Ritorna sul blog il birrificio canadese Dunham che vi avevo presentato un anno e mezzo fa; il brewpub-Brasserie nasce nel 2006 e viene poi rilevato nel 2010, sull’orlo del fallimento, da una cordata d’imprenditori tra i quali Sébastien Gagnon, proprietario del Vice & Versa di Montreal, un bar che da anni offre una curata selezione di Craft Beer. La nuova proprietà investe per aumentare la capacità produttiva ma soprattutto la qualità, portando in sala cottura il birraio Eloi Deit e dandogli carta bianca nella realizzazione delle ricetta; in un paio d’anni Deit cancella le anonime birre che venivano prodotte e fa arrivare alla Brasserie Dunham le prime medaglie ai concorsi e i meno “ufficialI” apprezzamenti dai siti di beer-rating.
Alla produzione di stili classici anglosassoni e belgi si è affiancata quella realizzata con lieviti selvaggi e quella degli affinamenti in botte: il distributore americano Shelton Brother non si è fatto sfuggire l’occasione di stringere un accordo commerciale soprattutto per quel che riguarda le Farmhouse Ales, che in negli Stati Uniti hanno una buona fetta di mercato disposto a pagare prezzi premium. Eloi Diet fa arrivare a Dunham centinaia di botti nelle quali mette a maturare o invecchiare diverse tipologie di birre inaugurando un ambizioso programma: le birre acide vengono anche mescolate con birre fresche dando il via ad una serie chiamata "Assemblage". Oltre ad un ulteriore espansione della capacità produttiva (sala cottura da 35 hl con un potenziale annuo di 3500 hl) Diet ha in mente di iniziare ad utilizzare foeders nei quali realizzare una serie di birre a fermentazione spontanea, sfruttando le caratteristiche microbiologiche dell'aria di Dunham, ricca di meleti.
Debutta nel 2012 la prima imperial stout della Brasserie Dunham: qualche anno dopo viene seguita dalla sua versione invecchiata in botti di whisky canadese, bourbon, tequila e da altre varianti che prevedono l’aggiunta dei soliti ingredienti che arricchiscono le imperial stout: caffè e vaniglia, per esempio. Impossibile risalire alla data di nascita di questa bottiglia che ha tuttavia passato un anno e mezzo nella mia cantina.
Il suo colore è nero e quel “dito” di schiuma che si forma è veloce nel dissiparsi. Al naso coesistono intense tostature, caffè, caramello brunito, ricordi di cioccolato fondente e una nota di carne che tuttavia tende a scomparire con il passare di minuti: il tutto è avvolto da una percepibile componente etilica. L’aroma è pulito e abbastanza bilanciato nelle varie componenti. Al palato questa Stout Impériale Russe è gradevole e abbastanza morbida, leggermente oleosa in modo da scorrere senza particolari difficoltà: il corpo è medio. La bevuta è potente, sospinta da un buon tenore alcolico (9%) che non intende nascondersi e da vigorose tostature: se si esclude la patina caramellata in sottofondo, il suo percorso è una progressione amara di torrefatto e caffè che trova il suo epilogo in un intenso finale potenziato dalla (ancora) generosa luppolatura. C’è anche spazio per qualche fugace suggestione di cioccolato fondente, poi il lungo viaggio nella buia notte si conclude con un caldo retrogusto etilico e torrefatto.
Imperial Stout solida e dura, per palati tosti: anziché amicarsi chi ha il bicchiere il mano con inutili orpelli sembra quasi sfidarlo. In lei l’edonismo coincide con la sostanza.
Formato: 34,1 cl., alc. 9%, lotto e scadenza non riportati, prezzo indicativo 6.00 Euro (beershop) NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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