Ci sono delle birre che fanno la fortuna di un birrificio, e la Dirty Bastard è una di quelle. Il birrificio Founders, aperto nel 1997 a Grand Rapids (Michigan) da Mike Stevens e Dave Engbers, non se la stava passando troppo bene: le birre prodotte non ottenevano grandi consensi e la situazione finanziaria peggiorava di mese in mese. Non riuscivano più a pagare l'affitto, le rate del prestito e si trovavano con otto mesi di tasse arretrate: a giugno del 2001 la United Bank notificò ai birrai sei giorni di tempo per rientrare di 550.000 dollari. Prima di dichiarare bancarotta, Stevens ed Engbers fecero un ultimo tentativo andando a parlare con Peter C. Cook, un famoso uomo d'affari e noto filantropo di Grand Rapids; dopo un paio di giorni i birrai ricevettero una telefonata da parte della banca ad annunciare che il signor Cook si era personalmente fatto garante del loro debito.
Per invertire la rotta, Mike e Dave chiamarono a lavorare con loro il birraio Nate Walser (ex New Holland Brewing Co.) per rivoluzionare completamente l'offerta delle birre, sostituendo le birre semplici ed anonime prodotte sino ad allora con altre molto più robuste, complesse e impegnative.
"Le nostre birre erano buone ma non eccezionali – ricorda Engbers – facevamo birre che potessero piacere a tutti, ma erano esattamente le stesse birre prodotte da tutti gli altri birrifici del Michigan: una Pale Ale, una Amber Ale, una birra di frumento, una scura. Capimmo di dover iniziare a fare qualcosa di diverso. A quel tempo le IPA non erano così di moda, iniziammo a produrre la Centennial IPA e la gente al bancone ce la rimandava indietro dicendo di non riuscire a berla, era troppo amara. In quel periodo andavano forte le Amber Ales e così realizzammo una nuova birra molto maltata e alcolica per poterci risollevare dalla difficile situazione finanziaria. Pensammo al nome Fat Bastard, ma dopo esserci consultati con i legali scoprimmo che quel nome era già stato registrato da un produttore di vini. All’avvocato chiesi di verificare se il nome Dirty Bastard fosse disponibile, lui mi rispose che era una pazzia pensare di usare quel nome e io gli dissi: “non sappiamo neppure se tra qualche mese saremo ancora in attività, chi se ne frega”. Improvvisamente, invece che una Red Ale, una Porter ed una Pale Ale eravamo diventati quelli che producevano la Dirty Bastard, una bomba maltata con 8% di ABV. La gente iniziò a parlare di noi, aprirono siti come BeerAdvocate e RateBeer e noi partecipammo attivamente alle discussioni sui forum rispondendo alle persone: il successo della Dirty Bastrd ci convinse che quella era la direzione giusta da prendere: tutte le nostre birre diventarono più potenti e più complesse. Iniziammo a fare le birre che ci piacevano bere, non quelle che pensavamo sarebbero piaciute alle persone. Arrivarono la Breakfast Stout, la Curmudgeon e la Devil Dancer.”
Tutte birre che ottennero uno straordinario successo e contribuirono in maniera decisiva a portare Founders tra i più grandi ed apprezzati produttori del Michigan e di tutta la scena craft statunitense: la moda delle IPA vide poi Founders protagonista prima con la Centennial IPA e poi con la All Day IPA, che oggi occupa la maggior parte della capacità produttiva del birrificio.
Nel 2003 Founders presenta la versione barricata della Dirty Bastard: il nome scelto è Backwoods Bastard (il bastardo che vive in un luogo remoto, isolato, lontano da tutto) e la birra è accompagnata dalla solita bella etichetta disegnata da Grey Christian. Le botti trovano oggi posto nei sotterranei del birrificio, un’impressionante serie di corridoi e cunicoli lunga sei miglia che un tempo venivano utilizzati per estrarre il gesso e che Founders ha preso in affitto. Dai quattro barili ex-bourbon posseduti dal birrificio nel 2002 si è arrivati ai 4700 del 2014: l’aumento della quantità va purtroppo spesso a discapito della qualità e il discorso si può applicare anche a Founders. Le sue birre barrel-aged (KBS su tutte) non sono - dicono - più quelle di una volta ma sono accessibili a molte più persone.
La Backwoods Bastard è una produzione stagionale che arriva ogni anno nel mese di novembre; la gradazione alcolica sale all'8.5% della Dirty Bastard all'11.1%. Ciò nonostante, leggo su forum di appassionati americani che non è una birra che invecchia particolarmente bene e quindi stappiamo subito l'edizione 2016 che è arrivata anche in Europa.
Il suo colore è uno splendido ambrato carico, limpido ed impreziosito da intensissimi riflessi rosso rubino; la schiuma color crema è cremosa e compatta ed ha un'ottima persistenza. Al naso il bourbon accompagna i profumi di melassa, biscotto, uvetta, prugna e ciliegia; in secondo piano legno e vaniglia, suggestioni terrose e un filo di fumo. Al palato è davvero molto morbida, con un corpo quasi pieno e una carbonazione bassa: il palato viene avvolto da un liquido intenso che riscalda senza mai bruciare, con il bourbon protagonista assieme agli stessi elementi che hanno composto l'aroma. La bevuta è piuttosto dolce ma ben asciugata dall'alcool che viene aiutato dal lieve amaro finale, terroso e resinoso, dei luppoli. Il retrogusto è davvero lunghissimo e ricco di bourbon, legno e tanta frutta sotto spirito. Scotch Ale potente ma non difficile da sorseggiare, molto pulita e in grado di riscaldare perfettamente i gelidi inverni del Michigan: più che il contenitore (legno, vaniglia) è il suo contenuto (bourbon) a dare la caratterizzazione, con un risultato finale non eccellente ma sicuramente molto, molto buono.
Formato: 35.5 cl., alc. 11.1%, IBU 50, scad. 06/04/2017.
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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