Whiplash e Wylam, due nome “caldi” nella scena craft dei rispettivi paesi di provenienza, Irlanda e Inghilterra. Whiplash è una beerfirm guidata da Alex Lawes e Alan Wolfe, entrambi provenienti dalla Rye River Brewing Company, uno dei più grandi birrifici indipendenti irlandesi. Lawes, a quel tempo homebrewer, vi era arrivato nel 2014 come apprendista e la sua permanenza doveva durare solamente un anno. Ma nel 2015 la Rye River si era trovata improvvisamente senza birraio e, dopo alcuni infruttuosi colloqui, Wolfe aveva implorato a Lawes di accettare il ruolo di head brewer offrendogli carta bianca sulle ricette e dandogli la possibilità di produrre sugli stessi impianti anche la propria neonata (2016) beerfirm Whiplash. Alla fine del 2017 i due hanno lasciato definitivamente la Rye River per lavorare a tempo pieno al progetto Whiplash: le birre sono attualmente prodotte sugli impianti del birrificio Larkin di Wicklow.
Il birrificio Wylam è invece operativo dal 2000 nel piccolo e omonimo villaggio del Northumberland e ha “cambiato pelle” nel 2010 grazie all’arrivo di nuovi soci portatori di liquidità e capacità imprenditoriale: Dave Stone e Rob Cameron. I due sono proprietari di altrettanti gastropub a Newcastle e iniziano a collaborare con Wylam che li rifornisce di birra. Nel 2015 la collaborazione si trasforma in una vera e propria partnership con la ristrutturazione del Palace of Arts dell’Exhibition Park di Newcastle nel quale trovano posto un impianto 35 ettolitri, taproom con 12 spine e 6 casks, bar, beer-garden, ristorante ed un spazio per organizzare eventi, matrimoni, concerti.
Lo ripeto ancora una volta: oggi “birra artigianale” coincide sempre più con il concetto di “novità”. Non bisogna fermarsi mai e offrire sempre qualcosa di nuovo da provare agli appassionati. In quest’ottica le collaborazioni tra birrifici sono uno strumento perfetto: si mettono assieme due nomi alla moda, si produce una IPA/DIPA magari apportando solo qualche modifica ad una ricetta pre-esistente, la si vende.
Dall’incontro tra Whiplash e Wylam nasce Do You Wanna Touch Me, una Double IPA prodotta con malti Maris Otter e Carapils, avena, zucchero candito belga, luppoli Vic Secret e Citra nel whirlpool, doppio dry-hopping di Citra, BRU-1, Vic Secret e Galaxy, lievito London Ale III. Sul nome scelto non credo ci siano dubbi: Do You Wanna Touch Me? (1973) è stato uno dei successi di Gary Glitter, glam rocker inglese dalla vita piuttosto turbolenta che sta attualmente scontando 16 di carcere per abusi sessuali nei confronti di tre minorenni avvenuti negli anni ’70.
Il suo aspetto è quello di un torbido succo alla pera: piuttosto bruttina, ma così vuole il protocollo Hazy/Juicy/NEIPA. La schiuma è invece abbastanza compatta e persistente per lo stile. L’effetto “succo di frutta” è presente anche al naso, sebbene con poca pulizia e finezza: il risultato è una generale sensazione tropicaleggiante (mango, papaia?) intensa ma un po’ cafona. Il mouthfeel è piuttosto gradevole: morbido e quasi cremoso, senza degenerare in consistenze troppo ingombranti che di fatto penalizzano troppo la bevibilità. La bevuta è tutta via molto meno fruttata di quanto l’aroma potesse far immaginare e, ahimè, abbastanza deludente: il tropicale è poco definito e confuso, l’alcool (8.4%) si sente anche più del necessario e di fatto costringe a rallentare drammaticamente il ritmo dei sorsi. Poteva questa Do You Wanna Touch Me farsi mancare il tipico “bruciore/effetto pellet” delle mediocri interpretazioni dello stile? Certo che no ed ecco un finale amaro resinoso e poco gradevole, fortunatamente di modesta intensità e durata.
Collaborazione poco riuscita tra Whiplash e Wylam: Double NEIPA confusa, noiosa, bevibile ma pesante da mandare giù. Non si può nemmeno chiamare in causa l’età anagrafica: un mese al momento della bevuta. Se mi fidassi del beer-rating dovrei piuttosto invocare la teoria della “lattina sfortunata”.
Formato 44 cl., alc. 8,3%, lotto 3071, scad. 13/02/2019, prezzo indicativo 5.50-6.00 euro (beershop)NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio
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