Nel 2011 avvenne il mio primo incontro con le birre di Valter Loverier, in arte Loverbeer: ex tecnico progettista di un’azienda di telecomunicazioni, con l’hobby per i rally e l’homebrewing. Per nostra fortuna è stato quest’ultimo a trasformarsi in professione. Sin dai giorni dell’homebrewing l’interesse di Valter sono i lieviti selvaggi e le fermentazioni spontanee: il suo primo esperimento è la BeerBrugna, ispirata dalle Kriek belghe e prodotta con un inoculo di lieviti (tra cui brettanomyces), batteri lattici e l’aggiunta in macerazione di susine damaschine. La birra piace a Lorenzo “Kuaska” Dabove che nel 2005, in occasione del Brassin Public di Cantillon la porta con sé facendola assaggiare a Jean Van Roy, che gradisce. L’amicizia con Kuaska lo porta anche a contatto con Tomme Athur di Lost Abbey e Vinnie Ciliurzo di Russian River, finché gli incoraggiamenti e gli apprezzamenti ricevuti lo convincono nel 2008 a lasciare il vecchio lavoro per aprire del proprio birrificio a Marentino, con fermentatori in legno di rovere e una bella batteria di barriques.
In questi sette anni Loverbeer è diventato indubbiamente uno dei protagonisti della cosiddetta “birra artigianale” italiana: le sue birre, certamente non facili per un “novizio” e dal costo impegnativo, vengono esportate in molti paesi, Stati Uniti inclusi.
Il birrificio si trova in pieno territorio vinicolo: a pochi chilometri c'è il Monferrato, terra di grandi vitigni, solo per citarne alcuni: Grignolino, Freisa, Dolcetto e Barbera: una tentazione irresistibile quella di utilizzare l’uva nella birra che si realizza in un primo momento con la Beerbera, una birra a fermentazione spontanea in legno (utilizza i lieviti naturalmente presenti sulle bucce degli acini) grazie all'aggiunta di uva Barbera pigiata e diraspata, nessun lievito aggiunto. Il secondo esperimento vede protagonista l’uva Freisa, altro vitigno a bacca rossa, il cui mosto viene aggiunto a quello di birra: in questo caso vi è anche l’inoculo di un lievito, un saccaromiceto in grado di aggredire, oltre che il mosto di birra, anche quello di uva. La diversità rispetto alla Beerbera è spiegata anche dell’etichetta, come fa notare Andrea Turco: "lì il monaco suggeriva l’uso dell’orzo per produrre la birra e il contadino proponeva l’aggiunta di uva.; qui invece il contadino, che ha apprezzato i risultati dal cereale, propone quest’ultimo e il monaco, anche lui sorpreso dalla resa, suggerisce l’uso dell’uva.”
Nasce così la D'uvaBeer, presentata per la prima volta al Salone del Gusto del 2010: bottiglia millesimo 2011, e birra che arriva nel bicchiere di uno splendido color ambrato carico, movimentato da sfumature che vanno dal dorato al rosso intenso; forma un generoso ma effervescente cappello di schiuma ocra, che svanisce molto rapidamente. L'aroma è piuttosto legnoso, con i classici sentori "selvaggi" dei lambic: cantina, sudore, polvere, una punta di lattico. Troviamo anche, in tono minore, la presenza di uva, ribes (bianco e rosso), limone, aceto di mele. Assolutamente splendida in bocca, con corpo medio e una frizzantezza che, ad occhi chiusi, vi farebbe dubitare di quello che avete nel bicchiere; birra o champagne? La facilità di bevuta è elevatissima, senza tuttavia rinunciare a lasciare il segno della sua presenza con una bella rotondità al palato. Una nota legnosa accompagna anche quasi tutta la bevuta, con le note aspre di frutti rossi, di ribes, di lampone acerbo e uva e la lieve acidità lattica che sono bilanciate da un sottofondo dolce, appena zuccherino, con rimandi alla mela rossa, che lascia leggermente il palato avvolto da una patina dolce. La gradazione alcolica (8%) è nascosta in maniera impressionante, regalando solamente un bellissimo e morbido tepore a fine corsa, degna conclusione di ogni sorsata. E' leggermente acetica in bocca , senza che ciò provochi nessun fastidio.
Una birra straordinaria, sicuramente più difficile descrivere che da bere, complessa ma accessibile anche per chi non ha una grande familiarità con le birre acide; si spinge con decisione in territorio vinoso, con tutti i rischi che ciò comporta: elegante e raffinatissima, vince la sfida. E' invecchiata davvero molto bene, senza nessun avvisaglia di cedimento, e mostra la potenzialità di poter resistere ancora per chissà quanti anni. Purtroppo il suo costo non è dei più economici ed un eventuale scorta in cantina comporterebbe un investimento non da poco, e allora meglio accontentarsi di berla una volta ogni tanto.
Formato: 33 cl., alc. 8%, lotto PDUV04-0911, scad. 12/2015, pagata 6.90 Euro (foodstore, Italia).
NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.
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