martedì 7 maggio 2019

Monks Café Flemish Sour Red Ale

Del birrificio belga Van Steenberge vi avevo già parlato in questa occasione. Si trova ad Ertvelde, una quindicina di chilometri a nord di Gent: Piraat e Gulden Draak sono le due birre di maggior successo di un’azienda moderna ed automatizzata che dedica una buona parte della propria capacità a produrre per conto terzi. 
Le cose erano ovviamente diverse nel 1922 quando Paul Van Steenberge prese il comando del birrificio e lanciò una birra chiamata  Bios Vlaams Bourgondië, una Flemish  Red che a quel tempo veniva prodotta assemblando birra fresca con birra che era stata invecchiata in botte per un paio di anni. Col passare del tempo la popolarità dello stile è andata scemando e la Bios venne prodotta solo occasionalmente, quasi abbandonata: all’inizio degli anni 2000 fu un pub americano a salvarla dal definitivo oblio.
Facciamo un passo indietro al 1984 quando Tom Peters – un publican di Philadelphia -  si trovava in vacanza con la moglie in Europa: “eravamo diretti a Parigi ma il nostro volo low cost si fermò a Brussels e avevamo un paio d’ore per visitare la città prima di salire sul treno. Avevamo sete e ordinammo in una bar una Heineken, avevo sentito che in Europa era migliore di quella che arrivava in America. Ma dopo averla assaggiata dissi a moglie che faceva schifo come quella negli Stati Uniti. Il barista sentì il mio commento e poco dopo mi allungò un bicchiere di Duvel. Poi di Orval, poi di Chimay. Quando uscì dal bar non sentivo più le gambe: cambiammo i nostri programmi di viaggio e restammo qualche altro giorno a Brussels. Quel viaggio e quelle birre cambiarono la mia vita per sempre”.  
Rientrato a casa Tom inizia a reperire e ad assaggiare qualsiasi birra belga riesca a reperire dagli importatori e comincia a proporre qualche bottiglia di birra belga ai propri clienti che, lentamente, apprezzano. Nel 1997 si mette in proprio e assieme al socio Fergus Carey apre il pub Monk’s:  tante bottiglie, tre spine dedicate al Belgio e ai primi birrifici artigianali americani. A quel periodo la Craft Beer Revolution doveva ancora nascere. “Facevo  vedere ai clienti la bottiglia ed il bicchiere e dicevo loro: “se non ti piace non te la faccio pagare e me la bevo io.  Al tempo stesso li incuriosivo con le storie dei monasteri e dei birrifici che avevo visitato in Belgio.  Le prime bottiglie di Cantillon non furono però così facili da vendere” ammette Tom
In quegli anni anni il Monk’s Cafè di Philadelphia diventa una vera e propria mecca per birrofili e uno dei beer bar più noti agli appassionati americani.  Tom viene riconosciuto come esperto conoscitore di birra belga e gli viene affibbiato il soprannome di “The Belgian Beer Whisperer of Philadelphia”. Il sogno di (quasi) ogni pub è di avere la “propria” birra da offrire ai clienti; la birra del Monk’s non poteva altro che essere belga e nel 2002 Tom Peters convinse il birrificio Van Steenberge a tornare a produrre la Bios Vlaams Bourgondië rietichettandola come “Monks Cafè”.  Da allora viene prodotta una volta all’anno. Purtroppo il birrificio non utilizza più botti di legno quindi il blend tra birra giovane e vecchia viene fatto utilizzando tini in acciaio. La birra debutta il 23 marzo 2003 nel corso di una esosa serata ($100) presenziata da Michael Jackson. Non mi sto ovviamente riferendo al cantante. 

La birra.
Colore ebano scuro, intensi riflessi rosso rubino, schiuma cremosa e compatta: un ottimo biglietto da visita. Al naso ciliegia sciroppata, frutti di bosco, lieve aceto di mela, profumi floreali e di frutti rossi aspri che tuttavia non mettono in discussione la dominanza del “dolce” in un aroma pulito e intenso. Premesse che suggeriscono una Flemish Red  abbastanza docile ed addomesticata, poco spigolosa:  in effetti la bevuta è dolce, ricca di ciliegia, aceto balsamico, caramello e frutti di bosco che sfumano lentamente in un finale dall’acetico e dall’acidità lattica molto contenute. Il risultato è una birra secca, rinfrescante e dissetante, gradevole da bere ma poco profonda e un po’ patinata se vogliamo essere pignoli, priva di quel carattere rustico e ruspante che dovrebbe sempre avere una birra della tradizione. Nota di merito per quel che riguarda la sensazione palatale, davvero ottima: poche bollicine, bevuta morbida e delicata, quasi setosa, una carezza. Una facile introduzione al mondo dell’acido per i novizi, un piacevole divertissement per chi invece ha già dimestichezza con lo stile.
Formato 33 cl., alc. 5.5%, lotto 04HO, scad. 04/08/2018, pagata 1.95 Euro

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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