Beejay Oslon e Gerrit Lewis, entrambi devoti homebrewers e beergeeks, si conoscono nel 2008 mentre lavorano da West Lakeview Liquors, negozio di birre, vini e liquori di Chicago. Un beergeek non dovrebbe mai mancare al Dark Loyd Day di Three Floyds, soprattutto se si trova a pochi chilometri da casa: è in quel giorno dell’aprile del 2008 che Oslon e Lewis, mentre sono in fila ad attendere di mettere le mani sulle bottiglie d’imperial stout, che decidono di voler aprire il proprio birrificio.
Nel 2009, mentre Lewis termina il suo master in marketing alla Loyola University, Beejay Oslon manda un’email a Urban Coutteau degli Struise e si offre per andare a lavorare gratis in Belgio per qualche mese: “sino ad allora sapevamo riconoscere una buona birra – racconterà - ma non avevamo nessuna idea su come far funzionare un birrificio”. Gli Struise realizzano anche una birra collaborativa con quei "due ragazzi americani” e con il birrificio Alvinne che viene chiamata Pipedream, nome che anticiperà il futuro. Terminata l’esperienza europea. Oslon e Lewis passano diciotto mesi ad elaborare il loro business plan, mentre le loro produzioni casalinghe riscuotono consensi ed entusiasmo ad alcuni festival nei quali vengono offerte alla spina al fianco delle produzioni professionali, come ad esempio lo Stout Fest organizzato da Goose Island; non è tuttavia facile racimolare i fondi necessari per partire. Impossibilitati nell'ottenere finanziamenti dalle banche senza una casa di proprietà da ipotecare e con il mutuo per gli studi ancora sulle spalle, i due amici decidono di ricorrere al crowdfunding con una campagna su Kickstarter nella quale alla fine del 2010 riescono a racimolare 40.000 dollari, 10.000 in più di quelli richiesti. In attesa di divenire operativi, Pipeworks (il nome sembra che derivi da un soprannome di Lewis al college, “l’idraulico”) produce occasionalmente qualche fusto appoggiandosi ad impianti altrui facendo crescere l’attesa per il proprio debutto in una metropoli che a quel tempo non aveva ancora abbracciato la “craft beer revolution” e - brewpub esclusi - annoverava solo tre microbirrifici: Half Acre, Metropolitan e Revolution. Nel 2011 il Chicago Reader nomina Pipeworks “il miglior birrificio craft che ancora non esiste”.
Oslon e Lewis, assieme a Scott Coffman che viene ingaggiato come head brewer, tagliano a marzo 2012 il nastro del locale di 250 metri quadri nel quartiere Bucktown: le prime bottiglie della Double IPA Ninja vs. Unicorn vanno esaurite in pochissimi giorni. Beejay Oslon, che ha frequentato una scuola d’arte e che ha tatuato la parola B-E-E-R su quattro dita della mano destra e G-E-E-K su quelle della mano sinistra, si occupa della grafica delle prime etichette e promette che “Pipeworks non farà mai la stessa birra due volte”, un credo poi smentito dal tempo: “siamo stati male interpretati – dirà poi – noi vogliamo rifare le birre che la gente vuole bere, ma siamo anche un gruppo di creativi e abbiamo moltissime idee strane che non riusciamo a controllare. E’ eccitante, uno stimolo a provare sempre qualcosa di nuovo. Quasi tutti quelli che lavorano al birrificio – diciassette persone, oggi - danno il loro contributo alle ricette”.
Nel 2013 Ratebeer incorona Pipeworks come “best new brewery al mondo del 2012" e in paio d’anni Pipeworks satura la propria capacità produttiva crescendo dai 500 ettolitri del 2012 ai 1800 del 2014: l’unico modo per continuare a crescere è trasferirsi in un nuovo capannone da 1500 metri quadri a quattro chilometri dal precedente e confinante con quello in cui si trova un altro microbirrificio di Chicago, Off Color. Il piano di espansione viene finanziato con un mutuo ventennale da 1 milione di dollari circa; il nuovo impianto da 35 ettolitri viene inaugurato nel 2015 assieme alle lattine che fanno il loro debutto a luglio. Nel 2016 gli ettolitri prodotti sono stati circa 7000, ma in cantiere c’è già l’acquisto di nuovi fermentatori per arrivare a 17.000 in pochi anni. Il birrificio non è attualmente visitabile e non dispone di taproom: è tuttavia possibile acquistare bottiglie e merchandising nel punto vendita chiamato The Dojo che si trova all’interno dei locali di produzione.
Le birre.
Da un birrificio che ama i beergeeks e che inizialmente dichiarava di “non voler mai fare la stessa birra due volte” è ovvio attendersi uno sterminato elenco di etichette tra le quali non è facile orientarsi. Accanto ad un nucleo di lattine prodotte tutto l’anno (Ninja vs. Unicorn Double IPA, Blood of the Unicorn Red Ale, Lizard Kind Pale Ale, War Bird Session Ale, Lil Citra Session IPA, Glaucus Belgian IPA e Close Encounter Black IPA) vi è una lunghissima serie di produzioni stagionali, occasionali e varianti della stessa ricetta, come ad esempio quindici diverse Abduction Imperial Stout.
Partiamo dalla “Mosaic Pale Ale” chiamata Lizard King e venduta nella bella lattina la cui grafica dovrebbe essere opera dell’artista Jeff Kuhnie; disponibile inizialmente solo in fusto in alcuni locali di Chicago, questa birra è poi diventata una delle produzioni fisse di Pipeworks. Oltre al Mosaic la sua ricetta dovrebbe anche includere il luppolo Amarillo. Il suo colore è un dorato piuttosto pallido e velato, sormontato da una cremosa e compatta testa di schiuma bianca. Le poche settimane passate dalla messa in lattina permettono di godere di un aroma freschissimo e molto pulito: ci sono soprattutto agrumi, cedro e pompelmo, ma in secondo piano si scorge un ricco bouquet tropicale che rimanda a mango e papaya, maracuja, ananas e melone. Il bouquet si completa con qualche nota “dank” e di uva bianca. Al palato è molto morbida, con il giusto livello di bollicine per apprezzare un gusto che ricalca l’aroma e riesce ad essere “succoso” senza sconfinare negli eccessi del “juicy”. Un accenno biscottato rimane in sottofondo a supporto di agrumi e fragrante frutta tropicale, mentre l’epilogo è un amaro resinoso e vegetale di breve intensità e durata. Alcool molto ben dosato, chiusura abbastanza secca in una Pale Ale molto intensa e ruffiana quanto basta che si beve con impressionante facilità: fragranza e pulizia non mancano, l’eleganza è buona anche se ancora migliorabile. Nel complesso il livello è davvero molto, molto alto: occasionalmente si trova anche dalle nostre parti, inevitabilmente con qualche mese sul groppone.
Sure Bet è invece una Double IPA (9.5%) che se non erro viene prodotta una volta l'anno, solitamente nel mese di agosto. Citra e Mosaic i luppoli utilizzati, ma gli ingredienti fondamentali, in questa birra, sono altri: se la luce del sole è il cibo preferito dagli unicorni, al secondo e terzo posto ci sono rispettivamente miele e mango, secondo quanto ci racconta Pipeworks. Entrambi sono stati utilizzati nella ricetta, l'ultimo in forma di purea.
Il suo colore è un arancio opaco, mentre la schiuma biancastra è cremosa e compatta. Festa tropicale al naso, dove mango e ananas spopolano, lasciando in sottofondo profumi di biscotto zuccherato, miele, arancia. La bevuta prosegue in linea retta un percorso intensamente fruttato, molto pulito ed elegante, con l'ingrediente frutta usato molto intelligentemente e ben integrato nella birra. Il mango è ovviamente protagonista, al suo fianco ci sono altre suggestioni tropicali e agrumate a dare forma ad una Double IPA piuttosto dolce ma mai stucchevole e valorizzata dalla freschezza del recentissimo imbottigliamento. L'amaro resinoso è corto e serve solamente a bilanciare, l'alcool è nascosto benissimo ed è impressionante la facilità con la quale si beve una birra dall'ABV quasi in doppia cifra. Corpo tra il medio e il pieno, grande morbidezza al palato, bollicine quanto basta. Double IPA di ottimo livello, molto pulita e molto godibile anche per chi, come me, non sia un grande amante delle IPA alla frutta.
Nel dettaglio:
Sure Bet, formato 65 cl., alc. 9.5%, imbott 08/2017, 10.99 $
Lizard King, formato 47.3 cl., alc. 6%, imbott. 09/08/2017, 2.75 $
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