La birra arriva a Perugia per la prima volta nel 1875, assieme all’imprenditore milanese Ferdinando Sanvico, che in alcuni locali di Palazzo Silvestri, nella centrale via Baglioni, fonda la Fabbrica della Birra Perugia. I vicini depositi sotterranei di neve della Rocca Paolina venivano utilizzati – in assenza della refrigerazione artificiale – come locali per la maturazione e la conservazione dei fusti di rovere. La birra veniva principalmente consumata in loco, in quella che oggi verrebbe chiamata la “tap room”, ma col tempo iniziarono anche le consegne (mediante carro trainato da cavalli) nei punti di ristoro periferici e, all’inizio del novecento, in varie zone dell’Italia centrale. La produzione – per far fronte all’aumento della richiesta - fu spostata nei locali più capienti di via Oradina (oggi rinominata via Bartolo). Nel 1926 la Società Birra Peroni acquista Birra Perugia: il marchio venne soppresso, il concorrente eliminato e gli impianti continuarono per un anno circa a produrre ed imbottigliare la Birra Peroni, sino alla definitiva chiusura del 1927.
A metà degli anni 2000, alcuni giovani imprenditori perugini hanno l’idea di far rivivere il marchio e di tornare a produrre birra a Perugia: il progetto ha una gestazione quasi decennale: business plan, ricerca del luogo dove produrre, reperimento dei finanziamenti necessari. A fine 2012 nasce la nuova società Birra Perugia, gli impianti trovano casa ovviamente in periferia (Pontenuovo di Torgiano) in una struttura industriale risalente agli anni settanta: ci sono due tini LaInox, della capacità produttiva di circa mille litri e due fermentatori da duemila litri. Il birrificio, guidato dai giovani Laura Titoli, Luana Meuli, David Vescovi, Matteo Natalini, Mauro Fanari ed Antonio Boco viene presentato ufficialmente il 10 giugno 2013, presso il locale Non C'era (in Centro) di via Bartolo, dove si trovava il vecchio birrificio Perugia. In sala cottura l'head brewer è Mauro Fanari, proveniente da una breve esperienza in Inghilterra da Thornbridge ed al CERB di Perugia.
La produzione è sostanzialmente divisa in tre: la "Linea Classica" è quella degli inizi, sono birre volutamente semplici e facili da bere, accessibili anche a chi non ha grande familiarità con la birra ed ha sempre ordinato chiedendo "una chiara, una rossa, una scura". Le tre birre prodotte (Golden Ale, American Red Ale e Chocolate Porter) sembrano soddisfare anche queste esigenze; la grafica delle etichette è volutamente retro e richiama lo storico marchio del 1875. La "Linea Creativa" si rivolge ai cosiddetti "palati più esperti": abbondanti luppolature, malti speciali, affinamenti in botti di legno ed etichette meno convenzionali. Ne parlerò in dettaglio prossimamente. Vi è poi la "Linea Territorio", il cui nome indica chiaramente la volontà di produrre birre che abbiano un forte legame con il territorio, magari utilizzando materie prime provenienti dalla campagna circostante.
Finora mi era capitato di bere Birra Perugia in una sola occasione, in un ristorante di Norcia a pranzo, la scorsa primavera: l'American Red Ale mi aveva fatto un'impressione molto positiva, e mi ero riproposto di assaggiare con più calma le loro birre. Purtroppo non mi è poi capitato d'incontrarle sullo scaffale di nessun negozio: ma, come da proverbio, se Maometto non va alla montagna è la montagna che va a Maometto. Ringrazio quindi Matteo di Birra Perugia per avermi inviato alcune bottiglie.
Partiamo dalle basi, dalle prime birre prodotte, ovvero dalla "linea classica": la (English) Golden Ale di Birra Perugia esordisce portandosi a casa una medaglia oro all'European Beer Star 2013 a soli pochi mesi dal debutto. La ricetta prevede malti pils e carapils, frumento ed una luppolatura che ad una lettura distratta potrebbe sembrare molto poco inglese: Motueka (Nuova Zelanda) e Citra (Stati Uniti), ma le linee guida di recente sviluppate dal BJCP ammettono anche l'utilizzo di luppoli extra britannici. Se non erro, rispetto alle prime cotte, in questa Golden Ale il Citra ha sostituito il Saaz.
All'aspetto è di un brillante color dorato, velato, con un discreto cappello di cremosa schiuma bianca, non molto persistente. In assenza di dry-hopping, l'aroma non è particolarmente pronunciato ma regala un elegante e pulito equilibrio di agrumi (soprattutto mandarino) affiancati a fragranti sentori di crosta di pane, di crackers ed erbacei. La bottiglia è molto giovane (ottobre) e ciò si riflette positivamente non solo sul naso: al palato i descrittori sono gli stessi, con identica fragranza e freschezza. Pane e crackers, seguiti da note di mandarino che evolvono poi in un bel finale zesty di scorza d'agrumi con qualche sfumature erbacea. La bevuta è facilissima, anche se potrebbe essere forse un po' più secca: ho l'impressione (forse sbagliando) che trattandosi di una birra (gateway beer) volutamente destinata anche ai palati meno "esperti", si sia forse fatta qualche concessione in più sul dolce: in sottofondo avverto infatti una leggera presenza di miele. Il corpo è leggero, le bollicine sono poche e questa Golden Ale scorre pulita e velocissima dal bicchiere all'insegna dell'equilibrio: non è una birra che vuole imporsi o che domanda attenzione, ma una dissetante e rinfrescante compagna che affiancherà le vostre chiacchiere di un'intera serata. La gradazione alcolica è un po' al di sopra del concetto di session beer, ma non farete fatica ad ordinarne più di un bicchiere. Ringrazio nuovamente Birra Perugia per avermi inviato la bottiglia da assaggiare. E per chi volesse approfondire di più lo stile delle (English) Golden Ale, che personalmente amo molto, segnalo il solito interessantissimo articolo di Stefano Ricci per la rivista Fermento Birra.
Formato: 75 cl., alc. 5.2%, IBU 16, lotto 3814, scad. 10/2015.
Nessun commento:
Posta un commento