giovedì 12 maggio 2016

Hop Valley Citrus Mistress

Contea di Lane, Oregon: verso la fine del diciannovesimo secolo in questa zona veniva prodotta la maggior parte di luppolo di tutto gli Stati Uniti. Il proibizionismo, alcuni parassiti e la concorrenza dei produttori dello stato di Washington ridussero il potere di questa regione che tuttavia oggi continua a produrre il 17% del totale dei luppoli statunitensi, ovvero il 5% del totale della produzione mondiale. 
Su questi terreni trova oggi sede la Hop Valley Brewery, aperta il 12 febbraio del 2009 a Springfield, un agglomerato urbano adiacente ad Eugene, capitale della Contea di Lane. Il birrificio è partito con un impianto da 17 ettolitri ed è rapidamente passato dai 1000 barili prodotti nel primo anno ai 4000 del 2012 che hanno reso necessario il trasloco nella nuova sede di Eugene, dove ha trovato posto un impianto da 70 hl che nel 2015 ha prodotto 12.000 barili: questo quartiere periferico chiamato Whitaker è stato rinominato il “Fermentation District” in quanto a poca distanza l’uno dall’altro si trovano birrifici (Ninkasi, Oakshire e Hop Valley) e diversi produttori di vino e distillati. 
Hop Valley Brewery  viene fondata  Trevor Howard, nativo di Eugene, assieme ad altri quattro soci: il padre Ron Howard, Charles Hare e  Jonas Kungys  (co-fondatori nel 2004 della Oregon Taxi, una delle maggiori compagnie dell’Oregon) e Jim Henslee. Il birraio Trevor, dopo l’homebrewing e gli studi di “Fermentation Science” alla  Oregon State University, ha lavorato alla  Pelican, alla Rogue (2004-2008) e alla Eugene City Brewery, collezionando con le proprie ricette una quarantina di premi in vari concorsi.

La birra.
Citrus Mistress è una IPA stagionale, suppongo disponibile solamente nei primi mesi dell'anno, prodotta con quattro diverse varietà di luppolo non dichiarate e scorza di pompelmo; l'utilizzo di agrumi o frutta in generale nella birra non è di certo una novità ma una tradizione piuttosto consolidata; più complicato risalire a chi abbia realizzato la prima IPA al pompelmo. Probabilmente nata da un'idea di alcuni homebrewers, ma il primo vero successo commerciale è quello della Ballast Point di San Diego che realizzò la versione Grapefruit della propria Sculpin IPA. 
Nel bicchiere si presenta tra il dorato e l'arancio, velato ma luminoso, con un bel cappello di schiuma leggermente biancastra cremosa e compatta, dall'ottima persistenza. La sua data di nascita risale al 10 gennaio scorso e i quattro mesi passati in bottiglia non sono di certo il massimo per uno stile che andrebbe bevuto il più fresco possibile. L'aroma in effetti non brilla di fresco, pur mantenendo una discreta intensità ed una buona pulizia: fedele al proprio nome, troviamo arancio, pompelmo, mandarino accompagnati da sentori floreali e da un accenno di frutta tropicale (ananas, mango).  Uno scenario simile dove la freschezza non è la caratteristica principale si ripropone anche al palato: i quattro mesi in bottiglia sono tanti ma non tantissimi, eppure non c'è quell'esplosione di frutta (agrumi) che t'aspetteresti. Dall'ingresso maltato di pane, biscotto e lieve caramello si passa subito ad un'amaro resinoso e vegetale, intenso ma privo di quella fragranza necessaria a renderlo leggero e pungente piuttosto che pesante e monotono; di agrumi rimane solo un lieve passaggio che richiama la marmellata, mentre dell'aromatizzazione al pompelmo si ha una debole traccia solo nel retrogusto. La sensazione palatale è gradevole, morbida e mediamente carbonata, ma è difficile esprimere un'opinione su una bottiglia invecchiata abbastanza precocemente:  si beve,  ci mancherebbe, con il piacere che cerca però di farsi strada tra la monotonia e la noia.
Formato: 35.5 cl., alc. 6.5%, IBU 80, imbott. 10/01/2016, 4.50 Euro.

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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