venerdì 28 novembre 2014

Orval 2014 vs. Orval 2010

Il post di oggi è principalmente per “smentire” quello di tre anni fa. A quel tempo tra appassionati birrofili  ci si lamentava del fatto che l’Orval avesse (per dirla in modo elegante) perso un po’ di splendore e che si trovassero in giro  quasi solo della bottiglie molto poco soddisfacenti. Tim Webb e Joris Pattyn nel loro “100 Belgian Beers to Try Before You Die” (del 2008)  definivano la trappista come  “un classico che avrebbe bisogno di nuovo vigore”. Dal 2011 non mi era mai più capitato (è una colpa, lo so) di  stappare una bottiglia di Orval, dimenticandole in cantina; è successo quasi per caso poco prima della scorsa estate. Mi trovavo in un supermercato, lontano da casa, alla ricerca di qualcosa con cui accompagnare la cena: l’unica salvezza tra quanto presente sullo scaffale erano alcune bottiglie di Orval che, guarda caso, erano state imbottigliate sei mesi prima.  E’ l’età anagrafica alla quale preferisco bere la Orval: ancora relativamente fresca, ma con la presenza già ben percepibile di quei brettanomiceti che vengono inoculati al momento della messa in bottiglia. Un segno del destino da cogliere al volo, insomma, e che mi ha ricompensato: bevuta fantastica, birra in grande spolvero.  E non è stata l’unica, quest’anno. 
Ad Ottobre 2013 lo storico birraio della Brasserie d'Orval Jean-Marie Rock è andato in pensione dopo ventotto anni di servizio, passando il testimone ad Anne-Françoise Pypaert; si tratta della prima donna che produce birra all’interno di un monastero trappista. Negli ultimi venti anni, l’ingegnere Anne-Françoise era stata la responsabile (oltre che della produzione del formaggio) anche del laboratorio interno di controllo qualità della birra.           
Sarebbe a questo punto facile fare 1+1 = 2 e dare la "colpa" delle ultime deludenti annate della Orval a Monsieur Rock. Il 2014 vede dunque il ritorno de “le goût d'Orval”? 
L'Orval è in verità cambiata dal 1932, anno in cui è ripresa la produzione di birra dentro le mura del monastero, ma non è cambiata in tempi recenti. Stan Hieronymus, nel suo bel libro Brew Like A Monk, sottolinea come nel 1993 il pH dell'acqua fu abbassato da 5.2 a 5.0, ammorbidendo l'intensità dell'amaro. Jean-Marie Rock confermò il cambiamento ma si difese dicendo che si trattava di un piccolo dettaglio, che aveva effetto solamente sul retrogusto, rendendolo solo un po' meno amaro di prima. Ma l'attivista Yvan De Baets (che fondò poi la Brasserie De la Senne, dopo aver lavorato da De Ranke), sapeva bene che quel cambiamento non aveva avuto effetti solo sul retrogusto, ed iniziò una decennale campagna di pacifica protesta per riavere l'Orval di una volta. 
L’occasione è quindi giusta per descrivere una grande Orval 2014 e confrontarla con una sorella del 2010: una mini-verticale per vedere, a quattro anni di distanza come è evoluta nel tempo la birra.   
Partiamo dalla ‘giovane’ Orval, all’aspetto di colore arancio/rame, velato: esuberante la schiuma, biancastra e quasi pannosa, molto persistente nel bicchiere. L’aroma è pulito,  ancora fresco e pungente, con sentori  aspri di scorza d’agrumi (limone, mandarino), erba tagliata e  fiori bianchi. In sottofondo ci sono sfumature che ricordano l’oliva verde, mentre a birra calda s’avverte qualche nota di polpa d’arancia e di zucchero candito.  L’Orval non ha una gradazione alcolica (6.2%) da session beer ma la sua caratteristica principale è quella di avere una bevibilità assassina.  Questa bottiglia non fa eccezione: vivacemente carbonata, corpo medio-leggero, scorre come se fosse acqua ed in pochi minuti vi trovate con il bicchiere vuoto. Per chi (vergogna!) ancora non la conoscesse, si tratta di una trappista abbastanza differente da tutte le altre: è amara, mordicchia subito lingua e palato con note erbacee e di scorza d’agrumi (mandarino), bilanciate da sfumature più dolci di pane e di crackers e, lievissime, di canditi.  Secchissima, la lieve acidità ne dona un grande potere dissetante e rinfrescante e, combinata all’elevata carbonazione, la rende un ottimo abbinamento gastronomico quando è necessario ripulire e sgrassare il palato. Chiude proprio come era cominciata, senza nessuna divagazione e con pochi elementi, ma al posto giusto: scorza d’agrumi, erba, suggestione di oliva verde.  Bottiglia splendida, da applausi o da lacrima, scegliete voi. Come giù detto ho sempre preferito di gran lunga berla fresca (entro l’anno di vita) ma potete divertirvi a tenerla in cantina ed aspettare per vedere come cambia nel tempo, lasciando lavorare per voi i brettanomiceti. 
Ecco ad esempio una bottiglia del 2010:  leggermente più scuro il colore rispetto alla 2014, al limite dell'ambrato. La schiuma è generosa ma "controllabile", biancastra, cremosa e compatta, dalla buona persistenza. I quattro anni passati in cantina hanno ovviamente tolto freschezza e vigore all'aroma: la scorza d'agrumi è presente solo in sottofondo, più pronunciata la componente rustica che arranca tra le sfumature di mela verde. Il naso è molto più dolce e zuccherino quando la birra si scalda, con evidenti sentori di canditi. Non desta sorpresa neppure il gusto meno amaro della 2010; i malti (la ricetta ne prevede tre chiari e due caramellati) virano più verso il biscottato che il pane. Anche qui la componente "zesty" è quasi impercettibile, e l'amaro offre soprattutto note erbacee, a tratti di erbe officinali, forse di frutta secca. La bevibilità è un po' ridotta: non si beve al ritmo di una session, ma c'è un lieve warming etilico a ricordarci che dopotutto il contenuto alcolico non è dei più bassi; nel finale emerge anche una punta di acetone: l'Orval 2010 manca completamente di quelle sfumature dolci che erano invece presenti nella 2014 e che le donavano una maggiore compiutezza. Gli anni in cantina hanno limato le asperità della gioventù, la birra risulta più morbida in bocca, sebbene ancora vigorosamente carbonata.
Dopo il confronto la mia preferenza non cambia: voto sempre più convinto per una Orval giovane, una splendida birra - piacevolmente rustica - da bere quasi senza sosta. E quando la trovi davvero in forma, come quelle incontrate da inizio anno ad ora, non ce n'è quasi per nessuno.
Le trovate in molti supermercati e ad un prezzo accessibile: fatene incetta e divertitevi anche voi ad aprirne una ogni tanto, se non le finite prima.
Bottiglia 2014: formato 33 cl., alc. 6.2%, imbott. 29/04/2014, scad. 29/04/2019, pagata 2.89 Euro (supermercato, Italia)
Bottiglia 2010: formato 33 cl., alc. 6.2%, imbott. 01/07/2010, scad. 01/07/2015.

2 commenti:

  1. Orval è semplicemente lei unica e inimitabile

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  2. peccato che i vecchi commenti di alcuni anni fa siano stati eliminati ...

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