Sono "solamente" cinque le birre di Founders disponibili tutto l'anno: All Day IPA, Centennial IPA, Pale Ale, Porter e Dirty Bastard. Tra di queste è attualmente l'ultima nata (2012) Session IPA ad occupare la maggior parte della produzione, seguita a poca distanza dalle storiche Centennial IPA e Dirty Bastard. Queste due vengono prodotte dal 2001, da quell'anno di svolta nel quale il birrificio del Michigan si era trovato sull'orlo del fallimento, come vi avevo raccontato in questa occasione.
Da quest'anno le Founders godono di una buona distribuzione anche in Italia che le rende di facile reperibilità, in qualche caso forse anche maggiore di quella della madrepatria. Pensate ad esempio al fatto che alla Dirty Bastard non è stato dato il benestare per la commercializzazione dallo stato dell'Alabama a causa del nome ritenuto offensivo. Peccato che nello stesso stato americano fosse già in vendita un vino chiamato Fat Bastard: un diverso trattamento tra due bevande alcoliche al quale siamo abituati anche in Italia (accise). Nelle sale cinematografiche dell'Alabama era anche possibile vedere il film Inglourious Basterds (Bastardi Senza Gloria) di Quentin Tarantino, ma la Alcoholic Beverage Control Board reputava inammissibile la messa in vendita di una birra il cui nome conteneva la parola "bastard". Il legislatore aveva promesso nel 2013 di rivedere la propria posizione, ma non sono riuscito a sapere se ciò sia effettivamente avvenuto o no.
Consoliamoci allora di poterla bere almeno in Italia: chi segue il blog con regolarità sa come non nutro grossa fiducia nella qualità delle birre che arrivano attraversando l'oceano. Troppo alto il rischio di trovarsi nel bicchiere una birra poco fresca; ma essendo questa Dirty Bastard una scotch ale e non la solita IPA, ho voluto ugualmente tentare la sorte in quanto lo stile meno luppolato dovrebbe meglio sopportare lo "stress" da viaggio e lo scorrere del tempo. Nel bicchiere sorprende per il suo insolito colore torbido (non molto amato dagli americani) che s'avvicina alla tonaca di frate; qualche riflesso rossastro, ed una piccola "testa" di schiuma beige, cremosa ma poco persistente. L'aroma è di buona intensità e pulizia, con una marcata dolcezza fatta di uvetta, fichi e datteri, melassa, biscotto al burro. Le cose vanno un po' meno bene in bocca, dove la dolcezza anticipata dall'aroma viene ulteriormente enfatizzata e corre sul filo della stucchevolezza; la birra ha un corpo medio ma risulta un po' slegata, con una carbonazione bassa che sembra quasi viaggiare su un binario parallelo rispetto alla consistenza oleosa. Offre note di biscotto e toffee, uvetta e prugna, ma anche una leggera ossidazione (cartone bagnato); l'alcool è ben nascosto, se si eccettua un lieve warming etilico finale, e la chiusura è leggermente amara (terra e frutta secca) nel tentativo - non completamente riuscito - di bilanciare il dolce. I sapori sono poco fragranti e si coagulano in un insieme dolciastro che non regala grosse soddisfazioni: rimane la bella etichetta disegnata da Grey Christian e la voglia di tornarla ad assaggiare in condizioni migliori.
Formato: 35.5 cl., alc. 8.5%, IBU 50, scad. 19/01/2015, pagata 4.00 Euro (foodstore, Italia).
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