Gary Fish non aveva grosse ambizioni quando nel 1998 aprì a Bend le porte del brewpub Deschutes: era arrivato in Oregon da sei mesi e intendeva solamente gestire un piccolo pub godendosi la vita e la natura circostante. In quanto ristoratore senza nessun’esperienza nella produzione di birra, l’allora trentunenne Fish ingaggiò come consulente Frank Appleton, uno dei pionieri della craft beer revolution canadese; a lui il compito di progettare, mettere in funzione l’impianto e scrivere le ricette delle prime tre birre prodotte da Deschutes: Cascade Golden Ale, Bachelor Bitter e Black Butte Porter. I nomi scelti erano volutamente gli stessi di alcuni ranch della zona ai quali il birrificio sperava di poter vendere le birre per dissetare le persone che rientravano verso casa dopo aver sciato sulle montagne della zona. Per produrle venne assunto il giovane birraio John Harris, in seguito fondatore della Ecliptic Brewing di Portland: "realizzammo la ricetta della Black Butte fatta dal consulente ma per me era troppo leggera, era una Brown Ale, io ci volevo più carattere, più tostature. Il consulente mi disse “io qui ho finito il mio lavoro, fate quello che volete” e anche Fish , impegnato con il ristorante, mi lasciò carta bianca. Così iniziai ad usare meno malto Caramello e più Chocolate, continuando a modificare leggermente la ricetta per due anni, quando divenne poi definitiva”.
In una regione dove a quel tempo dominava la Sierra Nevada Pale Ale, Deschutes decise d’investire sulla scura Black Butte facendola diventare, in accordo con il loro primo distributore Admiralty Beverage, la propria flagship beer. Ancora oggi per Deschutes la Black Butte è “the beer that started it all”: grazie a lei il birrificio dell’Oregon si è fatto conoscere in tutti gli Stati Uniti. Una porter dedicata all’omonimo stratovulcano che raggiunge i 1962 metri d’altezza, che fa parte della Catena Montuosa della Cascate (Cascade Range) e che si trova all’interno della Deschutes National Forest.
E’ stata quindi una scelta naturale assegnare alla Black Butte il compito di festeggiare ogni anno l’anniversario del birrificio, che cade il 27 giugno: in quella data i birrai di Gary Fish (attualmente Brian Faivre e Veronica Vega) presentano ogni anno una diversa versione “imperiale” della Black Butte. L’ultima nata, la XXVIII (11.6%), celebra il ventottesimo compleanno utilizzando malto torbato, cacao, vaniglia, scorza d’arancia e viene poi “blendata” (50%) con la stessa birra invecchiata in botti di bourbon e scotch; qualcuna di queste bottiglie è attualmente arrivata anche in qualche beershop on-line europeo.
Noi facciamo invece un passo indietro al 2014, festeggiando con un po’ di ritardo il ventiseiesimo compleanno di Deschutes.
Noi facciamo invece un passo indietro al 2014, festeggiando con un po’ di ritardo il ventiseiesimo compleanno di Deschutes.
Black Butte XXVI Birthday Reserve: 10.8% ABV per un’imperial porter la cui ricetta prevede malti Pale, Chocolate e Crystal, Midnight Wheat e frumento maltato; i luppoli sono Millennium, Cascade e Tettnang americano. Vengono inoltre aggiunte fave di cacao prodotte dalla Theo Chocolate, melassa di melograno e mirtilli rossi (cranberries) dell’Oregon. La birra viene poi invecchiata per sei mesi in botti di bourbon e viene imbottigliata blendandola (50/50) con birra fresca. Messa in vendita a partire dal 27 giugno 2014 in una bottiglia ceralaccata, porta una “best after date”: il birrificio vi consiglia di berla non prima del 14 giugno 2015.
Il suo colore è ebano scuro e nel bicchiere forma un generoso e cremoso cappello di schiuma beige, dall’ottima persistenza. Il naso non è pulitissimo ma è piuttosto complesso e – almeno per quel che mi riguarda – spiazzante. Ci sono uvetta e prugna, bourbon, lievi note di tostatura e di cioccolato, vaniglia. Ma c’è anche una specie d’altalena fruttata dolce-aspra che mi riesce difficile descrivere: probabile che si tratti della melassa di melagrano e dei mirtilli rossi. Il corpo (medio) e la consistenza sono sorprendentemente “leggeri” per una birra dal contenuto alcolico così importante: ne guadagna indubbiamente la scorrevolezza, ne risente la morbidezza. Il gusto non si discosta molto dall’aroma, riproponendone la complessità: ci si alterna tra il dolce della melassa, dell’uvetta e della vaniglia e le leggeri tostature. Il bourbon riscalda senza eccessi una bevuta nella quale entrano in gioco acidità (malti scuri) e asprezza (frutti rossi); il finale riporta in superficie accenni di cioccolato amaro e di tostato, il tutto avvolto da un caldo abbraccio etilico.
Imperial Porter piuttosto atipica, non di facile lettura e - lo ammetto - spiazzante ai primi sorsi: per il mio gusto le manca un po' di copro e di viscosità, il risultato è comunque godibile e soddisfacente, una volta messe da parte le aspettative iniziali di trovarsi nel bicchiere una classica porter ricca di tostature, caffè e cioccolato.
Formato: 65 cl., alc. 10.8%, IBU 60, imbott. 06/2014, best after 16/06/2015, 16.99 dollari (beershop, USA)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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