Non solo solamente i bevitori ad essere attratti dalla “craft beer” e a voltare le spalle al mondo della birra industriale: ci sono anche molti addetti ai lavori che effettuano lo stesso percorso lasciando le grandi multinazionali per aprire un proprio birrificio “artigianale”. E’ ad esempio il caso di Niall Phelan e Alan Wolfe, fondatori nel 2013 della Rye River Brewing Company a Celbridge, una ventina di chilometri ad ovest di Dublino: Phelan arriva dalla Molson Coors dove ha ricoperto il ruolo di “Country Manager” e “Director of Emerging Markets and Craft Beer”, mentre Alan Wolfe ha alle sue spalle dieci anni alla Guinness/Diageo come “Commercial Manager” e alcuni anni alla Molson Coors come “Director of Strategy & Operations”. E’ probabilmente qui che i due si sono conosciuti e, assieme all’amico Tom Cronin (esperienza nell’avviamento e gestione di pub e bar in Irlanda e in USA) hanno deciso di aprire la Rye River. In sala cottura un team di birrai capitanati dell’head brewer Alex Lawes.
Il sito della Rye River non è molto incoraggiante per chi vi capita per caso: i marchi Bavaria e San Miguel non sono certamente attrattivi per un appassionato di birra di qualità, ma il birrificio non li produce su licenza, agendo solo come centro di distribuzione. Il marchio “craft” attraverso il quale Rye River produce e opera è invece McGargles, formato dagli immaginari membri dell’omonima famiglia irlandese che corrispondono alle diverse tipologie di birra: la Pale Ale della cugina Rosie, la Red Ale della nonna Mary, la IPA di Ned, la Stout dello zio Jim e così via. Il birrificio ha già stretto importanti accordi per la distribuzione negli Stati Uniti e in vari paesi Europei tra i quali anche l’Italia, dove le potete trovare in alcuni supermercati.
La birra.
La Pale Ale della cugina Rosie viene prodotta con malti Monaco e Crystal, luppoli Chinook, Amarillo e Summit. Il suo colore è dorato carico, con venature ramate, leggermente velato; la schiuma che si forma è di dimensioni abbastanza modeste, un po' scomposta e si dissolve abbastanza rapidamente. Il naso rivela freschezza ed una bella eleganza fatta di mango e pesca, pompelmo e polpa d'arancia: la frutta è piuttosto dolce ma la sua fragranza scongiura qualsiasi rischio di stucchevolezza. C'è qualche nota caramellata in sottofondo. Piuttosto bene anche la sensazione palatale: poche bollicine, ottima scorrevolezza, corpo medio-leggero. I malti (biscotto, cereale e un tocco di caramello) sono molto ben integrati con le note fruttate e tropicali dei luppoli, per un inizio dolce che poi sfuma abbastanza rapidamente in territorio amaro, con note erbacee e di scorza d'agrume di buona intensità ed eleganza che sono anche le protagoniste del retrogusto. Una session beer che mi ha davvero sorpreso in positivo soprattutto per averla trovata sullo scaffale di un supermercato, luogo solitamente (e anche un po' ingiustamente) accusato di maltrattare le delicate birre "artigianali". Imbottigliata lo scorso gennaio, gode ancora di un buon livello di freschezza che è fondamentale per un'American Pale Ale: complessivamente è davvero molto pulita, ben profumata e ben attenuata, con la chiusura luppolata che lascia il palato ben pulito ad ogni sorso.
Dimostrazione che è possibile bere bene anche attraverso la grande distribuzione e ad un prezzo tutto sommato contenuto, qui siamo sui 7,50 Euro/litro; basta fare attenzione all'etichetta, cercare di risalire alla data d'imbottigliamento (in questo caso dodici mesi prima della scadenza) e verificare che tra questa e il vostro acquisto non ci sia stata di mezzo l'estate, vero nemico dei cartoni di birra che spesso sostano in luoghi caldi prima di entrare tre le corsie climatizzate del supermercato.
Se la vedete in giro, siete ancora in tempo per comprarla.
Formato: 33 cl., alc. 4.5%, lotto 16008, scad. 01/01/2017, 2.45 Euro (supermercato, Italia)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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