Ancora Londra, ed ancora il quartiere di Hackney, ormai vera e propria mecca birraria della capitale inglese; siamo nella zona Nord-Est, a circa 9 chilometri da Piccadilly Circus, giusto per darvi una vaga idea. Solamente 800 metri più a nord della Cock Tavern nel cui seminterrato trova sede la Howling Hops che vi abbiamo presentato la settimana scorsa. E nei dintorni vi sono almeno altri 4-5 microbirrifici! Eppure, dice il proprietario Edward Mason, hanno scelto quella zona solo perché è quella in cui loro abitano. Mason è proprietario del pub Duke of Wellington di Dalston, della Whitelock's ALe House di Leeds e del Deramore Arms di York; qualche tempo fa ha venduto un altro pub, il Mason & Taylor nel quartiere di Shoreditch che è diventato oggi il Brewdog Shoreditch. Quattro persone lavorano alla Five Points, con Greg Hobbs come birraio, un passato da apprendista alla East London Brewing Co. Al momento sono tre le birre in produzione regolare, la prima delle quali è stata ufficialmente commercializzata a Marzo di quest'anno; birrificio nuovissimo quindi, con neppure un anno di vita alle spalle ma con ideali opportunità di vendere la propria produzione con buoni margini attraverso i tre pub di proprietà.
Come molti dei birrifici nati a Londra in questi ultimi anni, anche Five Points sembra guardare soprattutto agli Stati Uniti piuttosto che alla secolare tradizione della madre patria. Ecco che la loro birra "quotidiana", quella da bere una volta usciti dall'ufficio, non è una classica Bitter o Golden Ale ma una American Pale Ale infarcita di Amarillo, Centennial e Citra. Evidentemente è questo che la clientela cerca in questo momento, e sicuramente oggi giorno a Londra è molto più facile bere una APA o una American IPA (o una English-American IPA, come correttamente alcuni fanno osservare: le IPA Americane sono un'altra cosa) piuttosto che una "vera" birra inglese. Forse solo tra qualche anno, quando sarà passata la febbre dei luppoli esotici ed americani, vedremo l'abilità di questi nuovi microbirrifici londinesi ed inglesi nel confrontarsi anche con la tradizione della loro madrepatria, magari cercando di rinnovarla senza necessariamente ricorrere a vagonate di luppoli extraeuropei.
E ve la potrei forse descrivere senza averla neppure assaggiata questa Pale: il colore è tra l'arancio e il dorato, velato, e la schiuma biancastra, fine e cremosa, dalla buona persistenza. Il naso è piacione, pulito ed elegante, con un bell'assortimento di agrumi (arancia e mandarino) e frutti tropicali dolci (mango, passion fruit, ananas). Più corpo del previsto (quasi medio, per 4.4% ABV) e poche bollicine per una bevuta ineccepibile: scorrevole, acquosa quanto basta per mantenere una discreta morbidezza e rotondità. Molto bene in bocca, è una birra che inizialmente scongiura il rischio "succo di frutta" mostrando invece un grande equilibrio tra malti (crosta di pane e cereali) e la stressa frutta (agrumi e tropicale) dell'aroma. E' solo nel finale che la birra scivola un po' banalmente nella spremuta di agrumi, con un amaro completamente zesty di limone e lime, secchissimo e leggermente astringente che va a caratterizzzare anche il retrogusto. Ma fino agli ultimi secondi della bevuta, avevamo tra le mani un'ottima American Pale Ale molto pulita e profumata, magistralmente bilanciata, da bere ad oltranza. Un "peccato" finale un po' veniale ma evidentemente inevitabile per stare al passo della Londra birraria del 2013; birrificio molto interessante, da provare senz'altro se capita a vista.
Formato: 33 cl., alc. 4.4%, imbott. 27/08/2013, scad. 27/12/2013, pagata 2.62 Euro (beershop, Inghilterra).
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