I brettanomiceti sono una delle ultime "mode" nel campo della cosiddetta birra artigianale: sono sempre più i birrifici che decidono di iniziare ad utilizzarli, ma ci vuole davvero molta cautela quando ci si immischia con quello che è considerato, soprattutto nel mondo del vino, un agente contaminante. Usare questi lieviti nello stesso ambiente adibito alla produzione di birra "normale" o – peggio ancora – con gli stessi impianti comporta l’elevato rischio (per quanto un birraio possa pulire e sanificare) di trovarsi “brettate” anche birre che non lo dovrebbero essere.
Ne sanno qualcosa in California al birrificio The Bruery, che nel 2013 è stato costretto a prendere la decisione di separare drasticamente la linea produttiva delle birre “normali” da quelle acide per porre rimedio ad una serie di problemi qualitativi che i clienti iniziavano a lamentare sulle loro (spesso esose) bottiglie; esemplari di White Chocolate, Cacaonut, Autumn Maple Barrel Aged e Praecocia (tutti oggetti da oltre 30 dollari a bottiglia) erano risultati infetti e anche la tanto attesa collaborazione con il birrificio Three Floyds (Rue D’Floyd, una massiccia imperial porter da 14.4% invecchiata in botti di Bourbon con ciliegie, caffè e vaniglia) non era esente da pecche, obbligando il birrificio ad un comunicato stampa in cui si invitava la gente a conservare la birra in frigo e consumarla entro due mesi dall’acquisto onde evitare il rischio del manifestarsi di una possibile infezione batterica.
Nell’estate del 2014 Patrick Rue annuncia la nascita di Bruery Terreux, un marchio completamente dedicato alla produzione di birre acide e fermentazioni spontanee: nei suoi locali, posti a qualche chilometro di distanza (1174 N Grove St, Anaheim), verrà trasportato il mosto prodotto presso The Bruery per l’inoculazione dei lieviti selvaggi, la fermentazione e l’eventuale invecchiamento in botte. Anche l’imbottigliamento avverrà presso una nuova linea completamente dedicata. A gennaio 2015 viene svelato il nome della persona scelta da Patrick Rue a cui viene affidato l’intero progetto Terreux: si tratta di Jeremy Grinkey, proveniente dal mondo del vino e - sebbene appassionato birrofilo - alla grossa prima esperienza in ambito brassicolo dopo tre anni passati a supervisionare la produzione della Jason-Stephens Winery nella Silicon Valley. Sotto il marchio Terreux “migrano” con nuove etichette tutte le birre acide e prodotte con lieviti selvaggi, tra le quali ad esempio le famose Saison Rue, Oude Tart, Sour in the Rye, Reuze e Tart of Darkness.
Bruery Terreux (“terroso”) debutta il 22 aprile 2015 proprio in coincidenza con la Giornata della Terra: il nuovo progetto di Patrick Rue ha dunque spento la scorsa settimana la prima candelina e lo festeggio anch'io con una bottiglia di Tonnellerie Rue.
La birra.
Tonnellerie Rue è spiegata dal suo stesso nome: trattasi di una variante della Saison Rue che fermenta (100%) in botti (tonnellerie, in francese) di legno. La ricetta di base dovrebbe essere la stessa, ovvero 35% di segale maltata, malto Special Roast ed una piccola percentuale di Chocolate, luppoli Sterling e Crystal; secondo quanto dichiara il birrificio, la fermentazione avviene spontaneamente con i lieviti selvaggi ed i batteri naturalmente presenti nelle botti di legno che hanno ospitato in precedenza altre birre “simili”. Una Saison per Ratebeer e per The Bruery, mentre BeerAdvocate preferisce incasellarla tra le American Wild Ales.
La Tonnellerie Rue fa il suo esordio nella gamma Terreux nell’estate del 2015 ed è proprio a quel primo lotto che questa bottiglia appartiene; lo stappo avviene fortunatamente senza le fontane nei confronti delle quali il birrificio aveva messo un po’ in guardia i clienti.
Estate nel bicchiere, che si riempie di un intenso dorato/arancio velato, sormontato da una generosissima schiuma bianca, compatta, quasi pannosa e dall’ottima persistenza. L’aroma, benché molto pulito, non offre una grande intensità: ci sono comunque profumi floreali che convivono con quelli del legno, della scorza di limone e della mela acerba. Evidente la componente lattica, rimane in sottofondo un remotissimo accenno dolce alla frutta tropicale. La sensazione palatale è invece perfetta, quella che vorresti trovare in ogni saison/farmhouse ale: corpo medio ma ottima scorrevolezza, grande vivacità data dall’elevata carbonazione. Il mouthfeel risulta sorprendentemente più morbido che rustico, nonostante l’impiego di un’elevata percentuale di segale. Non c’è molta complessità nel gusto, ma quel che c’è si distingue per pulizia e per intensità: pane e biscotto sorreggono un fruttato molto succoso ricco di albicocca, polpa d’arancia e qualche lieve ricordo tropicale, il tutto (dolce) molto ben bilanciato dall’acidità lattica. Può sembrare strano definire rinfrescante una birra dal contenuto alcolico non indifferente (8.5%), ma la verità è che questa Tonnellerie Rue si beve davvero con molta facilità risultano efficacissima nel placare sete e calura. L’alcool è appena percepibile (al contrario della bottiglia di Saison Rue che mi era capitata di bere qualche anno fa), il finale è molto secco con un breve passaggio amaricante in territorio lattico/terroso/zesty a ripulire definitivamente il palato. Più elegante che rustica, semplice ma gustosa: un’ottima bevuta ma considerando l’elevato prezzo di The Bruery (negli USA siamo sui 15.00 dollari a bottiglia) forse era lecito pretendere una maggiore complessità/profondità (soprattutto a livello aromatico) e qualche emozione in più.
Formato: 75 cl., alc. 8.5%, IBU 20, lotto #215pt3, imbott. 29/07/2015, 19,99 Euro (beershop, Belgio).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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