Il birrificio Goose Island, uno dei pionieri della craft beer americana, è stato fondato nel 1988 nel quartiere Lincoln Park di Chicago da John Hall. A quel tempo in tutti gli Stati Uniti esistevano più o meno solamente duecento produttori artigianali di birra. ll brewpub è cresciuto trasformandosi in un più grande birrificio nel 1995 e nel 1999 ha aperto un secondo brewpub nel quartiere di Wrigleyville. Il 28 marzo 2011 la multinazionale AB InBev acquistò Goose Island per la modica cifra di 38,8 milioni di dollari: 22,5 milioni finirono nelle tasche di John Hall (allora sessantottenne) che deteneva il 58% della società; il restante 42% AB InBev lo prelevò dalla Craft Beer Alliance (Oregon) già partner nella distribuzione di Goose Island. Da notare che la multinazionale possedeva già anche il 32% di Craft Beer Alliance. La storia di Goose Island è stata raccontata nel 2012 dal giornalista Josh Noel nel libro “Barrel-Aged Stout and Selling Out: Goose Island, Anheuser-Busch, and How Craft Beer Became Big Business”. Lettura consigliata a chiunque voglia approfondire le acquisizioni di microbirrifici da parte di multinazionali. Dell’accordo non fecero inizialmente parte i due brewpub Goose Island nei quartieri di Clybourn e Wrigleyville: il secondo chiuse definitivamente nel 2015, il primo fu acquistato da AB InBev nel 2016. Non è questo il momento di raccontare la storia di Goose Island. Concentriamoci sulla birra che ha contribuito a renderlo famoso tra gli appassionati di birra artigianale: la Bourbon County Stout.
Alla metà degli anni novanta Greg Hall (birraio di Goose Island e figlio del fondatore John) si trovava al LaSalle Grill di South Bend (Indiana) ad un evento-cena dedicato agli abbinamenti tra bourbon e sigari; per l’occasione aveva portato da Chicago qualche fusto di birra, visto che a quel tempo Goose Island ancora non imbottigliava. A quella cena era presente anche Booker Noe della distilleria Jim Beam: i partecipanti riempirono quasi per scherzo un barile vuoto di bourbon con dell’acqua del rubinetto e, dopo averlo fatto rotolare un po’ sul pavimento, si versarono il contenuto nel bicchiere, aggiunsero un po' di ghiaccio e bevvero quell’acqua fredda “sporca di bourbon” come fosse tè freddo. Greg Hall stava pensando a come festeggiare la millesima cotta di Goose Island, magari producendo una birra speciale: nel corso della serata venne fuori l’idea di mettere in una botte vuota di bourbon della birra, anziché dell’acqua. “Alcuni birrifici producevano una birra speciale per la loro cotta numero 500, 1000, 1500 etc etc. Larry Bell del birrificio Bell’s era uno dei più bravi in questo e le sue birre celebrative erano molto ricercate dagli appassionati – ricorda Hall - Chiesi a Booker Noe se poteva darmi qualche barile vuoto di bourbon da usare per una birra speciale; il giorno dopo c’erano sei barili davanti alla porta del nostro magazzino”.
Non è chiaro se la Bourbon County Brand Stout (BCBS) di Goose Island sia stata la prima imperial stout al mondo invecchiata in botti ex-bourbon: certo è che chi l’assaggiò al Great American Beer Festival di Denver per la prima volta rimase spiazzato: era una birra ma al tempo stesso era qualcosa di completamente nuovo. Nessuno ricorda esattamente che anno fosse, neppure alla Goose Island: per anni sulle etichette della BCBS era riportata la scritta “Since 1992”, poi sostituita nel 2017 con “The Original” in seguito di una segnalazione del giornalista Josh Noel. Le sue ricerche, pubblicate in un articolo sul Chicago Tribune, sembrano confermare che il primo fusto di BCBS fu attaccato nel 1995. Nel 2003 apparvero le prime bottiglie, etichetta fatta a mano con un semplice pennarello, disponibili solo per i dipendenti: nel 2005 furono per la prima volta vendute anche al pubblico, con quell’improbabile tappo svitabile che in quel periodo di Goose Island utilizzava per tutte le proprie birre. Nel 2007-2008 venne definitivamente sostituito dal tappo a corona.
Al di là che la BCBS sia davvero la prima imperial stout bourbon barrel-aged, una verità è inconfutabile: è la prima birra che si è guadagnata un culto tra gli appassionati che ogni anno, nel giorno del Black Friday, cercavano di accaparrarsene una bottiglia o una cassa direttamente al brewpub Goose Island o nei liquor stores. E, dopo l’acquisizione della multinazione AB InBev è stata la prima birra a mettere in difficoltà i beergeeks ed i puristi della craft beer: devo continuare a berla?
L’ingresso di AB-InBev ha permesso di ampliare in maniera esponenziale il programma dedicato agli invecchiamenti in botte. A questo è stata dedicata la Goose Island Barrel House, una serie di magazzini collegati tra di loro all’interno di quali, oltre a migliaia di barili, vengono anche ospitati eventi, cene a tema, matrimoni e visite guidate. La quantità di BCBS disponibile è aumentata sempre di più e la produzione della birra base da invecchiare in nelle botti occupa il birrificio per diversi mesi; in realtà la BCBS che beviamo è un blend di diverse botti nelle quali la birra ha riposato dagli otto ai quindici mesi. I magazzini non sono né riscaldati né refrigerati e sono sottoposti agli sbalzi termici tra i freddi inverni e le caldi estati di Chicago: “con il freddo i barili si restringono e la birra aumenta il contatto con legno, mentre col caldo si espandono e il liquido si muove maggiormente al loro interno. Ciò diminuisce i tempi di maturazione impartendo alla birra più rapidamente il carattere del distillato” dice il birraio Jared Jankowski, responsabile della Barrel House.
Oggi l’hype per la BCBS è ovviamente scemato, e non solo perchè si tratta di una birra prodotta da un birrificio di proprietà di una multinazionale. Le concorrenti, altre barrel aged imperial stout, si sono oggi moltiplicate e sarebbe impossibile per chiunque restare ai vertici delle classifiche del beer rating per troppo tempo. Goose Island è corsa ai ripari elaborando una serie di varianti di BCBS che ogni anno affiancano la versione standard; queste varianti non raggiungono cifre astronomiche sui mercati secondari ma sono comunque ancora abbastanza ricercate dai beergeeks.
Le Bourbon County Stout 2018 sono arrivate come al solito nel giorno del Black Friday, ovvero il 23 novembre. Otto le varianti disponibili; la versione base invecchiata in botti di bourbon Heaven Hill (4 anni), la Reserve Bourbon County Brand Stout (botti di bourbon Elijah Craig di 12 anni), la Proprietor’s Bourbon County Brand Stout (con aggiunta di fave di cacao), il Bourbon County Brand Wheatwine, la Bourbon County Brand Vanilla Stout, la Bourbon County Brand Bramble Rye Stout (botti di whiskey di segale con aggiunta di purea di lamponi e mirtilli del Michigan), il Bourbon County Brand Coffee Barleywine e la Bourbon County Brand Midnight Orange Stout (con aggiunta di scorza d’arancio e fave di cacao).
La ricetta della versione base prevede malti 2-Row, Black Malt, Caramel e Chocolate, luppolo Millennium. Impensabile trovarla nel nostro continente fino a qualche anno fa; l’arrivo della multinazionale AB-InBev ha fatto in modo che negli ultimi due-tre anni qualche bottiglia riesca ad arrivare anche da noi. A voi decidere se ciò sia un bene o un male. Nel bicchiere non è completamente nera ma poco ci manca: la piccola testa di schiuma che si forma è cremosa e compatta ma poco persistente. Il naso è splendido: intenso, elegante, pulito, caldo e avvolgente. Passano in rassegna legno, bourbon, fudge, uvetta e prugna sotto spirito, fruit cake, cioccolato, melassa, vaniglia, accenni di fumo e tabacco. Ogni volta che le narici s’avvicinano al bicchiere sembrano emergere nuovi profumi. Al palato è piena e morbida, viscosa: una morbidezza densa piuttosto che vellutata. Il gusto non delude le grandi aspettative generate dall’aroma: l’alcool (15%) si sente tutto ma sorseggiarla non è affatto difficoltoso. A piccoli colpi il bicchiere si riuscirebbe a svuotare più rapidamente del previsto ma sarebbe un peccato mortale: è una birra che reclama un’intera serata dedicata a se stessa, come fosse un liquore. E allora abbandoniamoci a fudge, fruit cake, vaniglia e cioccolato, melassa, frutta sotto spirito, il tutto abbondantemente inzuppato nel bourbon. Il lunghissimo finale è glorioso: cioccolato fondente, accenni di caffè e tostature, frutta sotto spirito, ancora bourbon. Sinceramente a me poco interessa che si tratti di un prodotto “industriale”: nel bicchiere c’è davvero tutto quello che vorrei trovare in una imperial stout invecchiata in botti di bourbon. Livello elevatissimo, pulizia e precisione, gran bel carattere donato dal passaggio in botte. Una delizia che riesce persino ad emozionare.
Formato 50 cl., alc. 15.2%, IBU 60, imbott. 31/08/2018, prezzo indicativo 20,00 euro (beershop) NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.