La Luna Rossa ha parte della linea produttiva che il Birrificio del Ducato ha chiamato “il Tempo”, dedicata alle “lunghe attese” ed alle “rivelazioni acide”. Una complessa ed elaborata creazione che arriva sul mercato per la prima volta nel 2011 (Cuvée 2009): visto che nessuno meglio del suo creatore può descriverla, ecco le parole del birraio Giovanni Campari: “La Luna Rossa è una birra che si può in un qualche modo avvicinare ad una kriek su base Flemish red (…) è la birra che impiega più tempo prima di uscire dal birrificio. Si parte da una base acida (la Chrysopolis, ndr.) che ha fatto almeno 2 anni di fermentazioni miste (condotta prevalentemente da batteri lattici, brettanomiceti e batteri acetici) su cui hanno macerato almeno 6 mesi amarene e marasche, tagliata con una piccola parte di L’Ultima Luna (a sua volte passata in botti di Amarone per due anni con aggiunte di marasche Morello, ndr.) e una parte di birra giovane; il blend viene messo in bottiglie numerate indicanti anche l’anno della cuvée, le quali affinano ulteriori 12 mesi prima di essere vendute.”
La Luna Rossa nasce quindi da un complesso ed attento blend di più birre prodotte in modo diverso ed invecchiate in botti diversi, con una ulteriore maturazione di 12 mesi in bottiglia prima della messa in vendita. Qui trovate una breve video-intervista di Fermento Birra a Giovanni Campari nella quale si parla proprio de La Luna Rossa. La tecnica produttiva ed il tempo necessario si riflettono purtroppo anche sul prezzo di questa Luna Rossa, che sul sito del birrificio viene venduta a 33 euro al litro al quale dovete anche aggiungere le spese di spedizione.
La bottiglia di oggi è millesimo 2010, messa in vendita a partire dal 2012; bottiglia numerata (4626, nel caso specifico) avvolta in una splendida etichetta che sembra quasi raccontare la storia di questa birra, a partire dal bambino che raccoglie i frutti (le amarene, le marasche) direttamente dall’albero per poi lasciare che sia il tempo (le botti) a fare la maggior parte del lavoro.
E’ di colore ambrato, opalescente, con sfumature più chiare, ramate, ed altre più scure che rimandano al rubino; quello che si forma in superficie non è esattamente schiuma, ma piuttosto un assieme di piccole bolle che svaniscono alquanto rapidamente. Al naso c’è un’interessante complessità sviluppata quasi completamente in territorio acido: aceto di mela, asprezza di amarene, marasche e ribes con in sottofondo lievi sentori di legno e quasi “dolci” di frutti di bosco, amarene caramellate e, ancora più nascosta, una lievissima ossidazione che suggerisce vini liquorosi.
Mi è capitato di bere La Luna Rossa anche alla spina, di giovane età, e devo ammettere di averla trovata troppo spinta sull’acetico per i miei gusti; diverso è il discorso di questa bottiglia che ha passato qualche ulteriore anno in cantina e che si è un po’ ammorbidita: rimane sempre una birra che non consiglierei ad un palato poco abituato all’acido, perché la bevuta risulta comunque impegnativa, benché ampiamente soddisfacente. Il gusto ricalca in buona parte quanto promesso dall’aroma: accanto all’aspro di amarena e marasca, all’aceto di mela e al lieve lattico ci sono in secondo piano note legnose e soprattutto degli splendidi contrappunti dolci (le ossidazioni derivanti dal blend con L’Ultima Luna) di vino liquoroso, di Porto, che quasi per magia entrano ed escono di scena. La bevuta risulta molto più accessibile a temperatura ambiente, quando l’alcool diventa più evidente aiutando a contrastare l’asprezza e portando uno morbidissimo warming etilico; la bottiglia non ha praticamente scadenza (anno 2050) e sarebbe davvero interessante disporre della pazienza di lasciare qualche bottiglia in cantina per scoprire, magari tra un decennio, che cosa è cambiato.
Per il resto, quanto vorrei aggiungere è stato già perfettamente scritto da Stefano Ricci un paio di anni fa, peraltro su di un esemplare della stessa annata che nel mio caso il tempo ha un po’ ammorbidito. E’ una birra dal costo impegnativo che crea grosse aspettative senza però risultare esente da qualche “vizio”: l’acetico al naso effettivamente sconfina occasionalmente nel silicone, così come in bocca fa ogni tanto capolino a fine corsa una nota sanguigna che rovina un po' la magia.
Formato: 33 cl., alc. 8%, bottiglia 4626 anno 2010, scad. 12/2050.NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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