Kaapse Brouwers (letteralmente “i birrai di De Kaap”) è un brewpub che si trova a Katendrecht, vivace quartiere di Rotterdam, anche noto con il nome di De Kaap, "il promontorio": un tempo Chinatown e poi luogo d’incontro prediletto tra marinai e prostituite, oggi è una zona vibrante e alla moda popolata di bar, ristoranti e punti di ritrovo per giovani hipsters. All’interno di un vecchio magazzino chimato Fenixloods si trova oggi la Fenix Food Factory, un complesso dedicato al cibo ove trovate sidro, formaggio, caffè, insaccati e carne, ristorantini e anche un brewpub.
Kaapse Brouwers nasce nel 2014 dalla collaborazione tra Tsjomme Zijlstra, fondatore della Fenix Food Factory, John Brus e Menno Olivier del birrificio De Molen. I piccolo spazi del magazzino di Rotterman consentono solamente di realizzare piccoli lotti, mentre il resto della produzione, imbottigliamento incluso, se non erro dovrebbe avvenire sui più capienti impianti di De Molen. Alla guida dell’impianto c’è il giovane birraio Etienne Vermeulen che vanta esperienza alla Bierfabriek di Delft e che è anche titolare della propria beerfirm De Bebaarde Brouwer. Al brewpub, venti spine (anche di birrifici “amici”) e impianti a vista,potete accompagnare le birre con semplici stuzzichini, ma l’offerta culinaria all’interno della Food Factory è molto più ampia e potete portarvi al tavolo quanto acquistato altrove. Se volete approfondire il rapporto birra-cibo dovete invece recarvi al locale Kaapse Maria inaugurato a fine 2016 nel centro della città (Mauritsweg 52).
La birra.
Tutti i nomi delle birre Kaapse hanno un legame con il quartiere Katendrecht: non so cosa il termine “Gozer” significhi oltre al semplice “tipo, ragazzo” che mi suggeriscono i traduttori on-line. La sostanza parla comunque di una imperial (oatmeal) stout che viene quindi prodotta con una buona percentuale d’avena maltata oltre a malti Pils, Brown, Chocolate, Caramello, Roasted e luppolo Sladek.
All’aspetto è di color ebano molto scuro, la schiuma cremosa non è molto generosa, è un po’ scomposta e si dissolve abbastanza rapidamente. Eleganza e pulizia non sono le caratteristiche principali di un aroma che è tuttavia dignitoso: tostature, caramello bruciato, fondi di caffè, ricordi quasi svaniti di cioccolato fondente, un po’ di carne. Se in etichetta non ci fosse scritto “oatmeal” la sensazione palatale sarebbe anche discreta, ma visto che viene pubblicizzata l’avena sarebbe lecito aspettarsi una maggiore morbidezza o cremosità e, soprattutto, c’è qualche accenno acquoso che in una imperial stout non vorresti mai trovare. La bevuta non è del tutto armoniosa e presenta diversi spigoli, soprattutto nel passaggio dal dolce all’amaro: si pare con il dolce di caramello e liquirizia, frutta sotto spirito (uvetta e prugna) per poi passare all’acidità dei malti scuri e all’amaro finale delle tostature e dei fondi di caffè: la bevuta è tutto sommato godibile nonostante gli ampi margini di miglioramento nell’eleganza e nella pulizia. L’alcool (9.8%) è sin troppo sotto traccia, la bevibilità ne trae beneficio ma personalmente vorrei che la “temperatura alcolica percepita” fosse un po’ più elevata; si congeda coerente con se tessa, aggiungendo un po' di ruvida cenere al torrefatto e all'amaro dei fondi di caffè. Non è affatto una cattiva birra, ma ci sono molte cose da sistemare prima di raggiungere un certo livello all'interno della categoria stilistica di riferimento.
Formato 33 cl., alc. 9.8%, IBU 46, scad, 18/12/2025.
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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