Non è certo famosa per la sua costanza produttiva la Brasserie Fantôme fondata nel 1988 dall'eclettico Dany Prignon; gli appassionati per anni si sono barcamenati tra capolavori e catastrofi, bottiglie in stato di grazia, esplosive o imbevibili. Negli ultimi tempi mi pare che la produzione Fantôme si sia un po' stabilizzata portano l'asticella ad un punto medio-alto dove non ci sono più disastri ma neppure indimenticabili capolavori; che questo sia un bene o un male, a voi deciderlo.
Tutto è possibile nel mondo di un birraio che ammette di non amare particolarmente la birra e di non berla quasi mai e che tuttavia proviene dall'homebrewing, avendo iniziato a replicare alcune ricette dei nonni, agricoltori che si producevano anche la birra come avveniva in molte fattorie belghe. Il birrificio, nato quasi per gioco assieme al padre pensionato "che aveva troppo tempo libero", si trova in un edificio rurale che risale al 1830; qui Dany fa ancora tutto quasi da solo, a volte aiutato da alcuni amici. Due, a volte tre cotte a settimana e poi il resto del tempo ad occuparsi della parte commerciale, della famiglia e del suo hobby di restauratore di auto d'epoca. I locali dove avviene la produzione sono in stridente contrasto con la rigorosa pulizia che a volte incontriamo nei birrifici moderni, ma anche questo contribuisce a formare il carattere delle sue birre, prodotte su un vecchio impianto proveniente da La Chouffe che per un po' di tempo non ha funzionato a dovere creando, forse, quei capolavori e quelle catastrofi.
I birrofili statunitensi lo adorano, le sue birre non sono mai sufficienti a soddisfare tutta la domanda ma Prignon non ha nessuna intenzione di indebitarsi per espandersi: per lui la birra è "semplicità nella vita" e anche se non gli dispiacerebbe fare più soldi confessa che non sacrificherebbe gli amici e il tempo libero per aumentare il propio conto in banca.
La creatività, croce e delizia di Fantôme; da buon (birraio) belga Dany non rivelerà mai quello che ha utilizzato, e anche se vi dicesse qualcosa non avrete mai la certezza della verità: vi capiterà di bere birre con lo stesso nome ma incredibilmente diverse. Poco importa, magari al momento dell'imbottigliamento erano le uniche etichette disponibili e sono state utilizzate quelle anche se la birra prodotta era un'altra. Per lo meno negli ultimi anni sulle etichette delle Fantôme sono apparsi anche lotto e anno, informazione che in passato era spesso inesistente ma che ora può aiutare il consumatore a ricercare un lotto ben riuscito o evitare l'acquisto di uno disastroso.
La birra.
La classica Saison di Fantôme, unica birra ad essere prodotta tutto l'anno. Anno 2014, lotto AB N14. Il suo vestito colorato di arancio e di oro, velato ma ugualmente brillante: la schiuma che si forma è piuttosto modesta e un po' grossolana, dissipandosi alquanto rapidamente. Al naso non c'è purtroppo l'epifania delle migliori Fantôme, quella suggestione di "fragole con la panna": ci sono invece profumi floreali che vengono subito avvolti da quelli meno gentili dei brettanomiceti. Acido lattico, polvere, cantina, il legno del tappo di sughero; in sottofondo anche una leggerissima punta di aceto di mela. L'inizio non è dei migliori, neppure per quel che riguarda intensità e pulizia. Al palato sento la mancanza di bollicine: stiamo parlando di una Saison che dovrebbe essere ruspante e vivace, ma qui la carbonazione è troppo bassa. Il gusto è indubbiamente migliore dell'aroma: è (anche se non dovrebbe esserlo) una Saison brettata e quindi la componente acida è ben in evidenza. Il lattico e il lievissimo acetico sono affiancati dall'asprezza dell'uva: l'alcool (8%) è nascosto in maniera surreale e la bevibilità ne trae ovviamente beneficio, la chiusura molto attenuata si porta dietro una punta amara di yogurt "scaduto". C'è una patina dolce fruttata che attraversa in modo trasversale l'intera bevuta, difficile descriverla se non appellandosi in parte alla polpa dell'arancio. Non è la migliore Saison di Fantôme che ho bevuto, è diventata una "sour ale" ma guardandola in questa ottica trova un suo perché: rustica, un po' sgangherata, eppure piacevole, rinfrescante e dissetante nella sua acidità, nella sua asprezza e nella sua secchezza reminiscente di vino bianco. Sicuramente il birraio non "la voleva fare così" ma a Dany Prignon possiamo perdonare questo e altro: per confronto ecco invece le impressioni di una bottiglia bevuta nel 2011.
Formato: 75 cl., alc. 8%, lotto AB N 14, scad. 12/2018, 7.60 Euro (drink store, Italia)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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