lunedì 24 novembre 2014

Elav Æresis

La sua ultima apparizione sul blog è datata settembre 2011: a quel tempo il Birrificio Indipendente Elav di Comun Nuovo (BG) aveva aperto solo da pochi mesi: la prima cotta di Grunge IPA era infatti datata Novembre 2010.  La produzione, su un impianto da 300 litri,  inizialmente destinata ad alimentare soprattutto gli altri due locali di proprietà di Antonio Terzi e Valentina Ardemagni  (il Clock Tower Pub di Treviglio e l’Osteria della Birra di Bergamo),  è poi rapidamente aumentata sino a raggiungere le 858 cotte ed i 300.000 litri del 2013. Il numero delle differenti birre prodotte è salito ad oltre una ventina.  La crescita sembra non conoscere soste, tanto che la previsione per fine 2014 parla di quasi 1300 cotte, quasi il doppio rispetto allo scorso anno; si è reso quindi inevitabilmente necessario ampliare la capacità produttiva, con un nuovo impianto da 2500 litri che è entrato in funzione da pochi mesi. Il vecchio impianto rimarrà comunque operativo e sarà destinato alle sperimentazioni.  
Ma non è l’unica novità di quest’anno: ad Aprile il birrificio ha infatti dato notizia della nascita della Società Agricola Elav, nella suggestiva cornice della Val d’Astino, ai piedi di Bergamo Alta e nel terreno che circonda il monastero di Astino. In questi due ettari è stato inaugurato un luppoleto  che occupa circa il 70% della superficie; in quel che resta vengono prodotte altre colture (frutti, erbe officinali) da utilizzare poi in alcune produzioni sperimentali:  lamponi, more, zucche, ad esempio.   
Le Elav assaggiate nel 2011, a pochi mesi dall’apertura, mi erano sembrate “coraggiose” (a quel tempo – sembra passato un lustro -  le IPA prodotte in Italia non erano ancora così numerose)  ed interessanti, anche se presentavano qualche asperità dovuta alla giovane età del birrificio. L’assaggio a distanza di tre anni mi offre l’occasione di vedere il percorso di crescita di Elav, che nel frattempo ha messo in bacheca anche importanti riconoscimenti. E’ il caso della Æresis  una Black Ale (la Black IPA della casa si chiama invece Humulus) prodotta se non erro dal 2012 e premiata con la medaglia di bronzo nella categoria Dark Ale alla Brussels Beer Challenge del 2012 e 2013; viene anche segnalata come “Grande Birra” sull’ultima Guida alle Birre d'Italia (2015) di Slow  Food.  La ricetta indica malti Pale, Crystal Scuro, Monaco Scuro, Black e  Special B, una luppolatura unicamente affidata al Mosaic e l'aggiunta di pepe nero indiano, scorza d'arancia amara e coriandolo.  
A questo punto devo necessariamente fare una piccola pausa;  la linea guida di questo blog è immutata da diversi anni: descrivere  (non mi piace neppure usare la parola "recensione", anche se poi si finisce inevitabilmente per esprimere un giudizio di gradimento su quello che si beve) quello che viene versato nel bicchiere, per fornire ad altri appassionati delle utili informazioni. E' quello che io cerco quando leggo altri blog che parlando di birre bevute. Finché la birra è buona, finché non ha evidenti problemi è tutto facile. Ma quando invece ti trovi nel bicchiere una birra venuta male, hai sempre il dubbio: è davvero il caso di parlarne o no? Dopotutto, non è il modo in cui il birraio ha voluto farla, e l'idea stessa di "artigianalità" ammette la possibilità che vi siano delle (sottili) differenze tra un lotto ed un altro. Perché allora parlare di una birra bevuta facendone una descrizione che non sarà di grosso aiuto a chi legge visto che, si spera, avrà una bassissima probabilità di incontrarla in quelle stesse condizioni? Per una questione di coerenza "editoriale" e, soprattutto, di onestà verso chi legge. 
Troppo facile parlare sempre bene di tutto e di tutti: di blog e di guide che lodano tutte le birre bevute ce ne sono in abbondanza. Io scelgo di raccontare quello che c'è nel bicchiere, nel bene e nel male.
E allora devo descrivere una bottiglia  (sfortunata, si dice di solito) di Æresis che non si presenta nel migliore dei modi: il colore è marrone scuro, molto torbido, con la schiuma che quasi fatica a comporsi. Occorre agitare a posteriori il bicchiere per formare un dito di una patina beige saponosa e grossolana, molto poco persistente. La bottiglia è ancora abbastanza giovane e dall'aroma, d'intensità davvero dimessa, si scorgono in sottofondo i freschi sentori di frutta tropicale e del pompelmo del Mosaic, coperti dall'orzo tostato e dal pepe. Di male in peggio al palato: la birra è completamente piatta, priva di qualsiasi bollicina. Il corpo è medio, ma la birra è slegatissima, con acqua e gusto che procedono parallelamente senza quasi mai incontrarsi. Si riesce a percepire qualche note di agrumi e di frutta tropicale, lievi tostature, con un finale piuttosto astringente con una leggera presenza di caffè, salsa di soia  e pepe. Torbido quanto il colore, neppure il gusto poco pulito riesce a risollevare una bevuta che ha nell'assenza di carbonazione il suo punto più dolente.
La tornerò ad assaggiare volentieri, se mi ricapiterà l'occasione; se qualcuno l'ha bevuta e ha voglia di raccontarmela, c'è lo spazio per i commenti sottostante. 
Formato: 33 cl., alc. 6%, IBU 53, lotto 120-14, scad. 23/09/2016, pagata 3.60 Euro (stand birrificio).

Nota: la descrizione della birra bevuta è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

6 commenti:

  1. la bottiglia (per quel che il mio naso capiva) sapeva di fresco, sotto sotto. il problema principale non era la freschezza, ma la mancanza di carbonazione.
    potrebbe anche essere stato un problema di tappo che ha leggermente sfiatato, non so. non mi intendo di produzione.

    La Sierra Nevada Pale Ale la fanno in California... a 10.000 km di distanza, ed è una birra che andrebbe bevuta freschissima (non è un barley wine...)
    Se sei molto fortunato ti capiterà una bottiglia di 4 mesi fa che non ha soggiornato per molto tempo nei magazzini di importatori/distributori, e sarà qualcosa di discretamente godibile.

    Ma nel 99% dei casi avrai tra le mani una bottiglia molto più datata e spompata, che magari ha passato l'estate in magazzino.

    Personalmente non la comprerei mai in Italia.
    Piuttosto mi cerco una APA italiana prodotta qui vicino e imbottigliata da poche settimane. :)

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  2. Mattia Bonardi non lavora piu' alla Elav da 1 anno. Ora lavora al Birrificio Lambrate.
    Il nuovo birraio si chiama Matteo Palmisano, credo.

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  3. Bene! Più noi bevitori facciamo attenzione a queste cose e più i birrifici si dovranno adeguare.. magari indicando direttamente la data d'imbottigliamento oltre alla scadenza !

    Sì.. la Saison Dupont ha avuto un periodo "buio"… ne ho trovate anche io in giro delle bottiglie abbastanza deprimenti, credo fosse nel 2012 (hanno scadenza a tre anni, quindi 2015) ?

    Non è di certo una birra da invecchiamento ma si difende abbastanza bene. L'ultima che ho stappato era prodotta nel 2013, ancora a livelli spettacolari.

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  4. Ehi, diamoci del tu :)

    Sulla Dupont l'anno di produzione è scritto bello in grosso sul tappo di sughero (per la bottiglia da 75.. ma è l'unico formato che concepisco per lei)

    Del Borgo dovrebbe avere dare 2 anni, almeno è quanto deduco guardando lotto produzione e data di scadenza

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  5. Beh, il mio rapporto con la Dupont è anche affettivo, oltre che gustativo. Ha grandissima facilità di bevuta, è rustica ed abbastanza amara... e soprattutto si trova facilmente in giro ad un ottimo rapporto qualità prezzo (circa 5 Euro per le 75 cl. nei supermercati). Anche se adesso mi dicono che si trovi meno facilmente sugli scafffali (ad es.9 dell'Esselunga.

    Poi ci sono Saison altrettanto ottime .. come quella di Glazen Toren, De Ranke o di Blaugies, però le trovi solo nei beershop e nemmeno in tutti.

    Non cito Fantome perchè è spesso un terno al lotto, ma quando le trovi a posto...

    In assenza di alternative, la Dupont mi ha "salvato" la serata più di una volta.

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