Il dibattito birrifici vs beerfirm è sempre attuale e vivo nel mondo della birra: c’è chi si schiera a prescindere contro chi produce senza avere i propri impianti e si fa magari chiamare ”birrificio o birraio”, e c’è a chi invece interessa solo la qualità di quello che viene poi versato nel bicchiere.
La beerfirm di oggi (perché tecnicamente si tratta di una birra prodotta altrove, su commissione) è tuttavia abbastanza particolare. Si tratta dell’abbazia Sainte Marie du Mont des Cats, localizzata a Godewaersvelde, comune francese nella regione di Nord-Passo di Calais; il confine col Belgio è ad un tiro di schioppo: Poperinge è a dieci chilometri, l’abbazia di St. Sixtus-Westvleteren a venti.
La fondazione dell’abbazia avviene nel 1826, ma la presenza di monaci sulla sommità (solo 163 metri sul livello del mare) del Mont des Cats risale ad almeno due secoli prima; nel gennaio del 1826 alcuni cistercensi provenienti dall’abbazia francese di Notre-Dame du Gard iniziarono la costruzione di un monastero poi completato nel 1847. La produzione di birra, inizialmente riservata al consumo personale dei monaci, partì l’anno successivo con qualche mese di anticipo rispetto a quella del formaggio, che diventerà poi la principale fonte di “reddito” del monastero. Documenti storici ritrovati all’interno dell’abbazia testimoniano come la prima birra prodotta fosse ambrata e leggera ma ben presto rimpiazzata da un’altra dal maggior contenuto alcolico, apparentemente per non entrare in competizione con quelle prodotte da altri birrifici della zona. Non ci sono invece notizie su bottiglie; sembra che la birra fosse esclusivamente venduta in botti di legno; nei terreni circostanti si trovava anche un luppoleto.
Il diffuso anticlericalismo di inizio ‘900 costrinse all’esilio i monaci stranieri, portando di fatto alla cessazione della produzione di birra nel 1907. Il colpo di grazia fu dato dalla prima guerra mondiale, le cui battaglie furono particolarmente cruente nella zona di confine tra Belgio e Francia. Il monastero fu severamente danneggiato da un bombardamento tedesco nell’aprile del 1918, e il birrificio non fu mai più ricostruito. Da allora sino al 1970 i monaci si sono finanziati principalmente attraverso i prodotti agricoli ed i formaggi; in seguito i terreni agricoli furono dati in affitto e l’unica risorsa economica rimase la produzione casearia.
La comunità di frati si è vista di recente costretta a pensare ad altre fonti di reddito che potessero affiancare i proventi derivanti dal caseificio. A giugno 2011, esattamente a 163 anni di distanza dal primo barile di birra prodotto a Mont des Cats, Bernard-Marie van Caloen annuncia in una conferenza stampa di aver raggiunto un accordo con i “fratelli” dell’abbazia di Notre-Dame de Scourmont (ovvero Chimay) con i quali in un paio di mesi di lavoro è stata messa a punto una nuova ricetta. Bisogna sottolineare che i monaci di Mont des Cats non dispongono assolutamente delle risorse necessarie per progettare la costruzione di un impianto produttivo proprio e quindi la possibilità per il momento non è stata presa in considerazione.
Si tratta tuttavia di una birra prodotta all’interno di un monastero trappista la cui produzione viene supervisionata dai monaci trappisti: Mont des Cats possiede quindi tutte le caratteristiche per potersi chiamare “Authentic Trappist Product”; la scritta “trappist beer” è effettivamente presente in etichetta, mentre è ancora assente il famoso logo esagonale.
Ambrata, con velature ramate, leggermente velata: Mont des Cats si presenta con un enorme ed esuberante cappello di schiuma che obbliga ad alcune soste prima di poter versare l’intero contenuto della bottiglia nel bicchiere; la sua persistenza è lunghissima. Fiori, pera, pane e zucchero candito annunciano l’aroma, completato da sentori di biscotti speculoos, frutta secca; l’intensità è però piuttosto modesta e la pulizia è tutt’altro che encomiabile. La prima cosa che colpisce al palato sono le bollicine; tante, troppe anche per una birra "belga", bisogna pazientare un po' e lasciarle calmare. La scorrevolezza è comunque buona, il corpo medio. Gusto piuttosto dolce, con caramello, biscotto e miele in evidenza; in secondo piano i canditi e la frutta secca. Molto ben attenuata, risulta alla fine comunque equilibrata e mai stucchevole; la chiusura è lievemente amaricante (terroso, mandorla) ed il retrogusto è di nuovo in territorio dolce con caramello, miele ed un lieve tepore etilico. La bevuta risulta piuttosto avara di emozioni e a tratti anche un po' slegata; intensità e pulizia non sono certamente ad alti livelli, il suo compitino lo svolge portando a casa la sufficienza ma con un nota rivolta ai "genitori" di Scourmont/Chimay che l'hanno prodotta: ci si poteva impegnare di più.
Formato: 33 cl., alc. 7.6%, lotto 15-199, scad. 12/2017, 2.15 Euro (supermercato, Belgio).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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