbonata.
Bevuta irrisolta, almeno per me, quasi spezzata in due: bene la prima parte "belga" e dolce, meno bene "l'americanata" finale. Il colore scuro ed il generoso contenuto alcolico sono solitamente due caratteristiche ideali per la messa in cantina: ma a due anni dall'imbottigliamento questa Grand Cru mostra già qualche segno di cedimento.
Formato: 35.5 cl., alc. 9.1%, lotto 30/10/2012, pagata 5.60 Euro (beershop, Italia).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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