Chi è stato in Irlanda o di questa terra (e della sua birra) è appassionato sarà familiare con il termine "black and tan". Vi basta dire queste tre parole in un pub per ricevere una pinta nella quale convivono una parte di Guinness Stout e una parte di una birra "chiara", solitamente la Harp (ma altrettanto frequente è l'uso della Bass).
La tradizione è poi stata ripresa in pieno dai nuovi protagonisti della cosiddetta rivoluzione artigianale: solitamente si usa la parola "blend", che da quanto mi ricordo andavano un po' più di moda qualche anno fa. Proprio da quel periodo nacque il "black and tan" della beerfirm ex-danese ed ora americana Evil Twin, ovvero il gemello cattivo di Mikkeller che all'anagrafe fa Jeppe Jarnit-Bjergsø.
Evil Twin prende a prestito la terminologia taoista e realizza due birre come le due forze primordiali opposte della religione: Yin e Yang. La prima è una robusta (10%) Imperial Stout, mentre la seconda e un'altrettanto potente (10%) Imperial IPA. Le birre uscirono nel 2011, e se non ricordo bene nel 2012 si trovavano in Italia abbastanza facilmente: le potevate bere anche singolarmente, ma chiaramente la loro massima espressione si raggiungeva mescolandole nel bicchiere. Per facilitare i bevitori più pigri, uscì poco dopo anche il Taiji, ovvero l'interazione tra le due forze contrapposte già pronta, a completare il famoso Taijitu: il blend già pronto, Yin & Yang, una Imperial Black IPA o una Imperial Stout superluppolata, a voi la scelta.
Data la mia naturale avversione per una Double IPA della quale non conosco la data di nascita e che arriva dagli Stati Uniti attraversando l'oceano, lasciandone al di là la sua imprescindibile freschezza, mi sono accontentato della metà oscura, la Imperial Stout Yin.
Realizzata presso la Two Roads Brewing Company (Stratford, Connecticut), si presenta sontuosa e completamente nera con un perfetto cappello di schiuma beige molto fine e compatta, cremosa, dalla lunga persistenza. All'aroma non vi è di certo quella ricchezza e quell'intensità che t'aspetteresti da una robusta Imperial Stout: poche emozioni, profumi un po' dimessi di caffè e tostature, mirtilli, liquirizia. Al palato il "gemello cattivo" nega un po' le sue radici scandinave per sposare la sua seconda patria a stelle e strisce: non c'è quella corposità e viscosità tipica delle imperial stout dell'estremità settentrionale dell'Europa. Il corpo è medio, con poche bollicine ed una consistenza quasi oleosa, più simile a quella di molte imperial stout americane: la scorrevolezza sacrifica un po' la morbidezza. Il gusto è amarissimo, anch'esso di colore nero: caffè, intense tostature, cioccolato amaro. L'alcool è abbastanza ben sotto controllo, ed è piuttosto il tasso d'amaro (e di noia) a rendere lenta l'evaporazione dal bicchiere; nel finale le amare note resinose della luppolatura accompagnano e braccetto le tostature, cercando di ripulire un po' il palato e di portare un po' di sollievo con l'acidità del caffè, ma non basta. La bevuta batte incessantemente sugli stessi tasti dell'amaro/tostato, senza tregua, senza equilibrio: i primi due sorsi sono anche gradevoli, ma il resto del bicchiere è una sfaticata. E' una Imperial Stout molto semplice alla quale manca una controparte dolce, almeno minima: in rete leggo delle descrizioni abbastanza diverse dalla mia, quindi è possibile che mi sia capitata una bottiglia poco rappresentativa della birra. O forse è davvero necessario "tagliarla" con la sua metà chiara, la Yang.
Formato: 35.5 cl., alc. 10%, lotto 195:14 14:39, scad. non riportata, pagata 4.50 Euro (beershop, Italia).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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