Sul ritorno in Europa di Great Divide avevo già accennato qualche settimana fa in occasione della birra stagionale Hibernation Ale, disponibile nei mesi più freddi dell'anno.
Titan IPA, Yeti Imperial Stout, Hercules Double IPA e Denver Pale Ale sono le flagship beer del birrificio del Colorado che occupano la maggior parte della capacità produttiva; tutte, ad eccezione della Denver Pale Ale, sono ricomparse in Italia dopo un’assenza di circa 6-7. "Festeggiamone" il ritorno con un doppio appuntamento: la Titan IPA, ospitata sul blog a settembre del 2010, viene prodotta dal 2004 ovvero quando il birrificio festeggiò il suo decimo compleanno lanciando due birre "speciali", a loro modo estreme rispetto a quanto aveva fatto sino a quel punto. Sono la Maverick Imperial Stout e la Maverick IPA, un marchio che dopo qualche anno Brian Dunn, fondatore di Great Divide, si vide costretto a cambiare in seguito alle proteste di un birrificio californiano che utilizzava già il nome Mavericks. La Maverick IPA fu rinominata Titan IPA con una ricetta che, sebbene mai rivelata ufficialmente, dovrebbe comprendere malti American 2-row e Crystal, luppoli Simcoe e Amarillo per amaro ed aroma e Columbus in dry-hopping.
Le birre.
Dal 2010 ad oggi i gusti sono cambiati ed anche il mio palato è inevitabilmente cambiato: guardavo quindi con interesse a questo confronto dilazionato nel tempo grazie ad una bottiglia di Titan in vita da due mesi, un periodo accettabile per una birra che ha attraversato l'oceano in mesi lontani dai picchi di calore. La verità è che questa Titan si è rivelata molto stanca e invecchiata precocemente. A partire dall'aroma, dimesso e dall'intensità davvero debole: pino e resina, un vago ricordo d'agrumi in sottofondo ma è davvero difficile tirare fuori qualcosa dal bicchiere. Al palato le cose vanno un pochino meglio ma di freschezza, anche se sono passati "solo" due mesi, non si può proprio parlare. Biscotto e caramello sono la base portante di una generosa luppolatura che prova ancora a mordere con le sue note resinose e vegetali, ma quegli agrumi che il birrificio cita le note di etichetta sono un remoto ricordo. Di quella che anni fa era una IPA potente e muscolosa (e non è che allora le birre attraversassero l'oceano in una settimana, anzi...) è ritornata in Italia una sorella debole e fiacca che si beve - ci mancherebbe altro - ma che regala tanta noia e ben poche soddisfazioni. Avesse sei mesi sulle spalle potrei darle qualche attenuante, ma a due mesi e mezzo dall'imbottigliamento il suo stato è davvero già preoccupante. E non si tratta di cercare il fruttato della West Coast o il moderno "juicy" del New England in questa IPA: anche una robusta e maltata IPA del Midwest può essere una gran bella bevuta. Purtroppo questa non lo è: che sia una bottiglia sfortunata o che Great Divide abbia sacrificato la qualità a scapito della quantità il risultato è purtroppo deludente.
Spostiamoci in territorio scuro con un'altra delle flagship beer del birrificio del Colorado: Yeti Imperial Stout, nata anche lei nel 2004 in occasione del decimo compleanno di Great Divide e inizialmente chiamata Maverick Imperial Stout. I problemi di copyright già descritti in precedenza le hanno probabilmente fatto un grosso favore ispirando Brian Dunn a chiamare in causa il leggendario Yeti, l'abominevole uomo delle nevi. E' nato così un brand molto proficuo che include la sorella minore Velvet Yeti (5% ABV, nitro) e quella prodotta con avena (Oatmeal Yeti) disponibile tra luglio e settembre. Le versioni barricate sono la Chocolate Oak Aged Yeti (gennaio-marzo), la Espresso Oak Aged Yeti (aprile-giugno) e la Oak Aged Yeti (ottobre-dicembre).
Imbottigliata lo scorso settembre, si presenta splendida e maestosa nel bicchiere: nera, impenetrabile alla luce, forma un cremoso e compatto cappello di schiuma color cappuccino che ha una lunga persistenza. Al naso caffè, tostature e cioccolato al latte sono accompagnate dall'alcool e da accenni di fumo/tabacco: il bouquet aromatico non brilla per intensità ed eleganza, ma è comunque di buon livello. Il livello sale rapidamente in bocca con una esplosione di sapori, forti, duri, spiccatamente amari; il dolce del caramello passa quasi inosservato e la bevuta dispensa subito intense note tostate, torrefatte e di caffè. Come se non bastasse c'è una generosissima luppolatura che ancora morde e che rincara ulteriormente la dose aggiungendo pungenti note di resina capaci di pungolare e ripulire il palato al tempo stesso, rinfrescandolo con suggestioni che richiamano l'anice. L'alcool (9.5%) non cerca di nascondersi e riscalda ogni sorso di una bevuta che procede abbastanza lenta: il mouthfeel è invece sorprendentemente morbido, facendo sì che la birra attraversi il palato con poche bollicine ed una consistenza morbida, quasi setosa. Nel finale, lunghissimo, continua la scia amara ricca di tostature, caffè e cioccolato inzuppati nell'alcool e avvolti da un filo di fumo. Una birra potentissima che avanza lenta ma implacabile come un rullo compressore: se vi piacciono le imperial stout dure che picchiano forte con l'amaro, questa è per voi. Se invece preferite quelle più dolci/dessert o per lo meno equilibrate, non è probabilmente la birra che dovreste cercare.
Nel dettaglio:
Titan IPA, alc. 7% ABV, IBU 65, imbott. 14/10/2016, prezzo indicativo 4.50/5.00 Euro (beershop)
Yeti Imperial Stout, alc. 9.5%, IBU 75, imbott. 29/09/2016, prezzo indicativo 5.00/6.00 Euro (beershop)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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