Mentre negli Stati Uniti la cosiddetta birra “artigianale” (o di qualità) in lattina si sta diffondendo sempre più, e anche in Inghilterra alcuni piccoli birrifici hanno iniziato a “inscatolare” la birra, nel nostro paese non c’è ancora nessuno che ha tentato questa strada; troppi alti i costi d’acquisto di una linea produttiva e troppo elevati i numeri che bisogna poi fare per renderla redditizia, senza considerare le maggiori difficoltà tecniche correlate alla procedura di “messa in lattina”. Lo scenario italiano si completa con un calo generale del consumo di birra all’interno del quale continua però a crescere la cosiddetta “birra artgianale”; le grandi multinazionali non possono certamente stare a guardare senza fare nulla, ed ecco che mettono in pista le prima contromisure per invertire il trend e riguadagnare quote di mercato. Tra le multinazionali operanti nel nostro paese c’è la Carlsberg che possiede il marchio Birrificio Angelo Poretti, quello che nel corso degli ultimi anni più si è avvicinato al mondo “artigianale” andando oltre le semplici definizioni “doppio malto”, “birra chiara/rossa” e iniziando ad utilizzare una terminologia più appropriata, con riferimento a precisi stili brassicoli e materie prime utilizzate.
Oltre a chiamare le proprie birre “4, 5, 7, 8, 10 luppoli” (ricordo che il numero non coincide assolutamente con quelli poi utilizzati in realtà) si fa riferimento a “Saison” e, da poco, a Witbier e India Pale Ale. Complice l’imminente Expò di Milano, del quale è “birra ufficiale del Padiglione Italia”, la Poretti ha proprio in queste settimane lanciato due nuovi prodotti, disponibili solamente in lattina, un formato pratico e strategicamente funzionale vicina stagione estiva (spiaggia, pic nic, scampagnate..). Devo però dare una tirata d'orecchie all'ufficio marketing/comunicazione del birrificio: le due birre si trovano già sugli scaffali dei supermercati ma sul sito ufficiale di Poretti non compaiono ancora.
Partiamo dalla 9 Luppoli Witbier, uno stile che non è certamente noto per l’abbondante luppolatura, ma che è una scelta produttiva non casuale in quanto (e me lo confermano alcuni gestori di beershop) è uno tra gli stili più richiesti dalla clientela: quasi ogni birrificio (artigianale) italiano ha nella sua gamma una “birra bianca” o una “blanche”; sulla lattina si fa però comunque riferimento ad un luppolo predominante (sic.) in particolare, il Sorachi Ace, reso “celebre” in Italia da Bruno Carilli (un ex Carlsberg!) con la Zona Cesarini di Toccalmatto.
Perfetto il suo colore giallo paglierino opalescente, con un bianchissimo cappello di schiuma, cremosa e compatta, molto persistente. L’aroma (pulito e di discreta intensità) offre scorza d’arancio e banana, la freschezza acidula del frumento, una leggera speziatura di coriandolo, una suggestione di menta. In bocca pecca un po’ di bollicine, che in numero maggiore le avrebbero senz’altro donato più vitalità: è leggera e scorrevolissima, con un’intensità non male per una birra industriale: ritornano la banana e l’arancio, qualche nota di cereali e il tutto sfuma veloce in un finale che è però un po’ troppo acquoso e sfuggente, che stride un po' con il resto della bevuta nella quale questa Witbier aveva mantenuto una buona presenza palatale. Con una leggerissima nota amaricante erbacea nel retrogusto, è una blanche che svolge onestamente la sua missione di dissetare e rinfrescare, guadagnandosi (direi ampiamente) la sufficienza. Un po’ meno favorevole il discorso prezzo: 5,42 Euro al litro sono pochi rispetto ad una “artigianale italiana”, ma con un po’ di fortuna ogni tanto si trovano nei supermercati delle blanche/witbier belghe ad un prezzo uguale o forse inferiore.
Il mio parere sulla 9 Luppoli India Pale Ale è invece abbastanza impietoso: ambrata, di una limpidezza un po’ inquietante, forma un bel cappello di schiuma ocra, compatta e cremosa, anch’esso dalla buona persistenza. Al naso c’è una fastidiosa nota metallica che va ad impreziosire un aroma già di suo abbastanza dimesso, sebbene sia in lattina soltanto dallo scorso marzo: il Cascade citato sulla lattina si sente a malapena, con qualche remoto profumo di agrumi e di pino; l’aroma predominante, se così si può dire, mi ricorda piuttosto il terriccio umido, il sottobosco. Il naufragio di questa nave diretta verso le indie (cito il falso mito sulla nascita delle IPA) si completa al palato dove c’è tanta, troppa acqua e poco, troppo poco gusto: si avverte un pochino di biscotto, forse di caramello, ancora un po’ di fastidioso metallo e un pochino di marmellata d’agrumi. Il corpo è medio-leggero, con una spiccata acquosità e poche bollicine: abbastanza sgraziato il finale amaro (il cui livello è ovviamente nei limiti della tollerabilità anche di un palato non abituato a tanti IBU), erbaceo e leggermente terroso che non si fa mancare una leggera astringenza. Se la Saison bevuta qualche tempo fa e la Witbier di Poretti non mi erano tutto sommato dispiaciute, questa India Pale Ale è venuta davvero male e non m’invoglia certo al riacquisto, nonostante la lattina parli di una "personalità esplosiva grazie al bouquet speciale di luppoli (tra i quali è) predominante il Cascade, il luppolo più ricercato dai birrifici statunitensi".
Continua quindi la mia personale ricerca di una birra italiana “da battaglia” a basso prezzo, di buona qualità, da potersi portare in spiaggia, nello zaino, ovunque: al momento non sono ancora riuscito a trovare niente di soddisfacente.
Nel dettaglio:
Poretti 9 Luppoli Witbier, alc. 5,2%, lotto J15077W, scad. 01/03/2016, pagata 1,79 Euro (supermercato, Italia)
Poretti 9 Luppoli India Pale Ale, alc. 5.9%, lotto J15077S, scad. 01/03/2016, pagata 1,79 Euro (supermercato, Italia)
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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